Ha creato polemica settimana scorsa la cancellazione del summit della “Conferenza dei rabbini europei”, che avrebbe dovuto tenersi a Sarajevo. Tra accuse di antisemitismo e ipotesi di complotto, un’occasione persa.
DA SARAJEVO – L’annunciata riunione della Conferenza Europea dei Rabbini, prevista a Sarajevo il 16-18 giugno, è stata annullata dopo le reazioni dell’opinione pubblica. L’albergo dove avrebbe dovuto tenersi, lo Swissôtel di proprietà saudita, ha annullato per presunte “questioni di sicurezza“. La riunione ebraica è stata spostata a Monaco di Baviera.
Cos’è la Conferenza dei Rabbini Europei e cosa c’entra la Bosnia Erzegovina
Fondata nel 1956, la Conferenza dei Rabbini Europei (CER) è la principale organizzazione ebraico-ortodossa in Europa, con la missione di “difendere la libertà religiosa degli ebrei europei”. La presiede Pinchas Goldschmidt, rabbino svizzero che dagli anni ’90 si è dato la missione di ricostituire la vita ebraica nell’ex Unione Sovietica, dovendo poi fuggire da Mosca verso Israele nel 2022 al momento dell’invasione russa dell’Ucraina.
Sempre dal 2022 è entrato a far parte del consiglio d’amministrazione della CER anche Amir Gross Kabiri, controverso industriale israeliano trasferitosi a Mostar, dove ha rilevato la proprietà della fabbrica Aluminij, il maggior conglomerato industriale dell’Erzegovina, è divenuto presidente della comunità ebraica mostarina, e ha aperto in città una camera di commercio bosniaco-israeliana.
Galeotto fu il post del ministro
La cancellazione della conferenza ha scatenato accese polemiche dentro e fuori il paese, diventando il caso perfetto per strumentalizzare una presunta intolleranza della città di Sarajevo, e infangare la sua secolare tradizione di convivenza multietnica e pacifica.
All’origine vi sarebbe un post social di un politico bosniaco, Adnan Delić, ministro del lavoro e delle politiche sociali della Federazione – una delle due entità amministrative della Bosnia Erzegovina. Delić ha affermato che ospitare la conferenza sarebbe equivalso a legittimare il genocidio contro la popolazione civile di Gaza, e che sarebbe “inaccettabile e moralmente offensivo” che Sarajevo, città sopravvissuta al più lungo assedio della storia europea moderna, fornisca supporto a Israele. Un’opinione condivisa da buona parte dell’opinione pubblica bosgnacca.
Sarajevo, città dell’odio?
In risposta, Goldschmidt ha denunciato lo “scandalo” di un boicottaggio contro cittadini europei di fede ebraica, diventati improvvisamente “persone sgradite“, chiedendo addirittura all’UE di mettere fine al percorso di adesione della Bosnia Erzegovina. Sempre secondo l’ex rabbino di Mosca, Sarajevo sarebbe una città aperta e tollerante per tutti tranne che per gli ebrei.
Gli hanno fatto da coro i principali politici serbo-bosniaci: il secessionista Milorad Dodik (su cui pende un mandato di cattura della polizia) non si è lasciato sfuggire l’occasione di etichettare Sarajevo come una città musulmana in cui impera l’odio. La sua collega di partito Zeljka Cvijanović gli ha fatto eco denunciando come “intollerante” la capitale bosniaca, dove serve come membro serbo e presidente di turno della Presidenza statale. Da Bruxelles, infine, il portavoce della Commissione europea Markus Lammert ha definito “deplorevole che le autorità della Bosnia Erzegovina abbiano ritirato l’invito alla Conferenza dei rabbini europei”.
Politici e autorità religiose respingono le accuse
Rientrato a Sarajevo da una visita di stato a Praga, il Ministro degli esteri bosniaco Dino Konaković ha denunciato le “manipolazioni” sulla questione, affermando che nessuna autorità avrebbe concesso né revocato permessi per l’incontro della CER a Sarajevo – e chiedendo le scuse della Commissione europea.
Konaković ha bollato come “inappropriata” la reazione del ministro Delić (esponente del suo stesso partito), pur sottolineando che si sia trattato una affermazione a titolo personale e non delle istituzioni. Il ministro ha anche affermato di essere venuto a conoscenza dell’evento neanche una settimana prima – nonostante la necessità di un importante coordinamento politico e securitario per ospitare centinaia di leader religiosi – per poi essere informato solo poche ore dopo del suo annullamento da parte dello Swissôtel.
