Il Pride 2025 sfila per le vie di Belgrado e si unisce alle proteste antigovernative per chiedere diritti e libertà
Il 6 settembre scorso si è tenuta a Belgrado la marcia annuale del Pride, che in questa edizione si è intrecciata con le proteste anti-governative che scuotono il paese da undici mesi. Pur aderendo alla lotta degli studenti per una Serbia libera e democratica, gli obiettivi della parata sono comunque ben definiti: ottenere diritti per la comunità arcobaleno, ottenere libertà per tutti e liberarsi finalmente dall’oppressione del regime del presidente Aleksandar Vučić.
Lo slogan ufficiale dell’edizione appena conclusa è stato “Za porodicu” (per la famiglia), scelto per sottolineare sia l’importanza che i valori familiari rivestono per la comunità LGBTQIA+ sia il diritto di ogni individuo di costituire una famiglia legalmente riconosciuta, a prescindere dall’orientamento sessuale.
La parata è stata solo il momento finale di una Pride Week ricca di iniziative: conferenze, workshop, performance teatrali, mostre, feste drag, eventi sportivi e laboratori di comunità presso il centro culturale “Grad” (Pride House), oltre ad attività specifiche dedicate alle donne queer. La giornalista Olivera Kovačević è stata nominata madrina dell’edizione 2025 e come tale si è posta alla guida della sfilata. Una sfilata che si è svolta pacificamente, senza incidenti, grazie a un imponente dispositivo di polizia che ha vigilato lungo il percorso. L’atmosfera è stata volutamente più sobria che in passato: al posto della musica, i partecipanti hanno scelto di generare “rumore” per farsi ascoltare e rafforzare così il messaggio politico della protesta.
Le richieste
Dal palco della marcia e attraverso gli interventi, il Pride ha ribadito richieste fondamentali e ancora non soddisfatte, tra cui l’adozione della Legge sulle Unioni Civili tra persone dello stesso sesso che garantisca diritti come visita ospedaliera, proprietà coniugale, eredità; l’approvazione della Legge sull’identità di genere e tutela per le persone intersessuali; piani d’azione a livello locale per migliorare la situazione della comunità LGBTQIA+; scuse pubbliche per tutti coloro che sono stati perseguitati a causa del proprio orientamento sessuale o identità di genere prima del 1994; accesso rapido ed efficiente a profilassi PrEP e PEP; e standardizzazione del servizio “Field Associate” presso il Ministero del Lavoro e degli Affari Sociali. La partecipatissima edizione del 2024 ribadiva esattamente le stesse richieste legali: unioni civili e identità di genere.
Il “Beograd Prajd” si inserisce in una storia di lotta e progressi. Dopo anni di tensioni, cancellazioni e violenze (come il sanguinoso episodio del 2010), dal 2014 le marce si svolgono con maggiore regolarità e sicurezza – anche se la società civile non è ancora totalmente pronta a riconoscere i diritti della minoranza arcobaleno, complice anche l’azione e la propaganda della potente Chiesa ortodossa serba.
Orgoglio arcobaleno e rivendicazioni studentesche
La madrina di quest’anno ha dichiarato che questa edizione non era soltanto una celebrazione, ma una vera protesta pubblica che unisce la comunità LGBTQIA+ con le lotte studentesche e civili in corso in Serbia. In particolare, il Pride ha espresso solidarietà con gli studenti e cittadini che da mesi manifestano contro il governo, denunciando la brutalità della polizia e chiedendo reali cambiamenti sia a livello politico e sociale.
“Non possiamo chiudere gli occhi su ciò che sta accadendo nel nostro Paese”, hanno affermato gli organizzatori della parata, aggiungendo che il Pride “non renderà normale ciò che normale non è”, con riferimento alla violenza usata abitualmente dalla polizia. Al raduno nel centro di Belgrado i partecipanti hanno esposto striscioni, tra cui uno con la scritta “Gay contro lo stato di polizia!“.
