governo Fiala

REP. CECA: Entra in carica il governo Fiala mentre Babiš compra un camper

Poco inclini alla scaramanzia, i cechi vedono finalmente, a due mesi e mezzo dalle elezioni, il nuovo governo di Petr Fiala entrare in carica quasi a pieno titolo (salvo la formalità, vista la comoda maggioranza che lo sostiene, del voto di fiducia del parlamento da ottenere entro 30 giorni) venerdì 17 dicembre 2021. Il giorno successivo ricorrevano i dieci anni dalla scomparsa di Václav Havel, primo presidente dopo la Rivoluzione di Velluto e leggendaria guida del dissenso durante gli anni della normalizzazione. Curiosa coincidenza.

Un niet agilmente scavalcato

Pare, dunque, esser stato superato in modo inaspettatamente agile l’apparentemente insuperabile niet opposto dal presidente Miloš Zeman alla nomina di Jan Lipavský (in quota Pirati) alla carica di ministro degli Esteri. “Di qui non passa il treno” (espressione corrispondente al nostro più truce “dovrete passare sul mio cadavere”) aveva proclamato Zeman, deciso a impedire a tutti i costi l’ascesa al bellissimo palazzo Černín (progettato dall’architetto italiano Francesco Caratti) del politico che è riuscito a impedire per legge la partecipazione di Russia e Cina all’ingente appalto per l’ampliamento della centrale nucleare di Dukovany.

Non è dato sapere cosa abbia fatto cambiare idea al presidente ceco. Secondo alcuni Zeman avrebbe ottenuto garanzie sulle imminenti nomine diplomatiche, secondo altri ad aver fatto effetto sarebbe stata la minaccia di Fiala di chiamare la Corte costituzionale a dirimere la questione se il presidente sia o meno obbligato a nominare i ministri proposti dal premier. Di fronte alla possibilità di un verdetto a lui sfavorevole, cosa pressoché certa a detta dei costituzionalisti, Zeman avrebbe preferito ripiegare.

18 ministeri per 5 partiti da sfamare

Per rimanere nella baia dei Pirati, il leader del partito Ivan Bartoš porta a casa un più che pregevole ministero dello Sviluppo regionale: non certo uno dei dicasteri più forti ma che, comunque, gestisce i fondi europei e, quindi, anche quelli del Recovery Fund. Ai due ministri per i Pirati si aggiunge uno senza portafoglio, Michael Šolomoun, con delega alle questioni legislative. Tutto sommato non male, considerato il risultato inaspettatamente deludente raccolto alle ultime elezioni.

Decisamente meglio il partito dei Sindaci, vera sorpresa delle elezioni in cui erano alleati dei Pirati nella coalizione liberale PirStan, che tornano a casa con tre ministri e mezzo: Petr Gazdík (istruzione), Jozef Sikela (industria e commercio) e il ministro senza portafoglio Mikuláš Bek con delega agli affari europei. Al segretario del partito Vít Rakušan (inaspettatamente il politico più votato in assoluto all’ultima tornata elettorale) va il ministero degli interni. Quindi ben due ministeri pesanti, interni e industria, più gli affari europei che dal 1° luglio 2022 si vedranno catapultati nel semestre di presidenza ceca del Consiglio UE, il secondo dall’adesione del paese all’UE nel 2004.

Per quanto riguarda la coalizione conservatrice SPOLU che ha vinto le elezioni, TOP09, il partito più piccolo di centro-destra, conservatore in ambito economico ma relativamente liberale in quello dei diritti civili e convintamente europeista, si deve accontentare di due ministri “deboli”, di cui uno senza portafoglio: Vlastimil Válek (salute) e Helena Langšádlová (scienza, ricerca e innovazione). A fronte di questo, però, ottiene la presidenza della Camera dei Deputati per la segretaria del partito Markéta Pekarová Adamová, carica da non sottovalutare in un momento delicato in cui le precarie condizioni di salute del Presidente, o addirittura nuovi tentativi di impeachment, potrebbero vederla d’improvviso investita di prerogative presidenziali.

Il partito cristianodemocratico KDU-ČSL, a suo modo speculare al TOP09 essendo più liberale in materia di finanze ma assai più conservatore nel campo dei diritti civili, mette nel carniere tre ministeri non certo pesanti ma ben allineati con le loro priorità politiche. L’ambiente va ad Anna Hubáčková, le politiche agricole a Zdeněk Nekula mentre il leader del partito, Marian Kurečka, siederà a capo del dicastero del lavoro e degli affari sociali. Sarà interessante vedere come, in mano a un partito conservatore tradizionalmente vicino alla lobby agricola, l’accoppiata ambiente-agricoltura risponderà alle grandi sfide del Green Deal.

