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MACEDONIA DEL NORD: Censimento della popolazione, ecco i dati ufficiali

In Macedonia del Nord sono stati resi pubblici i dati del censimento: calo della popolazione e sostanziale stabilità nella suddivisione dei gruppi etnici. Tutti contenti?

Sono stati finalmente resi noti i risultati del censimento tenutosi lo scorso settembre in Macedonia del Nord.  I dati ufficiali sono stati resi pubblici mercoledì scorso e, come era lecito attendersi, hanno suscitato discussioni e malumori, nonché l’invitabile scia di polemiche.

I risultati

La prima considerazione riguarda la riduzione della popolazione residente di oltre il 9% rispetto alla rilevazione precedente: un calo di quasi duecentomila unità, perlopiù emigrati economici in prevalenza verso la vicina Bulgaria, che ha portato il numero complessivo di macedoni residenti in patria a poco più di 1,8 milioni (erano oltre 2 milioni secondo l’ultima rilevazione disponibile, quella del 2002).

Una diminuzione inferiore rispetto alle previsioni della vigilia – che paventavano, assai più pessimisticamente, una riduzione di almeno trecentomila persone, addirittura di mezzo milione – ma una diminuzione, tuttavia, che ferma un trend di crescita costante (interrotto solo ad inizio anni ’90 nel pieno del processo di dissoluzione della ex-Jugoslavia), riportando la popolazione ai livelli di quella residente negli anni ’70.

Il quadro della composizione etnica, al contrario, è rimasto sostanzialmente immutato indicando una prevalenza dell’etnia macedone su quella degli altri gruppi. Il calo percentuale dei macedoni, passati dal 64% al 58%, è tuttavia da attribuire – quantomeno in parte – alla mancata risposta al censimento di oltre 130 mila persone. Gli albanesi restano l’etnia dominante nel settore nord-occidentale del paese – confinante con la “madre patria” e con il Kosovo – ma arretrano, seppure impercettibilmente, dal 25,1% al 24,3%: una flessione minima ma comunque significativa poiché fotografa l’interruzione di una crescita continua, in atto fin dal secondo dopo guerra e che li portati progressivamente a raddoppiare il proprio peso percentuale.

Considerazioni analoghe per gli altri gruppi etnici, con i turchi che si confermano sotto al 4% – un dato grossomodo costante negli ultimi quarant’anni ma molto lontano dal 15% rilevato negli anni ’50 – e i rom al 2,5%. Molto minoritari tutti gli altri gruppi tra i quali solo i serbi superano l’1%, comunque in calo e quasi dimezzati rispetto al periodo jugoslavo.

Oltre ai numeri

Fin qui i numeri che, in teoria, dovrebbero offrire la fredda cronaca. Dovrebbero, appunto, poiché il censimento era stato a lungo ostacolato al punto da essere reiteratamente rinviato e, addirittura, interrotto a rilevazione in corso, nel 2011.

Da più parti venivano ventilati timori di brogli finalizzati a fornire un quadro etnico difforme da quello reale, favorendo un gruppo piuttosto che un altro. Al centro di questi timori soprattutto il “peso” – e quindi la rilevanza politica e sociale – degli albanesi: nei mesi precedenti il censimento era stato il principale partito d’opposizione – il partito nazional-conservatore Organizzazione Rivoluzionaria Interna Macedone (VMRO-DPMNE) – a mettere il bastone tra le ruote temendo che la conta evidenziasse un indesiderato aumento percentuale degli albanesi, ben oltre la soglia del 20% che comunque assicura, secondo quanto previsto dalla Costituzione del paese e dagli accordi di Ohrid del 2001, il godimento di particolari diritti politici e sociali, incluso il riconoscimento della propria lingua come lingua ufficiale.

Un timore peraltro condiviso dal Sinodo della chiesa ortodossa preoccupata di vedere ulteriormente salire la percentuale dei musulmani che rappresentano, oggi, il 32% della popolazione (grossomodo la somma di albanesi, turchi e bosgnacchi), più o meno la stessa di vent’anni fa.

