Le elezioni parlamentari albanesi del 25 aprile hanno sancito la terza vittoria consecutiva di Edi Rama e del suo Partito Socialista (PS). Si tratta di un record per l’Albania post-comunista. Il nuovo (vecchio) premier potrà contare su una maggioranza assoluta di 74 seggi su 120.
I sondaggi pre-elettorali, così come gli exit poll resi pubblici dopo la chiusura dei seggi, facevano presagire una vittoria di misura del PS. I risultati ufficiali hanno però offerto uno scenario ben diverso, lasciando nello sconforto l’opposizione rappresentata dal Partito Democratico (PD) di Lulzim Basha e dal Movimento per l’Integrazione (LSI) di Monika Kryemadhi, moglie dell’attuale presidente della Repubblica Ilir Meta.
La strategia di Rama
Il Partito Socialista ha ottenuto lo stesso identico risultato del 2017, con appena quattromila voti in più pur con un’affluenza leggermente più alta. Un risultato che dimostra come Rama abbia potuto contare su un elettorato piuttosto fedele, nonostante alcuni scandali che hanno caratterizzato la campagna elettorale.
Il primo elemento da sottolineare per comprendere l’ennesima vittoria dei socialisti è la capacità del partito e della sua leadership di rinnovarsi dopo l’ultradecennale esperienza comunista. Il Partito Socialista è infatti erede diretto del Partito del Lavoro di Enver Hoxha che ha guidato il paese dal secondo dopoguerra ai primi anni Novanta. Rama, sulla scena pubblica da ormai un ventennio, è stato capace di completare la trasformazione del partito e di avvicinarlo alla grande famiglia dei Socialisti europei cui è affiliato. Seguendo lo spostamento della sinistra europea verso posizioni più apertamente liberali, Rama negli ultimi anni si è vantato di aver costruito un “paese senza sindacati”, capace di attrarre ingenti investimenti esteri e di averlo avviato verso la modernità.
Tra gli strumenti più utilizzati ci sono stati i cosiddetti Partenariati pubblico-privati (PPP). Attraverso questa formula il governo ha favorito il protagonismo di soggetti privati, soprattutto stranieri, disposti a investire i propri capitali che lo Stato albanese si impegna a ripagare in futuro. Questo ha alimentato fenomeni corruttivi e clientelari fondamentali per il mantenimento del potere, contribuendo ad accrescere quello che viene oggi definito come “State capture” e cioè l’influenza esercitata dagli interessi privati nei processi decisionali dello Stato. Secondo l’ultimo Transparency International Corruption Perception Index del 2020 che misura la corruzione percepita, l’Albania si è piazzata al 104esimo posto su 180 paesi tenuti in considerazione.
Uno dei settori più coinvolti dai PPP è stato quello delle infrastrutture. Se da un lato Rama ha avviato un importante processo di modernizzazione di un settore che scontava gravi ritardi, dall’altro lato questo processo ha mostrato parecchi limiti. Ne sono dimostrazione le critiche rivolte, ad esempio, ai progetti di riqualificazione urbana di Tirana volti a rendere la città più attrattiva per i visitatori stranieri, ma spesso eccessivamente costosi e poco trasparenti. O ancora i problemi ambientali provocati dalla contestata costruzione dell’aeroporto di Valona e delle centrali idroelettriche sul fiume Vjosa, al centro di una dura battaglia delle associazioni ambientaliste.
D’altro canto, Rama può vantare alcuni importanti risultati in termini economici come il calo progressivo della disoccupazione, passata dal 15,8% del 2013 al 12,8% del 2020, e buoni tassi di crescita del PIL accompagnati da alcune norme che hanno garantito una maggior equità come la tassazione progressiva e l’aumento del salario minimo.
Altro elemento che ha garantito a Rama la vittoria delle elezioni è stato il controllo esercitato in questi anni sui media, un problema cronico che caratterizza entrambi gli schieramenti. La classifica annuale stilata da Reporters Senza Frontiere piazza l’Albania all’83esimo posto al mondo per la libertà di stampa denunciando l’alta concentrazione della proprietà nelle mani «di pochi grandi proprietari, che hanno forti affiliazioni politiche e che controllano […] quasi il 90% della quota di mercato».
