Putin criminale

L’OPINIONE: Russia stato terrorista e Putin criminale, ma siamo sicuri?

Putin è un criminale di guerra? La Russia è uno Stato terrorista? I mercenari sono assassini? Queste definizioni servono solo a fingere che il nemico sia altro da noi, e vada distrutto, dimenticando che gli stessi crimini di cui è accusato il Cremlino li abbiamo compiuti anche noi…

Sponsor del terrorismo

La Russia sarebbe uno Stato “sponsor del terrorismo”, secondo il Parlamento europeo, a causa delle atrocità commesse verso la popolazione civile ucraina. La decisione, che risale a novembre 2022, non ha però alcun valore legale in quanto  il parlamento europeo non può designare Stati come “sponsor del terrorismo”. Questo il parlamento lo sapeva, e infatti l’iniziativa era volta proprio a convincere gli Stati membri dell’Unione Europea a provvedere a un quadro legislativo che consentisse di condannare la Russia. Ovviamente, i paesi membri – che fino a ieri intrattenevano floride relazioni economiche e commerciali con il Cremlino – si sono guardati bene dal farlo. All’opportunismo si associa però il buonsenso: come potrebbe l’Unione Europea – o i suoi Stati membri – partecipare a futuri negoziati per la pace in Ucraina con uno “sponsor del terrorismo”? Bruciare i ponti con il Cremlino significherebbe rinunciare a ogni negoziato fino alla definitiva sconfitta del nemico e al crollo del regime. Ma è un obiettivo realizzabile? La destabilizzazione della Russia, qualora possibile, è auspicabile? Probabilmente no, e questo spiega la cautela con cui i governi europei affrontano la questione.

Mercenari criminali

Altra richiesta degli eurodeputati era di inserire il gruppo paramilitare Wagner nella lista delle organizzazioni terroristiche dell’Unione Europea. Inserire le organizzazioni di mercenari (PMC, private military companies) nelle liste delle organizzazioni terroristiche sarebbe giusto, in linea di principio, quando queste si macchiano di crimini. Il problema è la coerenza. Nel 2007, mercenari scortavano un convoglio diplomatico. Aprirono il fuoco sulla folla, uccisero diciassette innocenti tra cui due bambini. Non furono provocati. Spararono con armi automatiche e lanciarono granate. Un crimine orrendo che passò alla storia come il massacro di piazza Nisour. Era la seconda guerra dell’Iraq, e i mercenari erano americani della Blackwater. Nessuno al Parlamento europeo alzò un dito.

Eppure quella guerra – la più illegale mai condotta – fu il momento in cui saltarono in aria tutti i fragili pilastri del diritto internazionale, affermando la legge del più forte, la stessa che oggi consente l’aggressione all’Ucraina. Anche allora si invase, in barba a qualsiasi diritto, sventolando prove false – qualcuno ricorderà la celebre fialetta di antrace che Colin Powell agitò accusando Baghdad di produrre armi di distruzione di massa, mai trovate – e facendo leva su elementi ideologici: c’era da sconfiggere “l’asse del male”, d’altronde. E oggi ridiamo se al Cremlino dicono che fanno la guerra per salvare il mondo dal nazismo. Ognuno usa la retorica che meglio si adatta al proprio pubblico. Il presidente americano Donald Trump concesse la grazia ai responsabili della strage di Nisour, chiamandoli “eroi e veterani”. Oggi a Mosca si danno medaglie ai soldati che combattono contro il “nazismo”.

Ragioni umanitarie

Nel 1999 assistemmo al bombardamento di Belgrado da parte della NATO in quella che viene ricordata come la guerra del Kosovo. Si trattò di un’azione condotta senza l’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU – a causa del veto di Russia e Cina – e che l’Alleanza atlantica descrisse come intervento umanitario. Fu un intervento unilaterale d’aggressione – da parte di un’alleanza che si vuole difensiva – ma che la NATO affermò giustificato da “ragioni umanitarie”. Fu la prima volta, e segnò un precedente. Si può dunque aggirare l’ONU e fare la guerra come si vuole, basta che ci siano “ragioni umanitarie”. Non a caso il Cremlino ha giustificato la propria aggressione all’Ucraina come “intervento umanitario” per salvare la minoranza russofona del Donbass perseguitata, a loro dire, dal governo “nazista” di Kiev. Non conta più cosa è vero. Vige la legge del più forte. E quindi, chi è il più forte? Ed eccoci in Ucraina a stabilirlo.

Atavica barbarie

L’invasione dell’Iraq da parte degli Stati Uniti nel 2003, unilaterale e non provocata, unitamente ai crimini compiuti dalle milizie paramilitari americane, alle torture subite dai prigionieri di guerra da parte dei militari statunitensi (sodomizzazione, stupro, fino all’omicidio, con la disumana fotografia della piramide di corpi nudi su cui svettavano orgogliosi i sorrisi di Sabrina Harman, Lynndie Rana England e Charles Graner) non vanno dimenticati. Quando oggi si legge di “atavica barbarie russa“, di evirazioni, torture, violenze sessuali sui minori, come se facessero parte del codice genetico dei russi, si comprende quanto unilaterale sia questa narrazione. Una narrazione che serve a rendere il nemico disumano, e meritevole di morte.