E arriviamo, infine, al vincitore delle elezioni, nonché vero deus ex machina del progetto politico che ha portato alla sconfitta di Babiš. Il partito conservatore di centrodestra ODS (partito civico democratico) occupa ben 6 ministeri (1/3 del totale), di cui soltanto uno è considerabile più debole in quanto spartisce meno risorse: il ministero della Cultura che va a Martin Baxa. Budget contenuto anche per il ministero della Giustizia, che sarà diretto da Pavel Blažek (politicamente sopravvissuto, almeno per ora, a uno scandolo opportunamente scoppiato poco prima della sua nomina e relativo a privatizzazioni passate assai poco trasparenti di appartamenti comunali in quel di Brno). Ben più cospicui saranno i fondi, e quindi gli appalti, gestiti dai ministeri del Trasporto (Martin Kupka), con le infrastrutture stradali e ferroviarie in eterno ritardo di sviluppo, e della Difesa, con la necessità di ammodernare l’esercito rendendolo, visti i tempi, più in linea con gli standard della NATO. A stringere, vedremo con quanto rigore, i cordoni della borsa sarà poi Zbyněk Stanjura, neoministro delle Finanze e mano destra del premier.

E, dulcis in fundo, la premiership che, come già noto, va a Petr Fiala, professore di politologia nonché rettore presso l’Università Masaryk di Brno, secondo ateneo per importanza del paese.

Un governo europeista sì, ma anche no

Difficile non condividere il sospiro di sollievo tirato da chi, dopo quattro anni di pericoloso populismo e malcelato sovranismo del governo Babiš (che diventano otto se contiamo l’influenza nefasta che Babiš, all’epoca ministro delle Finanze, ebbe sul precedente governo socialdemocratico di Sobotka), vede in Fiala il ritorno a pratiche democratiche più convenzionali nonché a narrazioni politiche più civili. Ma a chi dall’Italia, e non solo, ha salutato il nuovo governo come un gradito riallineamento alla vulgata europeista va suggerito di stemperare l’entusiasmo perché se è vero che, nel suo complesso, la nuova compagine governativa riflette una nuova adesione atlantista, è anche vero che all’interno dell’ODS, il partito trainante della coalizione pentapartitica al governo, è sempre viva una ben nutrita fazione di euroscettici nazionalisti, per molti versi più vicina al movimento monocratico di Babiš che non agli altri quattro partner con cui siede al governo. Una fazione che, composta prevalentemente da piccoli e medi imprenditori, non arriva a invocare la Czexit, conscia com’è dell’utilità economica dell’adesione all’UE, ma che mal tollera qualsiasi ulteriore integrazione sociale, politica e culturale proposta da Bruxelles. Un’anima interna, insomma, perfettamente annoverabile nella sfera di quel profondo e incrollabile euroscetticismo per i quali i cechi sono noti.

Espellendo dal partito Václav Klaus jr., leader ribelle di questa frangia estremista, nonché figlio dell’ex presidente Václav Klaus (successivamente ritiratosi dalla politica dopo l’insuccesso della formazione di estrema destra Trikloróra da lui fondata), Petr Fiala ha impedito all’ODS di deragliare dai binari della linea democratica verso quella stessa rincorsa ai facili slogan del populismo che, alla fine, ha trascinato verso il baratro il partito socialdemocratico ČSSD. Questa quinta colonna interna, in netto contrasto con il chiaro, seppur sempre prudente, europeismo degli altri quattro partiti, unitamente alle prevedibili divergenze tra conservatori e liberali in materia di bilancio pubblico, ambiente e diritti civili, saranno probabilmente la spada di Damocle che potrebbe minacciare la longevità di una coalizione governativa molto variegata.

Cui si andrà ad aggiungere l’opposizione di Babiš, che con il suo partito ANO conserva comunque ben 72 deputati su 200, ai quali aggiungere, all’occorrenza, i 20 del partito xenofobo di estrema destra SPD per far leva anche su quel milione circa di elettori i cui partiti sono rimasti fuori dal parlamento. Con quale obiettivo? Senza dubbio l’elezione di Andrej Babiš a presidente della Repubblica all’inizio dell’anno venturo. Un ostacolo non da poco al quieto governare dell’esecutivo appena nominato, visti le abilità persuasive dei suoi esperti di comunicazione e l’appoggio incondizionato di Zeman. Nel frattempo, l’aspirante presidente ha già annunciato di aver acquistato un camper con il quale battere a tappeto ogni angolo del paese in vista delle prossime presidenziali.

Il collante del nuovo governo? Forse il chiaro e fermo imperativo di impedire che il paese scivoli nuovamente verso la china oligarchica del babišismo, corroborato dalla convinzione che le crescenti inquietudini e i preoccupanti segni di instabilità provenienti da una Bielorussia e un’Ucraina improvvisamente troppo vicine potrebbero imporre ben presto a tutti i paesi di quest’area scelte di campo nette e risolute.

Chi è Andreas Pieralli

Pubblicista e traduttore freelance bilingue italo-ceco. Laureato in Scienze Politiche a Firenze, vive e lavora a Praga. Si interessa e scrive di politica, storia e società dell’Europa centrale. Coordina e dirige il progetto per un Giardino dei Giusti a Praga.

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