Gli attacchi israeliani all’Iran, al fine di bloccare il programma nucleare iraniano, sono fin qui costati la vita a più di cinquecento persone, in larga parte civili. Teheran è stata bombardata con centinaia di ordigni. Gli Stati Uniti sono intervenuti nel conflitto senza alcun mandato internazionale. Un’aggressione ingiustificata, anche perché mancano le prove che l’Iran stesse per realizzare un’arma nucleare…
La scusa della bomba
I timori israeliani non sono certo immotivati, da sempre la Repubblica islamica dell’Iran minaccia la distruzione di Israele e una dotazione di armi nucleari nelle mani degli ayatollah non farebbe dormire sonni tranquilli a nessuno. La rete di proxy imbastita da Teheran, che va da Hezbollah ad Hamas fino agli Houthi yemeniti, è la dimostrazione dell’irriducibile ostilità che caratterizza i rapporti tra Iran e Israele.
Tuttavia, il governo israeliano ha saputo strumentalizzare l’angoscia di una società abituata a vivere sotto assedio, circondata da nemici, militarizzata e disillusa rispetto alle possibilità di un percorso di pace che metta in sicurezza il Paese e la regione intera. Un percorso di pace che – vale la pena ricordarlo – Netanyahu ha costantemente boicottato e impedito, fin dagli anni Novanta, avviando una stagione di conflitto permanente. L’unica pace possibile, per Netanyahu, passa dalla guerra. Ecco allora che il nucleare iraniano diventa l’ennesima cortina fumogena, un modo per giustificare l’aggressione.
Non c’è infatti nessuna prova di un tentativo di realizzare una bomba atomica da parte dell’Iran. Nessuna prova. A dirlo è il capo della Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) Rafael Mariano Grossi. Lo stesso Grossi aveva però rimarcato come il governo iraniano non stesse offrendo risposte credibili circa l’arricchimento di uranio, che avrebbe superato la soglia imposta dal Trattato di non proliferazione nucleare (TNP). Un superamento comunque non sufficiente alla realizzazione della bomba atomica. L’aggressione all’Iran non è quindi giustificata. Tantomeno lo è l’intervento statunitense.
Regime change
Se l’obiettivo israeliano è la distruzione delle capacità nucleari iraniane attraverso un attacco preventivo, quello americano sembra essere il rovesciamento del regime degli ayatollah. Un regime largamente inviso alla stessa popolazione iraniana che da anni conduce una lotta, pacifica e civile, pagando un prezzo altissimo per la propria opposizione. Le proteste non hanno però fin qui prodotto quel cambiamento tanto atteso: la società iraniana non è omogenea, il processo di modernizzazione ha agito diversamente nelle varie aree del Paese e sulle diverse classi sociali. La stessa classe media, che è un risultato dei processi di modernizzazione avviati a seguito della Rivoluzione, è fortemente eterogenea, con poche necessità di sposare cause politiche che potrebbero minarne il benessere. Significativo è stato il ruolo delle donne nelle proteste ma anche una fetta importante di donne sostiene il regime, incarnandone i valori e proponendosi come modello comportamentale, a volte persino arruolandosi nella polizia morale.
In una società tanto complessa, in cui le istanze riformiste sono uscite sempre frustrate, il cambio di regime potrebbe assumere forme diverse da quelle auspicate in Occidente. Soprattutto, le bombe possono accelerare questo cambiamento? La risposta è no. Sia perché la società iraniana, animata da un profondo patriottismo, si potrebbe unire contro il nemico che la bombarda; sia perché quelle stesse bombe forniranno un’ulteriore giustificazione al regime. Forse non al regime degli ayatollah, ma comunque a una forma di autoritarismo militarista.
Un processo in tal senso è già in atto: la Repubblica islamica attraversa un periodo di crisi e, nel medio termine, il clero non sembra in grado di mantenere la propria presa sul Paese. L’ottantaseienne Khamenei è forse l’ultima Guida Suprema con l’autorità sufficiente per tenere insieme il regime nato all’indomani della Rivoluzione del 1979. Tuttavia, le bombe faranno il gioco dei militari, non della società civile, e un nuovo regime – magari laico, ma comunque oppressivo – potrebbe essere l’esito di un regime change che piove dall’alto dei caccia bombardieri.
La legge del più forte
La guerra tra Israele e Iran, con il suo corollario statunitense, è l’ennesima espressione della legge dei più forte. La crisi delle istituzioni internazionali ha aperto la strada a un periodo di instabilità politica in cui contano solo le armi, e chiunque ne abbia i mezzi può impunemente condurre la propria guerra – che si tratti di invadere l’Ucraina, di far piazza pulita degli armeni del Nagorno-Karabakh, di depredare le risorse minerarie del Kivu o del Donbass, di colpire i civili a Gaza o di bombardare Teheran – tutto è possibile. Democrazie liberali o regimi autoritari non fa differenza. Tutti concorrono al disordine, perseguendo interessi nazionali o particolari.
Una deriva imperiale investe parimenti Stati Uniti, Russia, Cina e India e una nuova architettura di sicurezza internazionale è lontana. Anche l’Unione Europea sta maturando la propria metamorfosi: fallita l’unità politica, l’UE – che fu premio Nobel per la Pace – punta oggi sul militarismo e, per bocca di Ursula von der Layen, arriva a sostenere l’intervento israeliano. Arriva cioè a sostenere la legge del più forte. D’altronde, che attendersi da un ex Ministro della Difesa?