Il presidente della Serbia Aleksandar Vučić ha annunciato la sospensione delle esportazioni di armi verso Israele il giorno dopo una manifestazione filo-palestinese che ha radunato centinaia di persone nel centro di Belgrado.
La manifestazione pro-Palestina a Belgrado
Lunedì 23 giugno, dopo una seduta del Consiglio del Capo di Stato Maggiore delle Forze Armate Serbe, il presidente serbo Aleksandar Vučić ha annunciato la sospensione delle esportazioni di armi verso Israele. La dichiarazione è giunta il giorno dopo una manifestazione organizzata nel centro di Belgrado dagli studenti del collettivo Podrška narodu Palestine – Srbija/ Support to the people of Palestine – Serbia che chiede appunto lo stop delle forniture.
Domenica 22, centinaia di persone hanno occupato l’incrocio di fronte al Centro Giovanile (Dom Omladine) di Belgrado, dopo aver marciato lungo il viale principale del centro città. Tra lo sventolare di bandiere palestinesi e iraniane, vari slogan rimarcavano la volontà dei manifestanti: da quelli anti-NATO al più esplicito “Israele uccide i bambini – gli Stati Uniti proteggono gli assassini”, passando per l’ormai celebre “Jedan svet, jedna borba” (un mondo, una lotta), diventato emblematico in seguito alla manifestazione dello scorso aprile a Novi Pazar, città a maggioranza musulmana nella Serbia meridionale.
All’inizio di giugno, il Centro Giovanile avrebbe dovuto ospitare il “Festival del cinema israeliano“, rinviato a data da destinarsi a causa della pressione pubblica, in particolare grazie alla mobilitazione del collettivo di cui sopra. Le “Giornate del cinema palestinese” si sono invece regolarmente tenute presso il Centro Culturale Studentesco (SKC) di Belgrado, occupato dagli studenti lo scorso febbraio, in uno dei numerosi episodi di protesta che va avanti dallo scorso novembre, in seguito alla tragedia della stazione ferroviaria di Novi Sad.
Solidarietà popolare e eredità jugoslava
Il collettivo Support to the people of Palestine – Serbia sostiene la lotta del popolo palestinese attraverso iniziative culturali e artistiche, memore della lunga storia di solidarietà che lega il popolo serbo a quello palestinese, un legame che risalirebbe all’epoca della Jugoslavia, ai tempi leader dei Paesi non allineati e quindi apertamente anti-imperialista.
Dopo aver inizialmente riconosciuto lo Stato di Israele nel 1948, la Jugoslavia cambiò rotta in seguito alla scissione tra Tito e Stalin e all’adozione della politica del “non allineamento”. Sostenne inoltre attivamente la lotta palestinese interrompendo le relazioni diplomatiche con Israele e riconoscendo l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) come legittimo rappresentante del popolo palestinese. Fornì inoltre assistenza umanitaria, militare, diplomatica e culturale.
Questo supporto si espresse anche attraverso l’accoglienza di migliaia di studenti palestinesi titolari di borse di studio, che nei primi anni ’70 rappresentavano quasi la metà degli studenti stranieri in Jugoslavia. La solidarietà con la Palestina si radicò anche tra le classi lavoratrici, attraverso mobilitazioni guidate dai sindacati, dalla Croce Rossa e dalla Lega della Gioventù Comunista di Jugoslavia.
Il rapporto Serbia-Israele
Il rapporto tra Serbia e Israele presenta lati controversi, alcuni dei quali risalgono al tempo delle guerre jugoslave degli anni ’90, quando Israele contribuì al genocidio di Srebrenica inviando armi alle truppe serbe e serbo-bosniache, nonostante l’embargo posto dalle Nazioni Unite a tutta la ex Jugoslavia. Le relazioni privilegiate tra Israele e la Serbia sono proseguite anche nel dopoguerra.
Nel luglio 2018, il presidente israeliano Reuven Rivlin e quello serbo Aleksandar Vučić intitolavano una strada del sobborgo belgradese di Zemun a Theodor Herzl, fondatore del sionismo, portando EJ a riflettere su una questione spinosa e poco conosciuta: il sionismo nasce in Serbia? Inoltre, all’indomani delle azioni di Hamas del 7 ottobre 2023, Vučić ha tenuto a ricordare che “il popolo ebraico è sopravvissuto a grandi sofferenze, ed è per questo che Israele merita una vita pacifica e sicura”.
Secondo un’inchiesta del BIRN condotta all’inizio di quest’anno la Serbia nel 2024 ha esportato 42,3 milioni di euro di munizioni verso Israele, con un aumento di 30 volte rispetto al 2023. In cambio di queste esportazioni, la Serbia avrebbe ricevuto da Israele sofisticati strumenti di spionaggio. Grazie a un rapporto di Amnesty International pubblicato nel dicembre 2024, che ha evidenziato l’entità della repressione digitale volta a soffocare i movimenti di protesta in Serbia, si ritiene che l’azienda israeliana Cellebrite sia responsabile di uno strumento di estrazione dati da telefoni cellulari utilizzato dalle autorità serbe. Gli strumenti di Cellebrite hanno permesso alle autorità di sbloccare, senza password, i telefoni di giornalisti e attivisti interrogati dalla polizia. La Serbia avrebbe anche importato armi soniche tramite l’azienda Jugoimport SDPR, come il cannone sonico utilizzato contro i manifestanti durante la maxi-protesta del 15 marzo a Belgrado.
La Serbia di Vučić: la tentazione della neutralità
All’inizio di giugno il presidente serbo aveva dichiarato al Jerusalem Post che la Serbia avrebbe continuato a sostenere Israele con la fornitura di armi. Dall’ascesa al potere di Vučić, la politica estera serba si barcamena in un – talvolta goffo – gioco di equilibri tra Russia, Cina, Stati Uniti e Unione Europea, pur tra clamorose provocazioni: l’ultima in ordine di tempo è stata la partecipazione alla parata dell’8 maggio a Mosca, con la conseguente irritazione dell’UE. Non solo: la Serbia non ha ancora adottato alcuna sanzione contro la Russia dopo l’invasione dell’Ucraina, e le rotte aeree su Mosca sono tuttora operative.
La Serbia mantiene formalmente una posizione neutrale sia nello scenario della guerra in Ucraina che in quello del conflitto israelo-palestinese. Pare che stia tentando la stessa strategia nel conflitto tra Israele e Iran. Ed è anche da verificare se la volontà di Vučić di sospendere le esportazioni di armi a Israele si tradurrà in azioni concrete oppure se si tratta della solita dichiarazione senza alcun risvolto effettivo, come ci ha abituato da anni. Insomma, nulla di nuovo (su tutti i fronti): il doppiogiochismo del presidente serbo resta ancora la sua arma preferita.
Foto: megafon.ba