Le proteste, la repressione e le preoccupazioni del Parlamento europeo
E il clima nel paese è davvero molto teso. Il ferragosto è stato all’insegna delle proteste e della repressione violenta da parte delle forze dell’ordine: per tutta la settimana si sono verificati scontri tra polizia e manifestanti a Belgrado in varie città dal nord al sud del paese, con denunce di brutalità e uso eccessivo della forza da parte dei gendarmi. Le dichiarazioni di preoccupazione e gli inviti alla calma da parte dei rappresentanti internazionali – dal segretario del Consiglio d’Europa Alain Berset alla Commissaria europea all’Allargamento Marta Kos – non sembrano finora aver sortito effetti.
Nella settimana del Pride, il 5 settembre, mentre le proteste in tutto il paese non accennavano a placarsi, a Novi Sad – città della Voivodina epicentro della rivolta – migliaia di manifestanti si sono radunati per un comizio tenutosi prima di raggiungere il campus universitario cittadino. Senza alcun motivo la polizia è intervenuta per disperdere la folla utilizzando gas lacrimogeni e granate stordenti. Parlando dell’incidente, il ministro degli Interni Ivica Dačić ha dichiarato all’emittente statale RTS che 13 agenti di polizia sono rimasti feriti in seguito a un “attacco massiccio e brutale” da parte dei dimostranti, 42 dei quali sono stati arrestati, mentre il presidente Vučić ha affermato che i manifestanti stavano tentando di “minacciare la stabilità e la sicurezza della Serbia” e di occupare i locali dell’università di Novi Sad.
Le reazioni europee
Le tensioni nel paese balcanico sono talmente accese e complesse che sono state inserite nell’agenda del Parlamento europeo. Martedì 9 settembre l’emiciclo di Strasburgo ha discusso della situazione nel paese e di come ha reagito il governo serbo. Intervenendo in aula, la commissaria Marta Kos ha dichiarato che c’è un “grave problema” a Belgrado e che è necessario “porre fine con urgenza alla violenza e agli atti vandalici nelle strade”. Per Kos la parola d’ordine deve essere “de-escalation” e in tal senso l’obiettivo primario è il rispetto da parte di Belgrado degli accordi in termini di libertà dei media e funzionamento della macchina democratica. “Vogliamo una Serbia realmente libera nell’Unione europea”, concetto che stando a quanto sostiene la commissaria è in contrasto con le azioni portate avanti dal governo di Belgrado e dal presidente Vučić: in primis la sua partecipazione alle parate militari di Mosca e Pechino, che Kos definisce uno “schiaffo” ai membri del Parlamento europeo. Secondo la commissaria è tassativo che il governo serbo attui al più presto riforme credibili e concrete, per portare risultati tangibili contro corruzione e per lo stato di diritto, la libertà dei media e una nuova legge elettorale.
Anche la presidente OSCE – Ministro degli Esteri della Finlandia Elina Valtonen – è stata in visita a Belgrado, dove il 15 settembre ha dichiarato che nel processo di riforme della Serbia restano centrali la democratizzazione, la libertà dei media e di espressione, lo stato di diritto e i diritti umani, assicurando al contempo la prosecuzione e il rafforzamento della positiva partnership dell’OSCE con Belgrado.
Queste dichiarazioni, tuttavia, non sembrano avere effetto sul presidente Vučić. “La gente in Serbia dovrebbe sapere che lo Stato è più forte di chiunque altro, e così sarà sempre”, ha tuonato laconico il presidente dopo gli scontri di Novi Sad di inizio mese. Il suo sberleffo ai manifestanti, condensato in quel condizionale irriverente e beffardo, sembra prendere le tinte fosche dell’avvertimento, l’ultimo monito del dittatore esasperato: lo Stato è mio e faccio come mi pare, ormai dovreste saperlo.
Foto: prajd.rs