All’indomani delle manifestazioni che hanno visto riversarsi in piazza migliaia di persone, lo scontro politico in Albania si arricchisce di un nuovo capitolo: le dimissioni in blocco di tutti i parlamentari del Partito Democratico (PD), la compagine di centrodestra che occupa, a questo punto bisognerebbe dire occupava, i banchi dell’opposizione in parlamento. Il 21 febbraio scorso i parlamentari hanno infatti rimesso il proprio mandato chiedendo contestualmente l’indizione di elezioni anticipate. A questi si sono uniti quelli del Movimento Socialista per l’Integrazione (LSI), anch’esso all’opposizione.
Di “misura estrema presa in condizioni estreme” ha esplicitamente parlato il leader del PD, Lulzim Basha, che giustifica le proteste e le conseguenti dimissioni con l’esigenza di azzerare un parlamento a suo dire delegittimato dalla corruzione dilagante e dalla collusione con la criminalità organizzata di molti membri del Partito Socialista (PS) del primo ministro Edi Rama.
Gioco di ruolo…
Visto dall’esterno quanto sta accadendo in Albania sembra, tuttavia, ripercorrere un cliché arcinoto, una sorta di teatrino, di gioco delle parti che, periodicamente, si ripropone a ruoli invertiti. A voler inquadrare quanto sta avvenendo in questi giorni non si possono, infatti, non evidenziare almeno due aspetti.
Il primo: da sempre in Albania la piazza viene utilizzata come strumento di lotta politica, come mezzo per esercitare pressione su chi si trova a governare. L’ultima volta fu nel 2011 quando Rama chiamò a raccolta i “suoi” contro il governo del PD, con proteste che raggiunsero alti picchi di violenza. Un atteggiamento che pagò, evidentemente, visto che due anni più tardi i socialisti vinsero le elezioni, riconfermandosi poi, in modo netto, con la tornata elettorale del 2017 (malgrado, anche in quel caso, le proteste di piazza e la minaccia di boicottaggio).
Il secondo: la delegittimazione o, più precisamente, il tentativo di delegittimazione dell’avversario politico che passa non solo attraverso l’accusa di malgoverno e corruzione ma, anche, con quella di manipolare i risultati elettorali. In questo è stato piuttosto esplicito Basha che, nel corso di un’intervista televisiva, ha affermato che il governo albanese “ha frodato le elezioni con l’aiuto della narcomafia e ruba il denaro degli albanesi per avvantaggiare un manipolo di oligarchi e criminali”.
… ma un gioco pericoloso
Un gioco delle parti che sembra dimostrare, però, quanto poco i gruppi dirigenti albanesi abbiano inteso le ragioni profonde delle mobilitazioni studentesche che hanno agitato il paese nei mesi scorsi. Quelle manifestazioni testimoniavano l’esigenza di una porzione significativa della società civile albanese di un cambio di passo e, più genericamente, un diffuso malessere e disaffezione dalla classe politica. Non è un caso che sia Rama che l’opposizione abbiano cercato, maldestramente, di intestarsene le ragioni, con dichiarazioni di facciata o azioni di maquillage politico, così come non è un caso che i leader degli studenti abbiano, al contrario, preso le distanze da entrambi rivendicando la propria autonomia. Da questo punto di vista, va sottolineato che non vi è punto di contatto tra le manifestazioni studentesche e quelle delle opposizioni, se non la pura e semplice coincidenza temporale.
E’ un gioco di ruolo, però, che rischia di costare caro e che testimonia la fragilità del sistema democratico albanese, minandone la credibilità internazionale. Sebbene, infatti, i lavori parlamentari possano formalmente proseguire, è evidente che non è questo il clima adatto per affrontare i prossimi importanti appuntamenti internazionali, come la presidenza OSCE e l’inizio dei negoziati per l’integrazione europea. Unione europea che, non a caso, ha espresso forte preoccupazione per questa escalation, al pari degli Stati Uniti.
Non è certo in questo contesto, in definitiva, che si può pensare di sciogliere i nodi irrisolti del sistema albanese, come la riforma della giustizia; elemento chiave non solo per l’ingresso nell’UE ma anche (e soprattutto) per combattere strutturalmente il problema della corruzione che fa, dell’Albania, il paese con l’indice di corruzione più alto dell’intera area balcanica, seconda in Europa, solo a Russia e Ucraina.
Un paese al bivio
Intanto i benefici della crescita economica escludono un’ampia fascia della popolazione e secondo un recente sondaggio l’Albania è tra i paesi in cui è più forte il desiderio di emigrare: un problema, quello dell’emigrazione, che ha proporzioni gigantesche se si pensa che, secondo i dati ufficiali dell’Istituto di Statistica Albanese, sono un milione e mezzo gli albanesi che vivono all’estero, su una popolazione totale di meno di tre milioni. E un problema che ha un impatto economico dirompente come evidenziato anche dal Fondo Monetario Internazionale.
Per il momento Rama ha tenuto a ricordare che il proprio mandato scade nel 2021 e che non intende fare alcun passo indietro. Ma c’è da scommettere che i prossimi giorni riserveranno altri colpi di scena o, meglio, di teatro.
Foto: eu-ocs.com