BOSNIA: Sinisa Karan è il nuovo presidente della Republika Srpska

Domenica la Republika Srpska ha eletto il successore di Milorad Dodik. Come molti si aspettavano, ha vinto il suo braccio destro e già Ministro degli interni Siniša Karan.

Il clima delle elezioni

Lo scorso 23 novembre in Republika Srpska (RS), l’entità a maggioranza serba della Bosnia Erzegovina, si sono tenute le elezioni presidenziali anticipate per eleggere il successore di Milorad Dodik.

Ad agosto, dopo la condanna di Dodik ad un anno di reclusione (poi commutato in pena pecuniaria) e sei anni di interdizione dalle cariche pubbliche, la Commissione Elettorale Centrale (CIK) ha indetto nuove elezioni. È stato inutile anche il ricorso di Dodik contro la decisione della Corte di confermare la revoca del mandato. E benché avesse inizialmente indicato il boicottaggio, Dodik e il suo partito SNSD hanno infine deciso di giocare – per vincere.

Data la fragilità della situazione, la CIK ha richiesto all’OSCE/ODIHR di osservare la campagna elettorale e il voto. L’obiettivo era di valutare se le elezioni rispettassero gli standard internazionali su registrazione dei candidati e degli elettori, finanziamenti per le campagne elettoriali, utilizzo dei media e libertà dei giornalisti, e attività delle istituzioni statali.

Secondo il capo della missione ODIHR, Mátyás Eörsi, che si è espresso durante una conferenza stampa il 24 novembre, le elezioni si sono svolte formalmente in modo regolare, con candidati (seppur tutti uomini) liberi di condurre la propria campagna elettorale. Tuttavia, Eörsi ha sottolineato la mancanza di dibattiti e la sproporzionata copertura mediatica riservata al candidato del partito al potere sulle emittenti pubbliche. Inoltre, la missione ha condannato fermamente ogni forma di incitamento all’odio, comprese le dichiarazioni islamofobe rilasciate da Dodik durante un comizio a Sarajevo Est il 10 novembre e per cui il presidente uscente non si è mai scusato.

Il dato forse più indicativo del clima politico è però l’affluenza: solo il 35,78% degli oltre 1,2 milioni di aventi diritto si è recato alle urne, segnale evidente di una fiducia elettorale in declino – al netto delle copiose nevicate cadute su tutta la Bosnia durante il weekend.

I candidati e il voto

Nel contesto di un pluralismo solo di facciata, sei candidati si sono contesi la presidenza: Siniša Karan per l’Alleanza dei Socialdemocratici Indipendenti (SNSD) di Milorad Dodik; Branko Blanuša per il Partito Democratico Serbo (SDS), sostenuto dagli altri partiti di opposizione; e quattro candidati minori e indipendenti, senza alcuna vera chance. La sfida reale era tra Karan e Blanuša.

Tra tutti, Siniša Karan era forse l’unico nome già conosciuto dagli elettori. Karan ha una notevole carriera politica alle spalle: è stato Ministro degli Interni dell’entità dal 2022 al settembre 2025, quando è stato spostato al posto di Ministro dello sviluppo scientifico-tecnologico e dell’istruzione superiore. Professore di diritto, durante gli anni di presidenza di Dodik, Karan è stato al suo fianco, nonché testimone della difesa nel suo processo.

Branko Blanuša era il principale sfidante, sostenuto da tutti i partiti d’opposizione. Tra questi, oltre all’SDS di cui Blanuša è membro, il Partito per il Progresso Democratico (PDP), il Fronte Popolare (NF), e il Partito per la Giustizia e l’Ordine (ZPR). La figura di Blanuša era pressocché sconosciuta agli elettori, nonostante la sua candidatura alle elezioni nel 2018.

La scarsa esposizione mediatica di cui disponevano gli altri candidati rispetto a Karan – denunciata anche dalla missione ODIHR – rappresenta senza dubbio un elemento incisivo nel risultato delle elezioni. Domenica sera è stata annunciata la vittoria di Karan con il oltre il 50% dei voti, contro il circa 48% di Blanuša – un risultato comunque di tutto rispetto per l’opposizione, al netto della bassa affluenza e delle accuse di brogli.

Una politica di continuità

Indire nuove elezioni è spesso un modo per riallineare un sistema politico paralizzato e restituire fiducia alle istituzioni. Nel caso della Republika Srpska, però, l’elezione anticipata del nuovo presidente non sembra aver prodotto un vero cambio di direzione. La vittoria di Siniša Karan, figura centrale nell’entourage di Milorad Dodik e suo stretto collaboratore per oltre un decennio, indica piuttosto una continuità attentamente costruita, volta a preservare l’assetto di potere consolidato dal leader dello SNSD. Karan non ha mai nascosto l’intenzione di proseguire “con ancora maggiore forza” la linea politica del suo predecessore, dalla retorica secessionista al conflitto con le istituzioni di Sarajevo e con l’Ufficio dell’Alto Rappresentante, passando per il controllo capillare delle istituzioni dell’entità e dei media.

Proprio per questo diversi osservatori internazionali hanno interpretato l’esito del voto non come una cesura, ma come una transizione controllata. Tra loro, l’analista del Democratisation Policy Council (DPC) Toby Vogel, che in un’intervista a Radio Slobodna Evropa ha descritto il risultato come una forma di “dodikismo senza Dodik”, sottolineando che la sostanza del potere rimane saldamente nelle mani dell’ex presidente, il quale continua a dominare la scena politica, economica e mediatica dell’entità. Secondo Vogel, l’elezione di Karan rappresenta dunque “un passaggio formale, non sostanziale”, che permette a Dodik di mantenere il controllo evitando però le conseguenze politiche e giudiziarie legate alla condanna che lo ha costretto a lasciare temporaneamente la carica.

Alla luce di questo, è difficile immaginare un allentamento delle tensioni istituzionali interne alla Bosnia Erzegovina. La Republika Srpska continuerà a sfidare le competenze dello Stato centrale, mentre le pulsioni secessioniste potrebbero rimanere un elemento di pressione e instabilità costanti. Le elezioni anticipate, insomma, non hanno inaugurato una stagione di rinnovamento, ma hanno sancito la tenuta di un sistema politico costruito intorno a un solo centro di potere, che sopravvive anche quando il suo leader non occupa formalmente la presidenza dell’entità.

Fonte immagine: Amel Emric/Reuters via Al Jazeera

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