Spopolamento e invecchiamento sono certificati dal nuovo censimento in Albania i cui dati sono stati appena pubblicati.
Sempre più sparuta e sempre più vecchia. Questa la sintesi estrema dei risultati del censimento della popolazione eseguito nel 2023 in Albania e presentati il 28 giugno scorso, a Tirana, da Elsa Dhuli, direttrice generale dell’Istituto di Statistica Albanese (INSTAT).
I risultati
Costato 17 milioni di euro e parzialmente contribuito dall’Unione Europea con un finanziamento di quasi 5 milioni di euro, il censimento è il dodicesimo della storia del paese e arriva a dodici anni dal precedente, dopo essere stato rimandato più volte a causa del terremoto, prima, e dell’emergenza Covid, poi. Ritardo che ha riguardato anche l’ufficializzazione dei dati, inizialmente prevista per gennaio e poi slittata a giugno di quest’anno.
Il censimento attesta una presenza di 2,4 milioni di persone certificando – dunque – un calo di oltre quattrocento mila unità rispetto al 2011, ovvero di quasi il 15%. Una tendenza che conferma il trend avviato all’inizio degli anni ’90 del secolo scorso – quando i residenti erano ben oltre i 3 milioni – e che, di fatto, riporta la popolazione ai livelli di mezzo secolo fa. Tendenza, peraltro, quasi raddoppiata nell’ultima decade, testimoniando un’ulteriore accelerazione del processo di spopolamento dell’Albania. Ad aumentare, invece, è l’età media della popolazione che passa dai 39 anni, del 2011, ai 42 attuali.
Sebbene parzialmente giustificabile col significativo calo della natalità (il 30% in meno rispetto al 2011), i dati convergono a stabilire in modo incontrovertibile che non solo non si è ancora arrestata l’emorragia migratoria in atto da decenni, ma che la stessa riguarda – soprattutto – le fasce più giovani del paese, perlopiù sostenuta da ragioni economiche. Migrazione che alimenta la diaspora e che vede, secondo i dati pubblicati dall’istituto di ricerca statunitense Pew Research Center, ben oltre il milione gli albanesi stabilmente residenti all’estero (in Italia e Grecia, soprattutto). Un terzo degli albanesi, dunque, non vive in patria e mezzo milione di loro risiede nel nostro paese. Situazione peraltro indirettamente confermata dall’incremento delle rimesse, aumentate dell’11%: solo nel 2023 gli albanesi residenti all’estero hanno inviato a casa 930 milioni di euro.
Le polemiche interne
Malgrado l’Istituto di Statistica albanese si sia avvalso delle più moderne tecnologie e di circa 7500 addetti che hanno setacciato il paese casa per casa, i risultati del sondaggio demografico non hanno mancato di alimentare polemiche in merito alla loro attendibilità. Già all’annuncio del differimento dei dati, nel gennaio scorso, la deputata del Partito Democratico all’opposizione, Jorida Tabaku, aveva espresso il dubbio che dietro al ritardo vi fosse la volontà di “nascondere i numeri” e in particolare proprio quello degli “albanesi che hanno lasciato il paese in questi dieci anni”.
A pubblicazione avvenuta ancora Tabaku ha definito i risultati “un campanello d’allarme” per i suoi riflessi economici e sociali, nonché per la sostenibilità dei servizi essenziali. E se nel mirino delle opposizioni è finito il primo ministro, Edi Rama, colpevole di non aver saputo invertire il processo migratorio, lo stesso premier si è difeso definendo l’andamento in atto come una “normale tendenza storica”.
Lo scontro con la minoranza greca
Ma è sui dati che fotografano la condizione delle minoranze etniche nel paese che si sono accese le polemiche più roventi. Il sondaggio indica che il 99,4% delle persone sono albanesi, lasciando alle minoranze solo le briciole.
I greci – che comunque rappresentano la comunità minoritaria più numerosa – sarebbero, in particolare, circa ventitré mila. L’Unione democratica della minoranza greca, Omonoia, definisce i risultati “non affidabili e non accettabili” denunciando manipolazioni e irregolarità, finanche azioni di ritorsione verso alcuni addetti al censimento che operavano nella regione di Himarë (dove è forte la componente greca) che sarebbero stati licenziati per “aver svolto fedelmente i loro compiti”.
In sintonia con queste perplessità si è anche espresso il ministro degli esteri greco, George Gerapetitis, che ha parlato di “gravi problemi legati al censimento” mentre l’europarlamentare greco-albanese, Fredi Beleri, da mesi al centro di una accesa polemica tra Tirana e Atene a causa del suo arresto, si spinge addirittura a paventare possibili ripercussioni sul processo di adesione dell’Albania all’Unione europea.
Non dissimile la reazione dei rappresentanti della minoranza macedone, a fronte di dati che certificano un dimezzamento del gruppo (da cinquemila e duemila cinquecento). Vasil Sterjovski, presidente di Macedonian Alliance for European Integration (MAEI), partito albanese che rappresenta la minoranza etnica macedone, ha criticato i risultati sottolineando che la minoranza macedone supera le centomila persone – “concentrata principalmente a Mala Prespa, Golloborda e Gora” – e sostenendo che nei giorni delle rilevazioni alcuni “rappresentanti bulgari” si sarebbero recati in quelle aree per incoraggiare i residenti “a dichiararsi bulgari in cambio di un passaporto del paese”.
L’Albania, in definitiva, conferma pienamente la tradizione che vuole i censimenti nei paesi balcanici come occasione di scontro, rivendicazioni e polemiche pseudopolitiche assortite, testimoniando quanto tormentata e controversa sia la convivenza tra i popoli di questa regione persino all’interno dei medesimi confini. Regione dove la storia, dalla più remota a quella più recente, ha fatto e disfatto, ridisegnato e modificato frontiere, spostato fette intere di popolazioni. Esacerbato tensioni interetniche apparentemente irrisolvibili e, in definitiva, contribuito a creare le condizioni per le quali le giovani generazioni desiderano scappare. Un processo che si auto-genera reiterandosi all’infinto, alimentato da una politica miope e autoreferenziale che salva, così, solo se stessa.
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