Ma se la mettiamo così, allora potremmo dire che lo stupro sistematico – dal Giappone al Vietnam – sia il marchio di fabbrica dell’occupazione statunitense. Potremmo parlare della bestialità dei soldati americani che staccavano i crani dei caduti e, una volta ripuliti, si scattavano fotografie soddisfatti e sorridenti. Potremmo citare il massacro di My Lai, quando nel 1968 un numero imprecisato di civili – tra i 347 e i 504 – in gran parte donne e bambini vennero stuprati, mutilati e infine uccisi dalla Compagnia C del ventesimo reggimento fanteria dell’esercito statunitense, con modalità non dissimile a quanto avvenuto a Bucha in quest’ultima guerra. Potremmo, ma non ha senso farlo perché nessun popolo è “barbaro” o “criminale”. Lo sono le condotte di individui, singoli o in gruppo, e dei loro capi.

Allora cosa significa “sponsor del terrore”? Alzi la mano il popolo che non ha commesso stragi, eccidi, crimini di guerra. Gli italiani ammazzarono 45mila civili nelle province occupate di Istria, Dalmazia e Slovenia –  e poi ci si chiede il perché delle foibe – senza dimenticare le deportazioni in Cirenaica, l’uso di armi chimiche in Etiopia, i campi di concentramento, le leggi sulla razza. Cos’è “l’atavica barbarie”? La stessa che oggi ci fa buttare a mare i disperati a Cutro? È chiaro che il discorso perde facilmente di senso quando condotto in modo generalizzato, e che ogni responsabilità politica e individuale vada circoscritta evitando di affibbiare etichette a interi popoli. I russi non sono più barbari di altri. Ma il loro capo?

Criminale a chi?

A Mariupol’ l’artiglieria russa ha colpito un teatro ammazzando circa 600 civili. I russi si sono giustificati dicendo che dentro c’era un comando del battaglione Azov e che quello era quindi un obiettivo militare. Nel 2009 Amnesty International – oggi vituperata  – rilasciò un documento dal titolo “No justice for the victims of NATO bombings in cui si denunciava come le forze NATO avessero deliberatamente colpito obiettivi civili come la sede della Radio e Televisione serba (RTS) incuranti del fatto che ci fossero persone all’interno. Il Tribunale penale internazionale per i crimini nell’ex-Jugoslavia affermò che l’azione era legittima poiché la sede di RTS era usata per coordinare le manovre militari serbe, accogliendo così la versione americana. Le vittime furono “sfortunatamente alte, ma non sproporzionate” e quindi niente, non fu un crimine di guerra. Il presidente Clinton non è finito sul banco degli imputati. Vladimir Putin, invece sì.

La Corte penale internazionale (CPI) ha recentemente spiccato un mandato d’arresto per Vladimir Putin e Maria Lvova-Belova, commissaria per i Diritti dei bambini del governo russo, in relazione alla deportazione di minori dai territori occupati. Un crimine di guerra, non si scappa, ma la CPI – che non è riconosciuta da Stati Uniti, Cina, Russia e Ucraina – non sembra avere la forza per dare seguito al mandato che appare, più che altro, una mossa politica. In tutta risposta, il presidente cinese Xi Jinping è volato a Mosca per affermare che Vladimir Putin “sarà senz’altro rieletto” nel 2024 “perché il suo popolo lo sostiene”. Come dire: ‘Cari americani, se volete fare la pace, la dovrete fare con lui’. Allora fingere di voler imbastire una Norimberga contro il Cremlino serve a poco, se poi è con quella gente che rischi di dover trattare. Non è ancora escluso che Vladimir Putin sia l’interlocutore con cui si dovrà negoziare una pace, non è affatto sicuro che il suo regime cadrà, né che la guerra verrà catastroficamente perduta dal Cremlino. Semplicemente, non sappiamo come andrà a finire, non sappiamo nemmeno fino a che punto l’Occidente sosterrà l’Ucraina.

Doppio standard?

Sarebbe bello vedere Vladimir Putin rispondere davanti a un giudice delle proprie responsabilità in questa guerra. Sarebbe bello vederci tutti, e che ogni governo risponda della propria condotta in guerra, dei mercenari di cui si avvale, dei civili che uccide. Sarebbe bello se le istituzioni internazionali fossero sempre pronte, come giustamente sono ora, a condannare ogni abuso ma troppo spesso finiscono per assolvere gli uni in nome dell’intervento umanitario, e condannare gli altri per “crimini contro l’umanità”. Un doppio standard che oggi si vorrebbe applicare anche alla Russia.

Attenzione, non si tratta di assolvere il Cremlino nel nome di una comune barbarie, mettendo tutti sullo stesso piano. La responsabilità politica di questo conflitto sta a Mosca, è un fatto. Ma riservare al nemico ogni nefandezza – lasciando per noi la santità – è un vecchio gioco che serve a confonderci e armarci, a metterci in mano bandiere ed elmetti in testa, facendoci dimenticare chi siamo. In questo senso il nemico è uno specchio. E a quello specchio bisognerà guardare per mettere fine a questo conflitto.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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