Hoxha e Stalin

ALBANIA: Storia di Enver Hoxha, il tabaccaio che divenne sultano

Era l’11 aprile del 1985 quando Enver Hoxha, padre padrone dell’Albania per quarant’anni, morì a Tirana. Le immagini sgranate dell’epoca ci restituiscono un funzionario che, con viso contrito, annuncia che “ha cessato di battere il cuore della cara e gloriosa guida del nostro partito e del nostro popolo”, tenendo a sottolineare che la dipartita era avvenuta alle due e quindici del mattino: come spesso capita nei totalitarismi, ci voleva sempre un po’ ad ammettere la morte del dittatore ma quando poi lo si faceva, lo si faceva con precisione svizzera.

Negli stessi giorni di poco più di trent’anni prima, l’intera Albania si era inginocchiata di fronte alla statua di Iosif Stalin per onorarne la morte appena avvenuta: era stato lo stesso Hoxha, che per Stalin aveva una vera e propria venerazione, a ordinare quell’omaggio collettivo e c’è da esser certi che tutti gli albanesi si attennero scrupolosamente alla richiesta; non fosse altro perché la Sigurimi, la famigerata polizia segreta, era talmente ramificata e potente, che tutto vedeva e tutto sentiva, ed era meglio non dar adito a dubbi circa la propria fedeltà ai dettami del marxismo-leninismo.

Con Hoxha non moriva solo il più longevo uomo di potere del ‘900 europeo ma, in Albania, finiva un’era, sebbene ci sarebbero voluti ancora una manciata d’anni perché il comunismo albanese, insieme a quelli dell’intero blocco sovietico, finisse definitivamente travolto dalla caduta del muro di Berlino.

La presa del potere

La parabola inarrestabile di Hoxha era iniziata quarant’anni prima, nel novembre del 1944, quando a seguito della cacciata dei tedeschi dall’Albania, il Fronte Nazionale di Liberazione si autoproclamò Governo Democratico Provvisorio e Hoxha ne fu posto alla guida: non l’avrebbe più lasciata fino alla sua morte. Fino a quel momento Hoxha era sconosciuto ai più, nel curriculum studi in Francia non completati, un impiego in un negozio di tabacchi a Tirana e uno come insegnante di francese al ginnasio di Korça, prima di esserne allontanato per le sue malcelate simpatie comuniste in un paese già fascistizzato dall’Italia di Benito Mussolini, fin dal 1939.

In realtà Hoxha raccoglie i frutti di un instancabile attivismo politico che, negli anni del secondo conflitto mondiale, lo portano dapprima a fondare il Partito Comunista Albanese nel 1941, di cui diventerà formalmente segretario due anni più tardi, e successivamente ad essere tra gli ispiratori del Fronte Nazionale di Liberazione e del relativo esercito di liberazione che, nella primavera del 1944, contava oltre settantamila uomini.

A liberazione avvenuta le “attenzioni” di Hoxha si concentrarono, tutte, a fare piazza pulita di chi, dentro e fuori al Fronte, non era dichiaratamente comunista: le epurazioni non riguarderanno, quindi, solo i collaborazionisti fascisti o i rappresentanti del clero, specie i cattolici del nord (un’ossessione, quella verso la religione e verso i suoi rappresentanti, che fu un fil rouge di tutto l’operato di Hoxha); ma, anche, gli avversari politici sgraditi, gli ex partigiani non comunisti e persino gli oppositori del primo parlamento albanese. Saranno centinaia le condanne a morte e altrettante le esecuzioni sommarie condotte dai suoi fedelissimi nel giro di pochi mesi. Migliaia le incarcerazioni arbitrarie.

La lotta per la liberazione è sostituita con la lotta di classe. Alle prime elezioni del dopoguerra, nel dicembre del 1945, la sola lista presente, quella del Fronte Democratico d’Albania, si assicura il 93% dei voti e l’anno successivo l’Albania, divenuta ormai Repubblica popolare d’Albania, adotta una costituzione che istituisce “uno stato di democrazia popolare fondato sulla dittatura del proletariato”.

