Grandi manovre in vista tra gli eserciti cinese e serbo in questi giorni di fine luglio. Esercitazioni militari tra unità delle forze speciali dei due paesi sono infatti pianificate nella provincia di Hebei, nel nord dello stato asiatico, nell’ambito di un piano di addestramento denominato “Peacekeeper 2025“.
Le esercitazioni
A darne notizia è stato lo stesso Ministero della Difesa cinese che ha voluto inquadrare l’operazione in un contesto di miglioramento della “capacità di combattimento” e, ancor più significativamente, di “approfondimento della cooperazione”, mentre – dal canto suo – l’omologo serbo non ha inteso fornire alcun dettaglio in merito. Il riferimento cinese alla “cooperazione” ha ragion d’essere nella collaborazione in campo militare tra i due stati, ormai consolidata da anni; collaborazione che ha portato la Serbia a comprare droni di fabbricazione cinese e a collaborare con aziende aerospaziali statali cinesi nello sviluppo del drone “Pegaz”, nonché – nel 2022 – ad acquistare il sistema missilistico cinese FK-3 (unico stato europeo a farlo) sottoponendo il personale all’addestramento per il suo impiego, direttamente in Cina.
Dalla “neutralità” militare ai mal di pancia dell’Europa
L’operazione “Peacekeeper 2025” sembra dunque rientrare pienamente nell’ambito di quella “neutralità militare” che la Serbia ha esplicitamente evocato già dal 2007 con l’adozione in parlamento di una risoluzione sulla protezione della sovranità, dell’integrità territoriale e dell’ordine costituzionale della Repubblica di Serbia. E che è stata poi ribadita nel documento “Defence Strategy of the Republic of Serbia” del 2021.
Una “neutralità” che, in concreto, si traduce nella messa in atto di una disinvolta politica di cooperazione con questo e quel partner, con questo o quel paese, seconda dell’abbisogna. E se è dunque vero che la Serbia è – ad oggi – impegnata in svariate operazioni multinazionali a guida Unione Europea e in altrettante missioni di peacekeeping per conto ONU (la più importante l’UNIFIL in Libano, dove è presente con circa 180 effettivi), è altresì vero che essa ha spesso condotto esercitazioni congiunte sia con le forze armate statunitensi che con quelle russe, perlomeno fintanto che Putin non s’è deciso a invadere l’Ucraina.
Ma quella con la Cina di questi giorni è, a tutti gli effetti, una “prima volta” per un paese candidato all’UE: mai prima d’ora, infatti, un paese europeo s’era spinto a tanto, nemmeno la Serbia, malgrado una consolidata tradizione di spregiudicato equilibrismo e malgrado negli anni scorsi i due paesi avessero già svolto addestramenti congiunti di polizia ed esercitazioni antiterrorismo sia in Serbia che in Cina. Ma nulla di comparabile a quanto ora prospettato.
Una situazione che non è ovviamente passata inosservata a Bruxelles, che non ha mancato di evidenziare quanto l’iniziativa mini dalle fondamenta il (millantato?) orientamento di Belgrado verso l’UE, “contraddica le posizioni di politica estera dell’Europa” e, infine, comprometta la sua credibilità “come partner europeo affidabile impegnato a rispettare principi, valori e sicurezza comuni”.
Nessun commento ufficiale dalla NATO con la quale la Serbia ha comunque un “Partenariato per la pace”, ovvero un programma di cooperazione bilaterale che la lega all’Alleanza come paese non membro. C’è da giurarci, però, che anche da quelle parti non l’abbiano presa bene.
Le relazioni con la Cina
Questa vicenda rappresenta con ogni evidenza un ulteriore tassello di una cooperazione sempre più stretta tra i due paesi, cooperazione che fanno della Cina il principale partner commerciale per la Serbia con un import di oltre cinque miliardi di euro solo nel 2024 e, in generale, una fonte imprescindibile di investimenti a tutto tondo (pervasiva, come noto, la penetrazione di Pechino in tutto il paese).
Uno scambio di cui il mercato delle armi rappresenta comunque una fetta significativa, ulteriormente favorito dal recente accordo bilaterale di libero scambio che prevede, tra l’altro, l’annullamento reciproco dei dazi per l’importazione delle armi. Oltre a ciò, non è secondario per Belgrado il fronte squisitamente politico e “interno”, quello che si origina dal sostegno che la Cina può garantirle nelle organizzazioni e nelle istituzioni internazionali nel contrastare l’indipendenza del Kosovo. Kosovo tutt’ora considerato da Pechino come una provincia serba.
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