Konaković ha denunciato una campagna denigratoria da parte di politici che fanno aperto riferimento a fascisti e criminali di guerra. “Durante la seconda guerra mondiale, i bosniaci salvarono l’Haggadah e protessero le sinagoghe. Non permetteremo che una tale narrazione venga imposta a Sarajevo. I tentativi di radicalizzare il popolo bosniaco e di collegarlo ad Hamas non avranno successo“. Konaković ha quindi invitato per un incontro il presidente della comunità ebraica bosniaca, Jakub Finci.
Il Gran Mufti Husein Kavazović, intervistato da Radio Sarajevo, ha ricordato come la Comunità Islamica in Bosnia Erzegovina abbia sempre sostenuto il dialogo interreligioso e la cooperazione con le comunità ebraiche, basandosi su una lunga storia di tolleranza e convivenza. “Se qualcuno ha voluto infangare la buona reputazione di Sarajevo, ci è riuscito“, ha dichiarato Kavazović. Secondo il reis-ul-ulema, Sarajevo sarebbe stata proprio il luogo ideale per i rabbini d’Europa da cui inviare una richiesta di “mettere fine alla violenza e alla sofferenza in Terra Santa”. Neanche due anni fa, a inizio 2024, lo stesso Kavazović aveva firmato una dichiarazione di pace congiunta ebraico-musulmana.
Ipotesi di complotto
Intanto, il portale investigativo istraga.ba ipotizza che dietro la polemica vi sia uno zampino politico. Secondo Istraga, il quotidiano mostarino Večernji list avrebbe fatto circolare la notizia dell’incontro rabbinico in programma, con il titolo “Sarajevo ospita un incontro di rabbini europei a sostegno dello Stato di Israele“, sottolineando che i partecipanti “offriranno un forte sostegno pubblico al popolo israeliano, soprattutto alla luce delle sfide e delle sofferenze causate dal lungo conflitto a Gaza”. Il framing politico dell’incontro religioso, poi riportato anche da media quali il popolare Klix.ba e HercegBosna, avrebbe favorito le reazioni scomposte.
Sempre secondo istraga.ba, la Conferenza dei rabbini europei non avrebbe nemmeno dovuto ritrovarsi in Bosnia Erzegovina, ma un mese fa l’Alto Rappresentante Christian Schmidt si sarebbe rivolto alla ex sindaca di Sarajevo, Benjamina Karić, per favorirne l’organizzazione. Karić avrebbe quindi contattato la Comunità ebraica sarajevese e lo stesso Swissôtel. Ma all’ultimo momento, il piano è saltato. Nel migliore dei casi, si è trattato di una iniziativa ingenua – nel peggiore, di una trappola politica.
Sarajevo – Gaza, ricordo e solidarietà
La guerra di Israele contro Gaza da due anni è terreno di scontro politico tra le opzioni etno-nazionali in Bosnia Erzegovina.
Sarajevo non dimentica, non può dimenticare. La capitale bosniaca aveva già espresso la propria solidarietà al popolo palestinese all’indomani dello scoppio delle ostilità, con una manifestazione oceanica a cui presero parte migliaia di cittadini sarajevesi e no. Nei giorni scorsi, qualcuno ha appeso al ponte di Skenderija, davanti al gigantesco Dom Mladih, uno striscione che recita: “17.000 bambini innocenti sono stati uccisi a Gaza”.
Sempre a Sarajevo pochi giorni fa è stato avviato anche il Gaza Tribunal, il primo tribunale popolare in Europa sul genocidio a Gaza. Il tribunale è composto dal Comitato direttivo, da tre Camere specializzate, da una “Giuria di coscienza”, dal “Consiglio consultivo politico” e da diverse unità amministrative. Personalità autorevoli e dotate di autorità morale, provenienti da diverse settori, invitate dal Comitato direttivo, valuteranno le prove presentate da testimoni, esperti e relazioni delle Camere, ed emetteranno un giudizio morale durante l’udienza finale, prevista a Istanbul nell’ottobre 2025.
Foto: Swissôtel, Sarajevo, by Paolo Garatti