E così finalmente anche Donald Trump, dopo i trionfalismi pre-elettorali sulla pace in Ucraina (da siglare entro le famose ‘24 ore’), ammette in un’intervista alla NBC che “…forse essa non è possibile. C’è un odio enorme…”, e poi, più recentemente, dopo una lunga telefonata con Putin che ‘ciò…non porterà a una pace immediata’.
Ma come mai un esuberante signore di quasi ottanta anni, cui certo non mancano cervello né mezzi per informarsi né esperti da consultare, scopre con imbarazzante ritardo che porre fine a una guerra combattuta da tre anni senza vincitori né vinti e con ingenti perdite da ambo le parti non è proprio cosa semplice? E come mai una chiara maggioranza di cittadini tra i più benestanti e liberi di informarsi del globo lo ha scelto per guidarli nella politica sia interna che estera, dato che pure dal punto di vista economico l’introduzione scriteriata e malferma dei dazi statunitensi sta già ritorcendosi contro gli stessi elettori?
E, passando al di qua dell’Oceano, sorprende che in molti Paesi dell’Europa centro-orientale gli elettori determinino un’avanzata, e in taluni casi la vittoria, dei partiti ‘sovranisti’: ciascuno dei quali si impegna – per dirla alla Trump – a ‘rendere di nuovo grande’ il proprio Paese, additando come principale ostacolo a ciò l’affermazione di una forte e coesa Unione Europea. Perché, infatti, questi elettori non sembrano capaci di riflettere su due implicazioni elementari? La prima è che, tra Paesi tutti confinanti tra loro, renderne uno ‘più grande’ rende inevitabilmente più ‘piccolo’ quello vicino (qualunque sia il senso in cui si voglia intendere l’aggettivo ‘grande’). Il secondo è che tutti questi aspiranti ‘grandi’ sono in realtà molto piccoli se presi su scala globale, e quindi il loro sovranismo solipsistico, al di fuori di un’Unione Europea, li lascerebbe alla mercè delle grandi potenze che circondano il continente: anch’esso relativamente piccolo e in declino (sia demografico che economico: per non parlare dell’aspetto militare). Altro che sovranità!
D’altra parte, le ‘grandi coalizioni’ governative di partiti antipopulisti (come realizzatesi in Germania) o le messe al bando per via giudiziaria di singoli candidati sul punto di essere eletti a furor di popolo (vedi Georgescu in Romania e Marine Le Pen in Francia) sono operazioni che, per quanto legali e magari pienamente giustificate, non contrastano però alla radice il problema. Che è un altro, e di fondo.
Infatti, il paradosso principe è che venga messo reiteratamente in crisi e sul banco degli imputati da parte di gran parte dei cittadini quel sistema economico, politico, di diritti sociali e civili costituzionalmente stabiliti di cui quegli stessi cittadini costantemente beneficiano. In pratica, mentre il resto del pianeta (ormai i quattro quinti) guarda con invidia il benessere e la libertà di cui da noi si gode (tanto è vero che l’umanità più sfortunata cerca di trasferirsi qui anche rischiando la vita), questa nostra stessa fetta di popolazione libera e privilegiata sembra far di tutto per abbattere il sistema sociopolitico e la costellazione di valori e principi che l’hanno tanto favorita.
La tentazione sarebbe spiegare tali paradossi attraverso sofisticate analisi delle dinamiche economiche, sociali e strutturali. Ma la panoramica fatta sopra rivela che la causa di comportamenti e suffragi tanto diffusi, ma che ottengono nei fatti il contrario di quel che si propongono, è proprio la stessa incapacità di scorgere il paradosso: cioè, una macroscopica inadeguatezza nella lettura della realtà.
L’autolesionismo inconsapevole e la cecità di fronte ai dati del reale sono frutto dell’azione combinata di due fattori: gli stessi che rendono gli elettori permeabili, culturalmente e intellettualmente, a tutte le fake news, ai complottismi campati in aria, alle promesse dei populisti di qualsiasi colore.
Il primo è l’assenza di cultura: storica (le cause secolari e millenarie che continuano ad agire nel mondo di oggi) e geografica (i dati reali contemporanei: etnici, economici, sociali, religiosi e politici). E qui responsabile è anzitutto la scuola, che non sembra più capace di educare ad analizzare e capire il mondo.
Il secondo è il dilagare di una realtà ‘alternativa’, virtuale, che troppo spesso la realtà, quella vera, la soppianta, la distorce, non la racconta.
Insomma, senza un buon vaccino di conoscenze, sedimentate in cinquemila anni di civiltà e raccolte nei testi e negli studi degli scienziati e degli esperti di ogni disciplina, ivi comprese anzitutto la conoscenza storica e quella geografica, anche i cittadini di questa parte di mondo, una volta scontratisi con la realtà dei fatti e arrivati magari a ottant’anni, alzeranno lo sguardo perplessi e sconcertati come Trump, per constatare che…’forse la cosa non era possibile’.
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