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SERBIA: Il caso Bogdan Jovicic e la repressione del dissenso

Dopo oltre un mese di detenzione, il caso Bogdan Jovičić, lo studente serbo arrestato durante una protesta antigovernativa a Novi Sad il 14 agosto scorso, è arrivato davanti alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

L’arresto

Le proteste degli studenti e dei cittadini scuotono la Serbia da ormai quasi un anno, esattamente dal 1° novembre 2024, quando il crollo della tettoia della stazione di Novi Sad, città a nord del paese, ha causato la morte di ben 16 persone. Da allora, la popolazione si è mobilitata alla ricerca di risposte e per denunciare la corruzione che dilaga all’interno della classe dirigente e del governo autoritario del presidente Aleksandar Vučić.

Fin dall’inizio le proteste sono state caratterizzate da una forte repressione da parte delle forze dell’ordine, con scontri violenti, arresti sommari e il presunto utilizzo di armi soniche – illegali – per disperdere la folla in protesta pacifica. L’attivista Uroš Jovanović, membro dell’organizzazione non governativa Građanske Inicijative (Iniziative Civiche), ha dichiarato che la brutalità della polizia è una realtà in Serbia e che per un cittadino che si trova di fronte ad un agente è normale aspettarsi comportamenti violenti o non consoni alla legge da parte sua.

Bogdan Jovičić, giovane studente e attivista serbo, è diventato emblema di questa sistematica repressione del dissenso messa in atto dal governo Vučić. Jovičić, infatti, è stato arrestato il 14 agosto scorso durante una protesta svoltasi proprio a Novi Sad, con l’accusa di aver attaccato e deturpato la sede del partito di governo – il Partito Progressista Serbo (SNS). Il fermo previsto era di 30 giorni, ma le cose sono andate diversamente.

La detenzione e le reazioni interne

Il 12 settembre, quasi allo scadere dei 30 giorni di fermo, il Tribunale ha deciso di prorogarlo di ulteriori 30 giorni, senza fornire particolari spiegazioni in merito alla decisione e rifiutando il ricorso del suo avvocato, Srđan Kovačević. Detenuto nel carcere di Novi Sad, Jovičić ha quindi intrapreso uno sciopero della fame in segno di protesta.

Le condizioni di salute del giovane si sono aggravate nel giro di pochi giorni, tanto che, il 17 settembre, è stato necessario il trasferimento all’Ospedale Speciale del carcere di Belgrado. Tuttavia, gli studenti serbi hanno denunciato una mancanza di trasparenza sulla comunicazione delle reali condizioni di salute del giovane attivista da parte delle autorità competenti.

Inoltre, un episodio che ha destato particolare sdegno tra i cittadini serbi è stato l’accompagnamento di Jovičić con i piedi ammanettati al funerale del padre, venuto a mancare durante la sua custodia. Questo non ha fatto altro che indignare ulteriormente gli studenti di fronte alle sproporzionate misure prese dalle autorità giudiziarie, scatenando una nuova ondata di proteste in cui non sono mancati nuovi violenti episodi da parte delle forze di polizia, tra cui lanci di gas lacrimogeni e granate stordenti.

In merito al caso Bogdan Jovičić si è espresso – piuttosto freddamente – anche il presidente Vučić, secondo il quale: “È stato arrestato perché ha usato la violenza più brutale contro la proprietà altrui, […] senza vergogna o paura, orgoglioso di ciò che stava facendo. Credo che ogni cittadino dovrebbe condannare quell’azione e dire: sì, se lo meritava”.

Non è un paese per giovani

Il caso Jovičić ha subito attirato l’attenzione di attivisti, organizzazioni che si occupano di diritti umani e di diversi esponenti dell’opposizione. Anche il Partito Socialista Europeo e il Partito Democratico Europeo ne hanno richiesto il rilascio tempestivo, sottolineando come il trattamento a lui riservato fosse eccessivo rispetto alle accuse.

La svolta è arrivata quando l’avvocato del giovane ha deciso di rivolgersi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), con sede a Strasburgo, senza però aver prima esperito tutte le vie di ricorso interne – passaggio solitamente necessario per poter adire la Corte. In quanto membro del Consiglio d’Europa, la Serbia è tenuta a rispettare la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo che tutela, tra gli altri, anche il diritto alla libertà di espressione (art. 10).

Il 23 settembre il giudice della CEDU, Peeter Roosma, ha annunciato che la Corte avrebbe preso in esame il caso di Jovičić, invitando al tempo stesso lo studente a interrompere lo sciopero della fame che durava da oltre dieci giorni. Se la Corte decidesse di procedere, sarebbe la prima volta che un caso serbo approda a Strasburgo.

L’apertura della CEDU rappresenta dunque una vittoria importante per la società civile serba: non solo segna un ulteriore passo nella lotta per la libertà di espressione, ma è anche un chiaro monito all’autoritarismo di Vučić. Come scrive il Partito Socialista Europeo: “Questi giovani si ribellano alla repressione e rivendicano una Serbia in cui regnino libertà, verità e giustizia. La loro lotta non è solo legittima, ma anche essenziale per il futuro della società democratica nella regione”.

In un momento storico che vede il ritorno in auge dei governi autoritari e della repressione della voce collettiva, il caso Jovičić deve rappresentare un simbolo di resistenza e di coraggio civile – che la scrittrice e attivista per i diritti umani Svetlana Broz definiva come “la capacità di resistere, opporsi e disobbedire a chi abusa del proprio potere e viola leggi e diritti umani” – non solo in Serbia, ma in tutta Europa.

Fonte immagine: Andrej Isaković/AFP/PES

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