Dopo aver occupato il Centro Culturale Studentesco di Belgrado (SKC), gli studenti inneggiano all’espandersi della lotta per la liberalizzazione della cultura e per la restituzione dei centri culturali alla collettività. La rivendicazione si è propagata in altri spazi culturali della capitale e del paese intero.
La presa del Centro Culturale Studentesco
DA BELGRADO. Da una finestra del Centro Culturale Studentesco (Studentski Kulturni Centar, SKC) sventola uno striscione che recita lapidariamente: “SKC è nostro“. Sì, gli studenti se lo sono ripreso dopo che quell’edificio color crema della fine del XIX secolo era finito nel dimenticatoio sotto i colpi della politica uniformista del presidente serbo Aleksandar Vučić, molto solerte nel reprimere il dissenso politico, mediatico e culturale – emblematico in tal senso il caso del festival culturale serbo-kosovaro “Miredita, Dobar dan!” tra polemiche e cancellazioni.
L’SKC è tornato ad essere un luogo di aggregazione per i ragazzi e i cittadini, che al suo interno fanno ciò che dal primo novembre 2024, data della tragedia alla stazione di Novi Sad, riesce loro meglio: organizzare e promuovere la resistenza. Gli studenti che hanno occupato l’SKC hanno invitato tutti i dipendenti del sito e gli altri lavoratori delle istituzioni culturali studentesche a unirsi a loro nella “lotta per la cultura libera e la restituzione dei centri culturali agli studenti”. In un clima da Bastiglia 2.0, gli studenti nel neo-liberato centro hanno infatti dichiarato di lottare per la “decommercializzazione e la restituzione degli spazi studenteschi agli studenti“, dal momento che le istituzioni culturali “sono di tutti”, e come tali devono essere facilmente accessibili al pubblico.
Una presa che ha il sapore di una lenta ma inesorabile rivincita per un popolo che deve agli studenti gli importanti traguardi raggiunti in oltre quattro mesi di Blokade: dalle dimissioni del premier Miloš Vučević alla fine di gennaio, all’occupazione della TV di Stato RTS con tutta la potenza simbolica del gesto, ovvero l’infiltrazione del dissenso nella comunicazione di Stato. E ancora: dalla rissa in parlamento del 4 marzo scorso, alla costellazione di manifestazioni oceaniche in tutto il paese – l’ultima in ordine cronologico è quella del 15 marzo a Belgrado, con oltre trecentomila persone. Proteste che fanno annaspare Vučić, corso ai ripari scagliandosi dapprima contro il separatismo immaginario in Vojvodina, poi restando impantanato nel complicato processo di normalizzazione dei rapporti tra Serbia e Kosovo, e infine, braccato e messo all’angolo dal crescente risentimento popolare, minacciando il proprio martirio, dichiarandosi pronto a morire pur di non essere spodestato.
La storia dell’SKC
Fondato dall’Università di Belgrado, simbolo della lotta studentesca del 1968, l’SKC è stato il punto di convergenza prediletto dell’arte e dell’avanguardia non solo jugoslava, ma anche internazionale, coinvolgendo artisti e intellettuali da tutto il mondo negli anni Settanta e Ottanta. Complice la mancanza di finanziamenti e autonomia che ne hanno offuscato la programmazione, oltre a una classe politica poco interessata alla promozione della cultura, col nuovo millennio il centro si è lentamente declassato a spazio per attività marginali e commerciali, sempre meno frequentato dagli studenti e caduto così nell’oblio collettivo.
Tirato a lucido come non si vedeva da anni, l’SKC è tornato ora ad essere uno spazio comunitario a misura di studente e di cittadino. Al suo interno un’ampia sala e qualche tavolo con del cibo per gli studenti che sciamano qua e là consultandosi laboriosamente. Alcune studentesse hanno invece ricoperto il pavimento di una stanzetta più appartata con decine di poesie, valutando cosa pubblicare sul primo numero della rivista SKC. Di certo ai ragazzi serbi non mancano fantasia e creatività, e le centinaia di migliaia di slogan, striscioni e cartelli sbandierati e propagati in questi mesi ne sono la dimostrazione più colorata. Questi giovani che hanno tenacemente preso in mano il destino del loro paese sembrano davvero rendersi conto di essere i protagonisti di un momento storico cruciale.
