Gli esponenti delle comunità ebraica e musulmana di Bosnia Erzegovina firmano l'iniziativa di pace congiunta

BOSNIA: Firmata a Srebrenica una dichiarazione di pace ebraico-musulmana

A Srebrenica è stata firmata una dichiarazione di pace congiunta ebraico-musulmana che vuole essere una “luce guida e una promessa per le generazioni future”.

Srebrenica, sabato 27 gennaio. Nella cittadina bosniaca il Giorno della memoria ha fatto da sfondo ad un evento molto importante per i rapporti tra le comunità ebraica e musulmana di Bosnia: al Memoriale di Srebrenica è stata infatti presentata una dichiarazione di pace congiunta ebraico-musulmana, con l’obiettivo di promuovere la comprensione reciproca e il dialogo tra le due comunità. L’iniziativa è stata firmata dal capo della comunità islamica della Bosnia Erzegovina Hussein Kavazović e dal presidente fondatore della Rete internazionale dei figli dei sopravvissuti ebrei all’Olocausto, Menachem Z. Rosensaft. Presenti alla cerimonia anche Munira Subašić, presidente dell’Associazione “Madri di Srebrenica” e Jakob Finci, capo della Comunità ebraica di Bosnia Erzegovina.

L’iniziativa 

In un mondo in cui risuonano ancora gli echi dell’Olocausto e del genocidio dei musulmani bosniaci di Srebrenica, in un mondo ancora attraversato da conflitti che sembrano ripetere le stesse orrende dinamiche, i partecipanti all’iniziativa si sono riuniti per dare una risposta, per tracciare un percorso di “riconciliazione, rispetto reciproco e costruzione attiva della pace”, in un viaggio guidato dalla volontà di un “dialogo costante”, nella speranza di un futuro in cui comprensione e convivenza “possano superare l’odio, la paura e la guerra”.

Gli impegni dei firmatari comprendono anche il ricordo delle vittime della Shoah e del genocidio di Srebrenica, in funzione di monito perenne per le generazioni future; il ripudio di ogni forma di antisemitismo, islamofobia, razzismo, xenofobia e altri fanatismi discriminatori e corrosivi; l’impegno a non restare indifferenti di fronte ai tentativi di cancellare l’identità etnica, religiosa o nazionale di un popolo; il ripudio e la condanna di qualsiasi glorificazione o tentativo di riabilitazione degli autori di tutti questi crimini. Ma anche: volontà di proteggere la vita ad ogni costo, libertà di espressione, condivisione e dialogo all’insegna della compassione, azioni congiunte in tempo di crisi. Come quelli attuali. 

Pur mantenendo i propri legami con le rispettive storie, e illuminati da una responsabilità condivisa nei confronti delle generazioni future, questa dichiarazione vuole quindi simboleggiare l’impegno dei firmatari per costruire un mondo in cui le differenze possano diventare possibilità di conoscenza reciproca, per approdare alla pace e alla riconciliazione. Non a caso, la commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa Dunja Mijatović ha applaudito l’iniziativa, definendola “un faro di speranza” in un momento in cui le divisioni sembrano “insormontabili”.

Srebrenica e la Giornata della Memoria

Qualche settimana fa, durante una manifestazione pro-Palestina, a Sarajevo sventolava lo striscione “Ieri Srebrenica, oggi Gaza”, a testimonianza del fatto che tra i bosgnacchi persiste la percezione secondo cui esisterebbe una comunione di destini che lega i due popoli – quello dei musulmani di Bosnia e quello palestinese. Per i bosgnacchi il genocidio del 1995 è una ferita sanguinante, che porta con sé tensioni e divisioni in grado di destabilizzare il già fragile paese balcanico, e inquinare la memoria collettiva.

Allo stesso tempo, anche la comunità ebraica ha una storia profonda, e sofferta, in Bosnia Erzegovina. Gli ebrei sefarditi arrivarono per la prima volta nella regione durante il periodo dell’Impero Ottomano, dopo essere fuggiti dall’Inquisizione spagnola. Gli ebrei ashkenaziti seguirono l’esempio quando l’area cadde sotto il dominio austro-ungarico dal 1878. Fino all’Olocausto, perpetrato in Bosnia dal regime filonazista degli ustaša croati, Sarajevo era per circa il 20% ebraica e conosciuta affettuosamente come la “piccola Gerusalemme” per la sua varietà di sinagoghe, moschee e chiese cattoliche e ortodosse. L’Olocausto decimò buona parte di questa comunità, e dopo la Seconda Guerra Mondiale molti sopravvissuti decisero di partire, lasciando a Sarajevo solo una piccola, ma dinamica presenza che persiste ancora oggi.

Secondo Kavazović, musulmani ed ebrei “sono un solo corpo” perché entrambi sono stati sottoposti a “tentativi di sradicamento”. In tal senso Srebrenica ha un peso simbolico fortissimo: qui infatti, mezzo secolo dopo lo storico “Mai più“, l’umanità aveva nuovamente fallito la sua prova di responsabilità. Il fatto che questo grido di pace congiunto si sia levato proprio da Srebrenica lo rende ancora più potente. E non a caso è stato scelto il 27 gennaio, data simbolo della liberazione del campo di sterminio di Auschwitz. Perché la memoria collettiva, per far sì che venga assimilato il suo messaggio, ha bisogno di tutto questo. Essa infatti non deve essere sezionata e curata per compartimenti stagni, in cui ciascun popolo ricostruisce e cura il proprio pezzetto di storia senza considerare quella degli altri. La memoria collettiva, viceversa, deve essere ricomposta da tutti, e tutti siamo chiamati a ricomporla.  

Foto: anews.com.tr

 

Chi è Paolo Garatti

Storico e filologo, classe 1983, vive in provincia di Brescia. Grande appassionato di Storia balcanica contemporanea, ha vissuto per qualche periodo tra Sarajevo e Belgrado dove ha scritto le sue tesi di laurea. Viaggiatore solitario e amante dei treni, esplora l'Est principalmente su rotaia

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