La politica estera
In questi anni al governo, Rama ha cercato in tutti i modi di presentarsi alla comunità internazionale come un leader affidabile, colto e pronto a compiere gli sforzi necessari per evitare di far ripiombare il paese nell’isolamento. I forti legami con l’Italia sono serviti, ad esempio, a esercitare pressioni per il superamento del veto posto da Francia, Danimarca e Olanda nell’ottobre 2019 all’avvio delle negoziazioni per l’adesione all’Unione Europea. Proprio su questo Rama ha raggiunto i risultati più significativi. Dopo aver ottenuto lo status di paese candidato nel 2014, il premier ha potuto utilizzare il via libera alle negoziazioni per presentarsi come l’unico in grado di garantire il percorso europeo dell’Albania.
Una prospettiva che non gli ha impedito di mantenere ottimi legami anche con gli Stati Uniti e soprattutto con la Turchia, la cui sempre più penetrante presenza nel tessuto economico albanese comincia a creare preoccupazioni in Europa.
E le opposizioni?
Se Rama e il PS sono stati in grado di offrire una visione e un’idea di sviluppo, per quanto discutibile, lo stesso non può dirsi per le opposizioni. Contrariamente ai suoi rivali, il Partito Democratico ha dimostrato di non saper avviare un profondo processo di rinnovamento tanto della classe dirigente quanto della piattaforma politica. L’eterna presenza dell’ex premier e presidente Sali Berisha come “eminenza grigia” del partito ne è una dimostrazione.
Non avendo un programma politico valido e soprattutto diverso rispetto al PS, il PD ha basato la sua campagna elettorale accusando Rama di corruzione e clientele. Un’accusa priva di qualsiasi credibilità visto il passato non proprio trasparente del Partito. Il boicottaggio del parlamento e delle elezioni amministrative del 2019, inoltre, più che una scelta strategica volta a ridimensionare il lavoro dell’esecutivo e la legittimità democratica del Partito Socialista sembravano nascondere l’incapacità di presentare agli elettori un progetto di governo adeguato, alternativo e di lungo respiro. L’assenza alle amministrative ha inoltre permesso ai socialisti di controllare tutte le città del paese, con la relativa possibilità di distribuire clientele e lavori pubblici per convincere l’elettorato.
Un elemento confermato dai risultati del 25 aprile. Gli oltre 200 mila voti in più ottenuti rispetto al 2017 non sono infatti arrivati dai delusi del PS né dall’ampia fascia di indecisi, ma dall’aver creato un’ampia coalizione composta da 12 partiti e dal crollo dell’altro partito di opposizione, il Movimento per l’Integrazione (LSI), sceso dal 14,2% al 6,8%. Il partito del presidente Meta, in passato in grado di governare indistintamente sia con i socialisti che con i democratici, sembra aver definitivamente perso il ruolo di ago della bilancia in un sistema fortemente bipolare. Meta ha già dichiarato che nel giugno 2022 prenderà nuovamente la tessera del partito, lasciata dopo l’elezione, sintomo di una possibile non ricandidatura a presidente della Repubblica.
Nel frattempo però, Meta dovrà fare i conti con la richiesta di destituzione avanzata dai socialisti dopo le elezioni. Il rapporto elaborato da una commissione d’inchiesta parlamentare accusa Meta di incitamento all’odio per aver minacciato il mancato riconoscimento dei risultati e di mancanza di imparzialità richiesta al presidente della Repubblica. Difficilmente i socialisti riusciranno a ottenere gli 84 voti necessari, ma questo ennesimo scontro tra premier e presidente mostra l’intenzione di Rama di procedere a una resa dei conti definitiva con i suoi rivali in vista dell’elezione del nuovo presidente prevista per l’anno prossimo.
Foto: Albania News