In un articolo del primo notiziario studentesco, uno studente riflette sul ruolo e sull’importanza della lotta culturale in corso: “I cambiamenti sono inevitabili, non sappiamo dove questa lotta ci condurrà, ma ciò che è certo è che è stato creato uno spazio in cui gli studenti possono esprimersi attraverso un linguaggio mediatico autentico. Anche se la lotta per l’SKC non è una priorità, è fondamentale non sottovalutare l’importanza di investire nel rinnovamento della cultura studentesca, trascurata per troppo tempo. Da dieci anni infatti il regime di Vučić tiene in pugno i media, piegandoli alla narrazione politica del suo partito ed eliminando pluralismo e libertà di stampa.
Nel giro di poche settimane, l’SKC è tornato quindi ad essere uno degli spazi più gettonati per i giovani della capitale serba. Tra l’entusiasmo e l’ilarità generale, domenica 30 marzo è stato proiettato il cortometraggio “Kameleon”, epopea di due studenti infiltratisi nel cosiddetto Ćacilend (come è stato ironicamente ribattezzato l’accampamento dei sostenitori di Vučić davanti al Parlamento durante la maxi-protesta del 15 marzo); tra gli altri eventi in calendario c’è il “Blokadni FEST”, una versione studentesca e alternativa del festival internazionale annuale del cinema d’autore, un party techno, cicli di conferenze e forum sull’ecologia o sulla storia e l’architettura dello SKC, workshop di educazione ai media su come coprire le dimostrazioni. C’è persino una stazione radio.
“Pumpaj!”, una protesta in continua espansione
Gli studenti che hanno occupato l’SKC hanno avanzato una serie di richieste inderogabili, tra cui la modifica degli articoli 48, 50, 58 della Legge sugli standard degli studenti, oltre all’aggiunta di un articolo che definisce il “Plenum dei Centri culturali studenteschi”. Secondo questa proposta, il Plenum avrebbe un ruolo più importante grazie alla modifica della struttura stessa del Consiglio di amministrazione, garantendo la presenza degli studenti. La stessa dinamica dovrebbe poi essere estesa anche nelle altre città del paese.
L’SKC non è l’unica istituzione culturale ad essere tornata in mano agli studenti. Da quasi un mese è stato “liberato” anche il Centro Culturale di Belgrado (Kulturni Centar Beograd, KCB) in Piazza della Repubblica, in pieno centro a Belgrado, dove una manciata di studenti sorveglia l’ingresso giorno e notte. Da allora i cittadini sono stati invitati a partecipare alle assemblee plenarie che si tengono tre volte alla settimana nella sala audiovisivi del KBC. Durante queste riunioni viene votata la programmazione del centro: tra documentari sulla Palestina e confronti sul controverso progetto EXPO e sull’impatto ambientale (mai sopita la protesta per la questione del litio), il centro offre uno spazio per il dibattito e lo scambio di idee, coordinato con l’SKC.
Dal 15 marzo i cittadini si organizzano spontaneamente in assemblee popolari chiamate “zbor“, per riprendere il controllo sulle decisioni che riguardano direttamente la vita del quartiere o della città di appartenenza. Per quanto riguarda le città più piccole in Serbia, con centri culturali che godono di risorse minori, la speranza è che quanto successo con i centri SKC e KCB di Belgrado possa fungere da esempio. In una parola, “Pumpaj!”, come recita lo slogan-tormentone di questo enorme cataclisma sociale che sta cambiando e potrebbe influenzare drasticamente le sorti del paese.
Foto: n1info.rs