La rottura con Tito

Quando, pochi mesi prima, nel febbraio del 1945, i capi politici dei paesi vincitori si riunirono a Yalta, il tema Albania non era nemmeno sul tavolo, ma Winston Churchil e Stalin concordarono sul fatto che l’Albania sarebbe stata sotto l’influenza della Jugoslavia di Tito. Di fronte ad una situazione economica drammatica, Tito si fa carico di finanziare la ricostruzione, invia fondi e tecnici specializzati, asseconda la formazione di società jugoslavo-albanesi che favoriscano, anche, l’industrializzazione di un paese totalmente arretrato dal punto di vista infrastrutturale e del tutto votato alla sola agricoltura.

Un feeling, quello tra Tito e Hoxha, che però non sboccerà mai: con il primo intenzionato a includere l’Albania nel suo progetto di federazione degli stati balcanici e il secondo desideroso di mantenere la completa autonomia del proprio paese e la propria fedeltà all’Unione Sovietica. Nel febbraio del 1948 Tito e Stalin si scontrano frontalmente proprio sul progetto federativo del maresciallo: uno scontro che culminerà, pochi mesi più tardi, a giugno, con l’espulsione del leader jugoslavo dal Cominform, l’organizzazione internazionale che riuniva tutti i partiti comunisti. Incrollabilmente leale a Stalin, per Hoxha è un’occasione unica per liberarsi della presenza ingombrante di Tito e dei sui uomini.

In quarantotto ore rimanda a casa tutti e mette mano ad un nuovo regolamento di conti, tutto interno, rivolto questa volta a tutti coloro che avessero manifestato una qualsivoglia vicinanza alle istanze jugoslave, che fossero dirigenti o semplici simpatizzanti: ecco dunque nuovi processi sommari, arresti e condanne a morte. Una “pulizia” che non risparmia nessuno e che non esita a rivolgersi anche ai massimi livelli, con l’esecuzione del ministro della difesa, Koçi Xoxe.

La modernizzazione

Liberatosi del controllo di Tito, nell’immediato dopoguerra Enver Hoxha porta avanti il suo piano di modernizzazione con la realizzazione di decine di infrastrutture primarie, la bonifica di ampie aree paludose del paese e, addirittura, l’edificazione di intere città ex-novo: si fa abbondante ricorso ai lavori forzati, cui sono sottoposti migliaia di persone e di prigionieri politici (80 mila, tra il 1945 e il 1954, secondo un rapporto delle Nazioni Unite).

Viene abolita la proprietà privata, le banche e le imprese sono nazionalizzate e la riforma agraria porta alla collettivizzazione dei terreni. Con la realizzazione di un sistema capillare di scuole è avviata l’alfabetizzazione di una popolazione che all’epoca era per l’85% illetterata.

Questo sono i primi tasselli di un processo durato quasi mezzo secolo che farà dell’Albania il paese più isolato e impenetrabile del mondo occidentale.

La storia di Enver Hoxha continua in un secondo articolo, in uscita sabato 11 aprile 2020.

Chi è Pietro Aleotti

Milanese per caso, errabondo per natura, è attualmente basato in Kazakhstan. Svariati articoli su temi ambientali, pubblicati in tutto il mondo. Collabora con East Journal da Ottobre 2018 per la redazione Balcani ma di Balcani ha scritto anche per Limes, l’Espresso e Left. E’ anche autore per il teatro: il suo monologo “Bosnia e il rinoceronte di pezza” ha vinto il premio l’Edizione 2018 ed è arrivato secondo alla XVI edizione del Premio Letterario Internazionale Lago Gerundo. Nel 2019 il suo racconto "La colazione di Alima" è stato finalista e menzione speciale al "Premio Internazionale Quasimodo". Nel 2021 il racconto "Resta, Alima - il racconto di un anno" è stato menzione di merito al Premio Internazionale Michelangelo Buonarroti.

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