Alla scoperta di un luogo simbolo della repressione comunista in Albania, tra storia, memoria e prospettive di recupero.
Spac dal finestrino
Balcani, in viaggio lungo la strada E851, l’arteria che collega Pristina alla costa adriatica attraverso il territorio albanese. Presso il villaggio di Reps, a un centinaio di chilometri da Tirana, uno svincolo verso nord reca un cartello scuro in madrelingua, di quelli riservati ai siti storici e turistici. L’auto entra in un’area montuosa e isolata e, dopo sette chilometri di salita lenta su una via sterrata e sconnessa, incontra alcuni edifici diroccati. È la vecchia prigione di Spac, spauracchio della dittatura di Enver Hoxha per oltre vent’anni.
Si trova in coincidenza di un grande sito per l’estrazione di rame, attivo dagli anni trenta del secolo scorso. Sullo sfondo infatti spunta il grande stabilimento della Tete Mining, la multinazionale turca proprietaria dell’attività e testimone, anche in questa landa desolata, della grande influenza che Ankara esercita oggi sull’Albania. Sul lato sinistro della strada invece si notano subito due grandi strutture: la prima ospitava i lavoratori liberi della miniera, mentre la seconda, pochi metri più avanti, conteneva grandi celle collettive per i detenuti. Sul lato destro, infine, una targa commemorativa sostituisce oggi il ritratto di Hoxha.
Spac e il regime
Il carcere di Spac nacque tra il 1967 e il 1968 in una zona talmente remota che non venne nemmeno dotato di mura protettive. Funzionò sia come luogo di detenzione sia come campo di lavoro forzato; i prigionieri erano colpevoli di reati politici e molti appartenevano al ceto intellettuale. La loro quotidianità, durissima, era caratterizzata da pessime condizioni igienico-alimentari, da pressioni fisiche e psicologiche, da ritmi distruttivi in miniera e da scarsissimi contatti con il mondo esterno. Questo modus operandi rimase sostanzialmente inalterato fino all’abbandono del complesso, all’inizio degli anni novanta.
Nonostante il contesto estremo il 21 maggio del 1973, esattamente 52 anni fa, Spac divenne teatro di uno dei rari atti di ribellione contro il regime di Hoxha. La scintilla si innescò da una lite tra un detenuto e una guardia, per poi propagarsi rapidamente in tutto il carcere. Per due giorni fu battaglia vera, durante i quali il governo inviò rinforzi da Tirana e i prigionieri issarono una bandiera albanese senza stella comunista, in sfregio al partito. Ma la rivolta alla fine venne repressa e la rappresaglia fu spietata: quattro detenuti vennero giustiziati mentre altri 66 subirono un prolungamento della loro pena.
le grandi lacune storiografiche sul tema, oltre alla difficile accessibilità del luogo, fanno sì che questo e altri episodi legati alla vita del campo si tramandino esclusivamente attraverso il corpo e la memoria dei reduci, in patria come nella diaspora. I testimoni si impegnano nella sensibilizzazione scrivendo libri e organizzando incontri, soprattutto con i più giovani, eppure la loro attività non può contare nemmeno sul supporto della politica, anzi, contro di essa “hanno finalmente vinto una lunga battaglia per ricevere la pensione relativa ai decenni di lavoro forzato a Spac. […] Lo stato comunista non ne aveva conservato alcuna traccia, e per venticinque anni la nazione post-comunista ne ha approfittato” (Kapka Kassabova, Il lago, Crocetti 2022).
Lo stretto legame dell’Albania con il nostro paese ha favorito la traduzione italiana di alcune di queste voci. In Sulle strade dell’inferno il poeta Visar Zhiti ha raccontato la sua esperienza a Spac, dove fu incarcerato proprio a causa della sua produzione letteraria, ritenuta “eccessivamente ermetica, triste e pertanto contraria ai canoni del realismo socialista”. L’autore italo-albanese Elvis Dona ha pubblicato invece La voce proibita, preziosa raccolta di interviste che contiene sia il punto di vista delle vittime, sia quello dei carnefici.
Spac tra presente e futuro
Oggi il sito di Spac versa in uno stato di degrado, figlio di un lungo periodo di incuria e trascuratezza seguito alla fine del regime. Nel 2007 il governo aveva dichiarato la prigione monumento culturale, ma senza sviluppi concreti; solo nell’ultimo decennio l’impegno di alcune ONG ha impresso un’inversione di tendenza. Nel 2014 la svedese Cultural Heritage Without Borders (CHWB) ha promosso i “dialoghi per Spac” che, coinvolgendo una grande pluralità di attori pubblici e privati, hanno portato ai primi lavori di salvataggio e consolidamento delle strutture. Nel 2016 l’osservatorio dell’americana World Monuments Fund (WMF) ha dato ulteriore risonanza al caso, lanciando un appello per la musealizzazione del carcere.
Dal 2018 anche le istituzioni albanesi sono entrate nel processo di recupero. Il ministero della Cultura ha firmato infatti una partnership con CHWB, autorizzandola a bandire una gara d’appalto per la selezione del piano di gestione futura di Spac. Alla fine della procedura, svoltasi tra 2023-2024, è risultato vincitore il progetto della fondazione italiana Santagata, specializzata in economia e salvaguardia del patrimonio culturale. Le linee guida del piano sono già state presentate a Tirana, in un’udienza aperta organizzata lo scorso anno dal ministero. Non resta quindi che attendere la fase operativa, nell’auspicio che Spac possa diventare finalmente un sito alla portata del grande pubblico.
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