SERBIA: Sepolto con tutti gli onori il generale e criminale di guerra Nebojša Pavković

La morte dell’ex generale Nebojsa Pavkovic riporta in evidenza come la Serbia fatichi a fare i conti con la storia degli anni ’90 e le sue responsabilità, mentre il governo ne approfitta per aumentare la pressione sulla società e sui giovani.

È morto il 20 ottobre a Belgrado, a 79 anni, il generale Nebojša Pavković, criminale di guerra. Già capo di stato maggiore dell’esercito jugoslavo dal febbraio 2000 al giugno 2002, Pavković si era consegnato alla giustizia nel 2005 ed era stato condannato dal Tribunale dell’Aja nel 2009 a 22 anni di reclusione per crimini di guerra, deportazioni, trasferimenti forzati, omicidi e persecuzioni di civili albanesi in Kosovo nel 1998-1999. Dopo aver scontato 20 anni di reclusione in Finlandia, Pavković era stato scarcerato a settembre per gravi motivi di salute ed era rientrato nella capitale serba, dove invece è considerato un generale leale e fedele alla Nazione.

I crimini di guerra commessi dal generale Pavković in Kosovo

L’atto d’accusa contro Pavković comprendeva cinque capi d’imputazione, suddivisi tra crimini contro l’umanità e violazioni delle leggi sulla guerra. Tra questi troviamo l’espulsione forzata di oltre 800.000 civili albanesi del Kosovo verso Albania, Macedonia e Montenegro e l’uccisione sistematica di civili in luoghi come Djakovica, Pec e Orahovac. In molti casi le vittime erano persone non combattenti come anziani, donne o bambini.

Nel villaggio di Bela Crkva, non lontano da Orahovac, l’armata comandata da Pavković giustiziò 62 civili albanesi, tra cui donne e bambini, e il villaggio venne poi dato alle fiamme. Un massacro raccontato nei giorni scorsi per Koha Ditore anche dal giornalista kosovaro Veton Surroi, che riporta la voce dei testimoni del crimine.

Secondo i giudici dell’Aja, come comandante dell’esercito Pavković aveva conoscenza diretta delle operazioni militari in questione, non prese misure per prevenirli o per punire gli autori e invece fece parte di un “piano criminale congiunto” assieme ad altri ufficiali, tra cui Nikola Šainović e Sreten Lukić. L’obiettivo era quello di «rimuovere in modo permanente gran parte della popolazione albanese del Kosovo tramite omicidi, deportazioni e persecuzioni sistematiche.»

Il governo serbo gli rende onore, dimenticandone i crimini

La notizia della sua morte ha avuto enorme risalto in Serbia dove sia il presidente Aleksandar Vučić e sia il Primo Ministro Djuro Macut hanno espresso profondo cordoglio alla famiglia. Il presidente, che durante il conflitto nel Kosovo era ministro dell’informazione, ha ricordato il Comandante della Terza Armata sottolineando il suo lungo servizio nell’esercito jugoslavo (JNA) e poi in quello serbo.

Secondo Vučić, Pavković «ha svolto il proprio dovere con un forte senso di responsabilità, dedizione e appartenenza. Generazioni di soldati e ufficiali lo ricorderanno per il suo impegno, la disciplina e la convinzione che l’uniforme si indossa con onore e la parola data si mantiene come un voto.» Di simile entità le parole di cordoglio arrivate da Milorad Dodik, leader politico dei serbo-bosniaci: «un patriota che ha svolto il suo dovere in modo onorevole e responsabile».

Pavkovic il 22 ottobre scorso è stato sepolto con tutti gli onori nel Viale dei Cittadini Meritevoli del nuovo cimitero di Belgrado. Come riportato da Balkan Insight secondo i regolamenti comunali di Belgrado un cittadino è meritorio della sepoltura con onori se durante la sua vita «si è distinto e ha dato un contributo rilevante al campo di lavoro in cui è stato attivo». Dall’aprile 2024 a decidere su tali meriti è una commissione composta da membri dei ministeri, dell’Accademia serba delle scienze e delle arti e del Comitato olimpico della Serbia.

I colleghi di Pankovic e la connivenza del ministro della difesa serbo

Al funerale di Pavković hanno partecipato due ministri dell’attuale governo serbo, Bratislav Gašić per la Difesa e Nikola Selaković per la Cultura, nonché molteplici altri funzionari pubblici. Erano presenti anche due esponenti dell’«organizzazione criminale congiunta» di cui faceva parte Pavković ovvero gli ex generali Vladimir Lazarević e Nikola Šainović. Entrambi sono liberi e in Serbia poiché scarcerati nel 2015 per buona condotta dopo aver scontato tre quarti della pena. Šainovic, che in seguito al conflitto è stato anche vice primo ministro nel governo di Slobodan Milošević, ha scontato la sua pena in Svezia, mentre Lazarević in Polonia.

Quest’ultimo da quando è tornato in Serbia tiene frequenti conferenze e nel 2017 all’Accademia Militare elogiò «l’eroismo e l’umanità» dei soldati serbi durante il conflitto in Kosovo, definito «operazione di antiterrorismo» – una linea comunicativa che era stata già utilizzata dallo stesso Milošević nel 1999 e che riporta alla mente la narrativa usata oggi da Putin per giustificare l’invasione russa dell’Ucraina.

Il rapporto di stima e rispetto tra Pavković, i suoi colleghi e l’attuale governo serbo non sono del resto una novità: lo stesso Pavković, anche mentre era in carcere a Helsinki, ha scritto libri poi pubblicati dal Ministero della Difesa serbo, ed ha partecipato ad alcuni programmi sia televisivi che online su YouTube.

Le critiche di società civile e opposizione 

Una situazione condannata dal Centro per il Diritto Umanitario (HLC) di Belgrado, secondo cui si è trattato di una vera e propria negazione dei fatti stabiliti dai tribunali, e una beffa delle vittime. “Conferendo onorificenze statali a un criminale di guerra condannato, oltre a dare un’immagine fasulla di ‘onore, coraggio e servizio alla patria’, il governo aumenta la pressione sulla società serba, in particolare sui giovani, affinché si schieri in difesa degli ‘eroi che hanno difeso il popolo serbo’, presumibilmente condannati ingiustamente”, ha dichiarato l’associazione.

Critiche sono arrivate anche dal deputato dell’opposizione Dobrica Veselinovic: “Come società, dobbiamo smettere di deviare dai sentieri battuti con politici che ci hanno già più volte messo in conflitto con il mondo intero, [ci hanno fatto] litigare con i nostri vicini e hanno condotto migliaia di persone alla morte. La sepoltura [con onori militari] manda un messaggio sbagliato e pericoloso!“, ha commentato.

Eventi come la morte del generale Pavković riportano all’onore della cronaca quella frattura, ancora esistente in molti paesi balcanici, riguardo il racconto della guerra degli anni ’90 e su coloro che hanno commesso crimini di guerra durante quel conflitto. Una distanza tra realtà e memoria che è accentuata dalla politica e a cui per porre un freno non sembra bastare il solo il passare del tempo.

Foto: MoD.Gov.RS

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Chi è Andrea Mercurio

Ho 26 anni, sono laureato in Scienze Politiche, amo scrivere in ogni modo e in ogni forma. Sono appassionato di Storia e Attualità, da qualche anno mi sono interessato in particolare ai Balcani.

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