Inaugurata lo scorso 4 aprile presso il Museo di Storia di Bosnia Erzegovina a Sarajevo, la mostra “The morning will change everything” dell’artista spagnolo Sebastian (Sebas) Velasco esplora le culture, le lingue, la musica e la cinematografia dei Balcani, riflettendo sui paesaggi e sui soggetti urbani e sui temi delle relazioni e dello scorrere inesorabile del tempo. L’intervista.
La mostra The morning will change everything / Jutro će promijeniti sve dell’artista spagnolo Sebas Velasco (SV) è stata inaugurata il 4 aprile scorso presso il Museo di Storia di Bosnia Erzegovina a Sarajevo e resterà aperta fino al 29 maggio prossimo. Ispirata all’omonima canzone del leggendario gruppo musicale sarajevese Indexi, The morning will change everything è la prima mostra istituzionale dell’artista spagnolo classe 1988, e presenta opere originali su tela che esplorano il paesaggio urbano e le storie di vita di gente comune ispirate da un decennio di viaggi e ricerche nella regione balcanica compiuti dall’artista, riflettendo al contempo sulle relazioni e sullo scorrere inesorabile del tempo. East Journal (EJ) l’ha intervistato.
EJ – Sebas, come è andata l’inaugurazione e come ha reagito il pubblico di Sarajevo?
SV – L’inaugurazione della mostra è stata grandiosa, con la proiezione di un film del giovane regista bosniaco Mario Ilić (nelle foto sotto) e una sessione aperta di domande e risposte col pubblico. Nel primo weekend di apertura, che ha visto una partecipazione straordinaria, si sono susseguiti una serie di incontri per promuovere la comprensione interculturale – incoraggiando lo scambio tra artisti locali e stranieri per stimolare il dialogo su scala internazionale – e affrontare l’isolamento culturale che affligge i Balcani occidentali. Pur essendo una mostra personale, l’inclusione dei contributi creativi di Mario Ilić e Jose Delou, la produzione di Charlotte Pyatt e la Galleria Manifesto mi hanno reso davvero felice perché ho avuto la sensazione di averla realizzata insieme. Per quanto riguarda i feedback sui dipinti, mi ha fatto molto piacere sentire alcune persone dire di vedere qualcosa di diverso in città.
EJ – Le tue opere non sono solo una celebrazione delle tue passioni e dei tuoi viaggi, ma sono veri e propri portali verso narrazioni socio-economiche più complesse. Secondo il Museo che ospita la mostra i tuoi lavori “sottolineano il potere dell’umanità in mezzo a identità in continua evoluzione e al tumulto della globalizzazione”. Sarajevo è al centro di questa narrazione: c’è un legame speciale con la città?
SV – Non ho legami familiari. Tuttavia, fin dalla prima volta che l’ho visitata, ho notato qualcosa di molto speciale. Come pittore, mi sono sentito molto attratto dall’architettura e dalla luce della città. Dal modo in cui l’architettura dei quartieri socialisti contrasta con le piccole mahalle sparse sulle colline. Oltre a questa attrazione primaria per l’atmosfera visiva, la città trasmette anche altri tipi di sensazioni. Una sorta di nostalgia e uno strano mix di futuro e passato. E, ultimo ma non meno importante, fin dal primo momento, ho instaurato un legame e stretto amicizie durature con la gente del posto.
EJ – I tuoi lavori restituiscono momenti di umanità ed empatia e riflettono sulla condizione umana in una parte di mondo, i Balcani, dove le idee di territorio e identità cambiano rapidamente. Cosa vuoi trasmettere con questa mostra?
SV – Non cerco di trasmettere un messaggio specifico, ma l’obiettivo è esprimere attraverso la pittura le emozioni che questa regione suscita in me.
EJ – I protagonisti assoluti dei tuoi lavori sono l’architettura brutalista, le vecchie automobili e gli adolescenti. In cosa consiste la mostra, puoi spiegarlo ai nostri lettori?
SV – Abbiamo esposto 12 dipinti di diverse dimensioni che includono paesaggi urbani, ritratti di cittadini anonimi e veicoli iconici tipici della regione. Abbiamo anche un film realizzato appositamente dal regista bosniaco Mario Ilić e un’installazione fotografica del mio collaboratore di lunga data, il fotografo spagnolo José Delou. Lavoro principalmente con la pittura a olio, creando dipinti di grandi dimensioni che esplorano ambienti urbani, memoria e identità. Sono particolarmente attratto dagli spazi postindustriali dell’ex Jugoslavia, dove si incontrano strati di storia, cultura e architettura.
