SERBIA: Ricordare Srebrenica a Belgrado, 30 anni dopo

Come si può ricordare Srebrenica a Belgrado, capitale del negazionismo, nel trentennale del genocidio? Società civile e governo agli estremi opposti

Si sono ritrovati ai piedi del Brankov Most, la sera dell’11 luglio, e hanno svelato un monumento temporaneo: una pietra con inciso il numero 8372, quante le vittime del genocidio dei bosgnacchi a Srebrenica. Sullo sfondo, uno striscione con il motto ljudi pamti ljudi, “le persone ricordano le persone“. Con questa azione commemorativa, la società civile serba ha voluto marcare la propria distanza dal negazionismo egemone nella politica e nella società della Serbia di Aleksandar Vucic.

Un monumento in più, un graffito in meno

Invitiamo il Presidente della Serbia a deporre fiori accanto al monumento in pietra 8372, eretto sotto il Ponte Branko a Belgrado da organizzazioni non governative, fondazioni e artisti”: così la decana dell’attivismo per la riconciliazione, Natasa Kandic. Nella notte, gli attivisti hanno anche sbiancato il graffito negazionista dipinto anni fa dagli estremisti di Narodna Patrola sulla via pedonale del centro di Belgrado, mentre le Donne in Nero hanno tenuto il regolare stand-in in Trg Republike in memoria del genocidio.

E’ stato l’atto finale del programma culturale Srebrenica – 30 godina posle del festival Krokodil, con lo slogan “Non dimenticheremo mai il genocidio di Srebrenica”, tramite cui per settimane a Belgrado sono stati organizzati incontri, spettacoli teatrali e proiezioni cinematografiche per raccontare ai serbi di oggi cosa avvenne allora nella Bosnia orientale – dal premiato film Quo vadis, Aida? della regista sarajevese di Jasmila Žbanić, allo storico documentario The Scorpions – A Home movie di Lazar Stojanović del 2007, che aveva aperto gli occhi a molti serbi sulla realtà del genocidio.

La negazione è politica ufficiale del regime

Ben diversa è stata la reazione delle autorità serbe. Solitamente definito un “crimine orribile”, la negazione del genocidio dei bosgnacchi a Srebrenica è la politica ufficiale di Belgrado, ampiamente propagandata dai media filogovernativi. Tale questo approccio viene giustificato dalla disinformazione secondo cui l’uso del termine genocidio equivarrebbe a “riconoscere la colpa collettiva dei serbi” e “proclamare la Serbia come uno Stato genocida”.

Quest’anno, alla luce della crisi politica in corso, la questione Srebrenica è stata anche strumentalizzata a fini interni. L’élite politica del Partito Progressista Serbo al potere ha attaccato il movimento di protesta degli studenti, accusandolo di “cercare di imporre il peso del genocidio sulla nazione e sullo Stato serbo”.

Propaganda negazionista

Nel frattempo, sulle televisioni serbe il 9 e 10 luglio è stato ampiamente trasmesso un documentario di propaganda preparato dal famigerato Centro per la Stabilità Sociale (CZDS) – noto per le sue pesanti campagne diffamatorie contro media, ONG e studenti – dal titolo “Srebrenica: anatomia di un inganno”.

Presentato dai media nazionalisti come “una denuncia della più grande manipolazione politica della storia moderna contro il popolo serbo”, il “documentario” include un’intervista al Presidente Vucic, che ha ricordato le attività di Belgrado nel tentativo di impedire l’adozione della Risoluzione dell’Assemblea Generale ONU del 2024 su Srebrenica.

E proprio l’11 luglio, il Partito Radicale Serbo e il suo fondatore, il criminale di guerra Vojislav Šešelj, che indossava il nastro di San Giorgio putiniano, hanno organizzato nel centro di Belgrado un evento di promozione del suo nuovo libro, intitolato platealmente “Non c’è stato alcun genocidio a Srebrenica“.

I tabloid filogovernativi serbi hanno anche fabbricato fake news contro la Commissaria europea all’allargamento Marta Kos. “La protettrice UE dei blokaderi serbi [termine derogatorio per riferirsi agli studenti in protesta]: ‘Oggi dobbiamo dire al mondo intero che i serbi hanno commesso un genocidio!‘”: così titolava Pink, subito ripreso da Večernje novostiInformerB92Alo!, e Kurir,  sebbene Kos non avesse mai neanche menzionato la Serbia o i serbi nel suo messaggio da Srebrenica.

Contorsioni narrative

Dalle autorità, nessuno si è presentato alla commemorazione di quest’anno a Potočari. Il ministro degli esteri Marko Đurić ha annullato all’ultimo minuto anche una visita a Sarajevo a inizio luglio.

Nel giorno del trentennale, Vucic ha poi twittato: “Oggi ricorrono trent’anni dal terribile crimine di Srebrenica. Non possiamo cambiare il passato, ma dobbiamo cambiare il futuro. Ancora una volta, a nome dei cittadini serbi, esprimo le mie condoglianze alle famiglie delle vittime bosniache, fiducioso che un crimine simile non si ripeterà mai più”. Una formulazione evasiva, che non riconosce il carattere genocidario del massacro né la responsabilità della Serbia.

La Presidente del Parlamento serbo, Ana Brnabic, ha affermato che Srebrenica non è un genocidio – come invece quello contro i serbi a Jasenovac nella seconda guerra mondiale – “ma ciò non significa che non sia stato un orribile crimine di guerra”. Una doppia negazione che la dice lunga sulla contorsione narrativa del regime serbo.

Non ci è voluto molto perché Vucic tornasse alla glorificazione dei criminali di guerra. A un evento organizzato dal tabloid Informer per l’apertura di un tratto autostradale, il 22 luglio, Vucic si è fatto riprendere mentre canta a pugno alzato canzoni cetniche, che “glorificano un’ideologia responsabile delle sofferenze di massa del popolo bosniaco nel territorio dell’ex Jugoslavia”, secondo la nota di protesta del Consiglio nazionale bosgnacco.

Foto: Natasa Kandic

Chi è Andrea Zambelli

Andrea Zambelli è uno pseudonimo collettivo usato da vari membri della redazione di East Journal.

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