Nella costruzione del “mito della fratellanza slava” hanno giocato un ruolo fondamentale le Chiese ortodosse di Mosca e Belgrado, che oggi rappresentano due attori centrali nella determinazione delle relazioni tra Russia e Serbia.
La natura dei rapporti tra le due Chiese
Quando si parla del cosiddetto “mito della fratellanza slava” – alimentato tanto dalla propaganda serba quanto da quella russa – è fondamentale tenere in considerazione il ruolo che le Chiese ortodosse di Mosca e Belgrado hanno giocato nella sua costruzione e nel suo consolidamento. Uno dei pilastri su cui si fonda questa “fratellanza” è proprio la religione, percepita come un elemento identitario comune tra i due popoli.
Per comprendere appieno la natura dei rapporti tra le due Chiese, è necessario osservare come, sia in Serbia che in Russia, la Chiesa ortodossa non rappresenti soltanto un’istituzione religiosa, ma anche e soprattutto un attore politico di primo piano, il cui peso si riflette non solo nelle dinamiche interne, ma anche nei rapporti bilaterali tra Mosca e Belgrado.
Un esempio emblematico in tal senso è sicuramente la questione del Kosovo, considerato dalla Chiesa ortodossa serba come la propria “Terra Santa”, in cui risiedono le radici della propria religione e della cultura serba. La Chiesa ortodossa russa, in piena sintonia con il governo di Mosca, ha sempre sostenuto la Serbia non riconoscendo l’indipendenza del Kosovo e appoggiando le rivendicazioni territoriali e culturali serbe nella regione. D’altra parte, la Chiesa di Belgrado non ha mai condannato l’invasione russa dell’Ucraina nel febbraio 2022, ma anzi ne ha difeso in più occasioni le motivazioni.
Durante uno dei primi incontri tra il patriarca di Mosca e di tutte le Russie Kirill e il patriarca serbo Porfirije, nell’aprile 2021, il primo si era così espresso: “Le relazioni tra le nostre Chiese rappresentano un fattore estremamente importante, e forse decisivo, nella determinazione dei buoni rapporti tra i nostri stati. Ed è proprio per questa ragione che attribuiamo una rilevanza particolare allo sviluppo di queste relazioni”.
Stato e Chiesa, tanto in Serbia quanto in Russia, tendono quindi a operare in modo coordinato, fino a diventare due facce della stessa medaglia.
Finanziamenti russi alla Chiesa serba
A tutto questo concorrono anche i numerosi finanziamenti russi destinati alla ricostruzione di monumenti e Chiese ortodosse in Serbia e in Kosovo.
Tra le organizzazioni più attive in questo ambito vi è la Fondazione Caritatevole di San Basilio il Grande, fondata nel 2007 dall’oligarca russo Konstantin Malofeev, fondatore del canale propagandistico russo TsargradTV e noto per i suoi legami con ambienti ultraconservatori di estrema destra. Malofeev è stato uno dei primi oligarchi russi sanzionati da Stati Uniti e Unione Europea ed è stato recentemente incriminato a New York per associazione a delinquere e per aver creato nuove reti televisive con lo scopo di diffondere la propaganda russa.
La Fondazione da lui guidata ha promosso, tra gli altri progetti, la costruzione del monumento allo zar Nicola II di Russia nella Republika Srpska (RS) – l’entità a maggioranza serba della Bosnia Erzegovina – come simbolo dell’amicizia russo-serba. Il valore ideologico e politico attribuito alla religione si ritrova nella recente dichiarazione proprio del presidente della RS Milorad Dodik, che ha invitato i cittadini musulmani dell’entità a convertirsi in favore dell’unificazione del popolo serbo sotto un’unica fede – quella ortodossa.
Anche il colosso energetico russo Gazprom, che detiene la quota di maggioranza dell’azienda pubblica serba dell’energia Naftna Industrija Srbije (NIS), contribuisce attivamente a consolidare questa alleanza Stato-Chiesa. Tra il 2019 e il 2020, ad esempio, Gazprom ha donato oltre 10.5 milioni di dollari per i lavori di ricostruzione del tempio di San Sava a Belgrado, uno dei simboli della fede ortodossa serba.
L’ultima visita del patriarca serbo a Mosca
Il 21 aprile scorso, su invito diretto del patriarca Kirill, Porfirije si è recato nella capitale russa accompagnato da una delegazione di alti prelati della Chiesa ortodossa serba e accolto da numerosi vertici politici e religiosi locali.
Nel corso della sua visita, gli sono stati conferiti una laurea honoris causa in scienze teologiche e l’Ordine del Santo Principe uguale agli Apostoli Vladimir come riconoscimento per il suo impegno nel promuovere e rafforzare i legami tra le due Chiese. Kirill ha inoltre definito l’amore dei serbi nei confronti del popolo russo e della Chiesa russa come organicamente intrinseco nel popolo serbo.
Il 25 aprile, nel corso della visita al Monastero della Trinità di San Sergio, Kirill si è rivolto così a Porfirije: “La ringrazio ancora, Sua Santità, per la Sua visita e per questa preghiera congiunta, attraverso la quale riconosciamo e sentiamo ancora più forte l’affinità dei nostri popoli e delle nostre Chiese”.
Ma la visita ha avuto anche un risvolto squisitamente politico: il patriarca serbo ha infatti incontrato anche il presidente Vladimir Putin. Durante il loro incontro, Porfirije non solo ha definito le proteste che stanno scuotendo la Serbia come “colorate tentazioni” e accusato l’Occidente di non volere che “l’identità del popolo serbo e la sua cultura si sviluppino”, ma ha anche sottolineato la centralità del sostegno russo per quanto riguarda le situazioni in Kosovo e in RS, regioni senza le quali “il popolo serbo non ha prospettive”.
Da parte sua, Putin ha accolto con calore la delegazione serba, evidenziando il ruolo delle due Chiese nel mantenere i legami tra i due popoli. Ha inoltre aggiunto di essere al corrente della complessa situazione nei Balcani e di stimare gli sforzi del popolo serbo per tenerla sotto controllo, a partire dall’organizzazione dell’Assemblea pan-serba.
La visita di Porfirije a Mosca è stata dunque la conferma di quanto l’intreccio tra religione e politica sia uno dei principali strumenti con cui la Russia rafforza la propria presenza nei Balcani, dove le appartenenze religiose sono spesso sfruttate come marcatori politici e culturali.
Foto: Sputnik/Gavriil Grigorov/Pool/Reuters via Al Jazeera Balkans