Sono passate appena tre settimane dai caroselli dei “remember” e dai girotondi dei “mai più”. Il trentesimo anniversario del genocidio di Srebrenica in Occidente è stato celebrato come ogni anno: ricordandolo un giorno e dimenticandolo tutti gli altri.
In queste settimane è andato in scena il trionfo dell’ipocrisia dell’Unione europea. Lo scorso 11 luglio, la presidente della Commissione europea ricordava Srebrenica sul suo Instagram, scrivendo che “dobbiamo ricordare e preservare la verità, affinché le generazioni future sappiano esattamente cosa è successo a Srebrenica”. Insomma, ricordare affinché un simile orrore non venga ripetuto. Peccato però che crimini anche peggiori si stiano ripetendo tutti i giorni, da due anni, anche grazie alla complicità dell’Unione europea e di molti suoi paese membri, Italia in primis.
Nella striscia di Gaza, Israele sta deliberatamente usando la fame come strumento di guerra, causando la morte per inedia di decine di bambini palestinesi in quella che è la peggiore carestia provocata dall’uomo dopo l’Olocausto. Un crimine che va a sommarsi a bombardamenti che non hanno risparmiato campi profughi, ospedali, scuole, moschee, università e che ha ucciso almeno 60mila persone, perlopiù donne e bambini. Due anni in cui l’Unione europea dei “remember” non ha alzato un dito se non per reiterare il suo sostegno a Israele. Solo quattro giorni dopo il ricordo di Srebrenica, lo scorso 15 luglio, il Consiglio Affari Esteri dell’UE decideva infatti di non sospendere gli accordi di Associazione con Israele, di non imporre un embargo sulle armi e di non sanzionare quei ministri israeliani che invocano apertamente e senza giri di parole la pulizia etnica del popolo palestinese. A far riecheggiare l’ipocrisia di Bruxelles ci ha pensato ancora una volta la presidente von der Leyen, che il 22 luglio scorso definiva “insopportabili” le immagini dei gazawi uccisi da Israele mentre erano in coda per il pane. Se le sarebbe potute risparmiare da sola, se solo avesse evitato di sostenere un paese che da ben prima del 7 ottobre conduce una politica di apartheid, di occupazione militare dei territori palestinesi e che discrimina i propri cittadini su base etnica.
Ma a Gaza sta morendo anche la memoria di noi europei, perché se continuiamo a permettere l’attuale tonfo dell’umanità portato avanti dal governo radicale di Netanyahu, allora quelle che ripetiamo ogni 11 luglio sono solo vuote parole di ricordo. Dal 2024, questa data è stata proclamata dall’ONU come “Giornata internazionale di riflessione e commemorazione del genocidio del 1995 di Srebrenica”. E su cos’altro dovremo riflettere se non sulla coscienza di un continente che porterà per sempre dentro di sé la complicità per il genocidio in corso a Gaza?
A veder bene, viene da dire che quella di trent’anni fa fu una prova generale del nostro immobilismo: a un passo da casa, dalla durata breve, con una scarsa copertura mediatica, il genocidio di Srebrenica avvenne grazie all’abbandono dei caschi blu olandesi, sintesi del disinteresse del mondo verso un popolo, i bosgnacchi, a noi sino ad allora sconosciuto. Dal 7 ottobre, invece, lo scenario è diverso, ma il copione è molto simile. Come tutti i genocidi, anche quello palestinese segue il modello delle dieci fasi del genocidio elaborato l’indomani di Srebrenica da Gregory Stanton: classificazione, simbolizzazione, discriminazione, disumanizzazione, organizzazione, polarizzazione, preparazione, persecuzione, sterminio, negazione. A queste dovrebbe poi aggiungersi l’orgoglio. Tradizionalmente, coloro che negano sono gli stessi che sono orgogliosi del compimento di un genocidio: così come i nazionalisti serbi che negano che a Srebrenica ci sia stato un genocidio e chiamano “liberazione” quell’azione militare per la quale celebrano il generale Mladic, molti sionisti che dicono che Israele si sta difendendo sono gli stessi che sostengono la necessità di deportare due milioni di palestinesi.
Tanto ancora si potrebbe dire sulle negazioni che hanno accompagnato entrambi i genocidi, come la presunta assenza di vittime civili, sostenuta dal criminale di guerra Radovan Karadzic in merito a Srebrenica, e ripetuta dal premier israeliano un anno fa parlando di Rafah, l’ultima città della Striscia rasa al suolo da Israele. Negazioni amplificate dalle televisioni e dalle propagande di regime – che nel caso israeliano vengono rilanciate dai principali media del mondo – accusando di antisemitismo chiunque sostenga invece la verità. E chissà come reagiranno ora quei giornali – specie quelli che si definiscono liberali solo quando bisogna contrastare cose di sinistra – adesso che è caduta la maschera dell’antisemitismo e anche due ONG israeliane, nonché i più importanti studiosi (tra cui ebrei e israeliani) dell’Olocausto e della Convenzione sul Genocidio, definiscono quello che Israele compie a Gaza come genocidio.
Se il copione è lo stesso di trent’anni fa, la negazione continuerà anche quando arriveranno le sentenze. E se queste non ci saranno, la riabilitazione storica d’Israele sarà ancor più facile e i suoi crimini aberranti verranno totalmente dimenticati. In ogni caso, il ricordo di Srebrenica continuerà ad essere una performance egoriferita della memoria occidentale.