Nell’immediatezza della rilevazione era stato invece il partito d’opposizione di estrema sinistra, Levica, ad invitare i macedoni al boicottaggio paventando una non ben definita preoccupazione di manipolazione dei dati relativi all’effettivo impatto della pandemia nel paese. Ma le polemiche non sono mancate, tuttavia, anche a rilevazione in corso: Denis Selmani, rappresentante dell’associazione civica rom, Avaja, aveva denunciato il presunto rifiuto di alcuni addetti a rilevare correttamente l’etnia rom. E, ancora, l’Organizzazione di coordinamento nazionale per il censimento dei turchi nella Macedonia del Nord, un’organizzazione che unisce ONG, partiti politici e intellettuali turchi, aveva lamentato uno scarso numero di addetti di etnia turca e presunti problemi nella traduzione in turco dei moduli online.

Tanto rumore per nulla

A censimento avvenuto e a dati pubblicati a spiccare sono invece solo le dichiarazioni di soddisfazione del responsabile dell’Ufficio statistico di Stato, Apostol Simovski, che ha parlato di un’operazione “portata a termine con successo e professionalità” e di risultati che “rispecchiano la realtà”.

Profilo basso e toni misurati anche tra i rappresentati del governo, tra i quali Ali Ahmeti, leader dell’Unione Democratica per l’Integrazione, partito etnico albanese, al governo con l’Unione Socialdemocratica del primo ministro Dimitar Kovačevski, che ha parlato di “quadro chiaro”. Nessuna dichiarazione ufficiale, invece, da VMRO-DPMNE.

Evidentemente l’opinione dominante è che alla fine le cose sono andate come dovevano andare e che i numeri sono quelli che ci si aspettava. Gli albanesi, vero snodo centrale del contendere, sono rimasti sopra la soglia critica del 20% ma non sono cresciuti troppo, anzi.

Tutti contenti quindi? Non proprio: a non pensarla così sono ancora i turchi che, per bocca del portavoce del ministero degli esteri della Turchia, Tanju Bilgiç, ha annunciato che non avrebbe riconosciuto i risultati del censimento supponendo una notevole sottostima dell’etnia turca, molto lontana dal 6% ritenuto più aderente allo stato di fatto. Il timore, ora, è che anche la Bulgaria possa accodarsi alle rimostranze – meno di quattro mila bulgari ufficialmente registrati contro i centomila stimati da Sofia – esacerbando il difficile clima tra i due paesi che, di fatto, ostacola il processo di adesione della Macedonia del Nord all’Unione europea.

Virgola più virgola meno, la Macedonia del Nord ha il suo censimento e può pensare di pianificare il proprio futuro con maggiore consapevolezza. Un’altra prova di maturità del paese, una prova che nei Balcani non è ancora stata superata da altri, come Bosnia, Kosovo e Montenegro, che si approcciano al censimento della loro popolazione tra rinvii e immancabili polemiche tra gruppi etnici.

(Foto: Albaniaoggi.com)

Chi è Pietro Aleotti

Milanese per caso, errabondo per natura, è attualmente basato in Kazakhstan. Svariati articoli su temi ambientali, pubblicati in tutto il mondo. Collabora con East Journal da Ottobre 2018 per la redazione Balcani ma di Balcani ha scritto anche per Limes, l’Espresso e Left. E’ anche autore per il teatro: il suo monologo “Bosnia e il rinoceronte di pezza” ha vinto il premio l’Edizione 2018 ed è arrivato secondo alla XVI edizione del Premio Letterario Internazionale Lago Gerundo. Nel 2019 il suo racconto "La colazione di Alima" è stato finalista e menzione speciale al "Premio Internazionale Quasimodo". Nel 2021 il racconto "Resta, Alima - il racconto di un anno" è stato menzione di merito al Premio Internazionale Michelangelo Buonarroti.

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