EJ – La quotidianità descritta nelle opere di Sebas è fatta anche di elementi che sfidano il tempo per diventare leggenda: le vecchie automobili, appunto. Ecco quindi irrompere sulla scena quei veicoli che hanno fatto la storia di un’epoca che in Europa occidentale è lontana e obsoleta, quasi nociva, ma che nei Balcani trova seconda vita meritando l’eternità (perlomeno quella pittorica): Golf, Lada e Renault 5 sono ritratte in tutta la loro inadeguata solitudine, troppo old-style per i canoni occidentali, ancora vive e funzionali a est, dove si sfrutta fino all’ultimo sprazzo vitale.
EJ – Negli ultimi anni hai documentato con la tua arte i paesi dell’Europa orientale, hai collaborato a una serie di lavori al Museo del Prado e al Palazzo Reale di Madrid, al Museo d’Arte Moderna Europea di Barcellona, oltre a mostre itineranti in Europa, Stati Uniti e Asia. Quali sono i tuoi progetti futuri?
SV – Parteciperemo a una fiera d’arte a Basilea a giugno e a una mostra collettiva in Danimarca in estate. Abbiamo anche in programma progetti nel Sud-est asiatico e negli Stati Uniti. E molto altro ancora in arrivo, restate sintonizzati!
EJ – La mostra è ospitata nell’edificio modernista dove ha sede il Museo di Storia di Bosnia Erzegovina, fondato nel 1945. Alla luce della ricchezza della sua proposta (oltre 500.000 manufatti, fotografie e materiali d’archivio) il museo è una delle istituzioni culturali più attive in Bosnia Erzegovina, e funge da museo comunitario e centro educativo. Nonostante le continue sfide politiche e finanziarie nella società del dopoguerra, il museo si impegna a preservare, ricercare e promuovere la storia e il patrimonio culturale del paese, costruendo partnership locali e internazionali, proponendo mostre, seminari e programmi incentrati sulla storia, la memoria e il confronto con il passato.
La mostra di Sabas Velasco celebra gli 80 anni di impegno costante che il Museo di Storia della Bosnia ed Erzegovina ha impiegato per la conservazione e promozione culturale, rendendo questo edificio modernista la cornice perfetta per le sue riflessioni poetiche. Grazie all’opera visionaria dell’artista spagnolo, lo spettatore si muove attraverso i paesaggi e le vite di una regione plasmata dal suo passato, ma piena di speranza per il futuro. Un sentimento che riecheggia nel leit-motif che ha ispirato la mostra stessa: il mattino cambierà tutto.
Il Museo di Storia di Bosnia Erzegovina non è l’unica struttura che promuove la cultura transnazionale nei Balcani occidentali: mentre gli studenti in Serbia si riprendono gli spazi pubblici della cultura troppo a lungo sottratti e sviliti dalla classe politica al comando, sono molte le mostre che hanno acceso i riflettori sulla necessità di uno spazio culturale comune nella regione: nel luglio 2023 la mostra itinerante Lavirint 90ih esplorava il decennio cruciale per la storia contemporanea dei Balcani, da Belgrado a Pristina passando per Zagabria, Sarajevo e Skopje, per diventare infine un museo e un centro regionale per la riconciliazione. E ancora: la biblioteca rom di Zagabria, interamente dedicata alla storia, letteratura e cultura rom per abbattere i pregiudizi verso questo popolo, il progetto tipografico Balkan Sans di Nikola Djurek, il font che combina gli alfabeti cirillico e latino per unire serbi e croati, o il festival interculturale Miredita, dobar dan! che l’anno scorso è stato vietato dalle autorità serbe.
Insomma, in un mondo in cui corruzione, amichettismo e revisionismo storico spingono sulle differenze etniche soffiando sui mai sopiti venti del nazionalismo, la cultura nei Balcani occidentali si auto assegna il ruolo di promotrice della riconciliazione, come deve essere a ogni latitudine d’altronde, valicando i confini prettamente nazionali per rivendicare uno spazio identitario all’insegna della pace e della tolleranza. Perché se la riconciliazione è un cammino lungo e tortuoso da compiere passo dopo passo, ciò che ci comunica Sebas con la sua mostra potrebbe diventare una realtà a lungo, forse lunghissimo termine: che un giorno, mattina dopo mattina, sarà tutto diverso.
Foto: Jose Delou, su gentile concessione dell’autore e del suo staff