Quando lo scorso anno, dopo infiniti rinvii e ritardi sospetti, vennero infine pubblicati i dati dell’ultimo censimento della popolazione albanese, i commenti, le analisi – oltre alle immancabili polemiche – si concentrarono soprattutto su un dato, tanto incontrovertibile quanto atteso. La popolazione invecchia e, soprattutto, diminuisce, il 15% in meno rispetto a quindici anni prima, un milione di persone. Un calo che ha fatto fare al paese un salto indietro di mezzo secolo e che ha reso l’Albania il primo paese in Europa per migrazione in relazione alla propria popolazione.
L’una cosa, l’invecchiamento, conseguenza dell’altra, lo spopolamento, risultato – entrambi – dell’emorragia migratoria che sembra non conoscere pause da decenni, dalla fine dell’era comunista e delle paranoie isolazioniste del suo padre-padrone Enver Hoxha. Crisi economica, mancanza di prospettiva, stipendi di gran lunga inferiori a quelli della media UE, desiderio di riunirsi a coloro che ormai da anni vivono stabilmente all’estero – Grecia, Italia e Germania soprattutto – rappresentano il propellente principale di questa pulsione centripeta, specie tra le giovani generazioni, specie tra coloro che con una vita tutta da vivere non intravedono sbocchi plausibili per trattenersi oltre. Sono tantissimi i giovani che partono usufruendo di borse di studio o di programmi europei per poi, magari, non rientrare più.
Un’emorragia inarrestabile
Il rapporto Eurostat appena pubblicato analizza la tendenza del triennio 2022-2024 attraverso la lente del rilascio dei permessi di lavoro, quanto mai idonea per offrire uno spaccato oggettivo dell’odierna società albanese e – soprattutto – delle aspettative della sua gente. Sono stati ventimila solo nel 2024, oltre settantamila nel periodo analizzato: questi i numeri per i contratti regolari, quantomeno, poiché nessuno conosce con esattezza i numeri del sommerso, dell’irregolare, delle attività stagionali.
La magnitudo del fenomeno è quindi pure superiore a quella ufficiale che è già di suo impressionante se solo ci si sofferma a riflettere sul fatto che tali permessi superavano appena le tremila unità solo un decennio fa. E se si considera che questa mole di permessi rappresenta, da sola, il 13% dell’intera forza lavoro dei dipendenti privati non agricoli del paese.
L’insostenibile desiderio di andarsene
Dati che si inseriscono perfettamente nell’alveo dei risultati di un’altra ricerca condotta, questa volta, dalla Banca Centrale Austriaca nei Paesi dell’Europa centrale e sudorientale. L’Albania non è solo in controtendenza rispetto agli altri stati analizzati, dove viene riscontrato un calo generale nel desiderio di emigrare, ma registra la più alta percentuale di popolazione che dichiara esplicitamente l’intenzione di voler lasciare il proprio paese entro un anno (10%), inferiore solo a quanto registrato in Macedonia del Nord (11%) ma più che doppia rispetto a Serbia, Romania, Bosnia Erzegovina, Bulgaria e Polonia, dove le cifre oscillano tra il 2% e il 5% con un trend oltretutto in diminuzione; e ancor più lontana da Ungheria e Repubblica Ceca dove il dato è addirittura inferiore al 2%.
Se poi si allarga la finestra temporale di riferimento considerando l’emigrazione come un’opzione plausibile – di più, auspicabile – in un lasso temporale di dieci anni, le percentuali si impennano in modo sconcertante superando la soglia del 30%. Un albanese su tre, in altre parole, non esclude nel medio termine la prospettiva di andarsene, temporaneamente o definitivamente.
Il futuro a rischio
Un quadro, quello appena illustrato, con il quale la classe dirigente del paese dovrà fare i conti, presto o tardi, assai più concretamente di quanto non stia facendo ora, dove il tema rappresenta perlopiù uno strumento utile alla sterile polemica politica nella frustra logica dello scontro tra parrocchie contrapposte.
Se è infatti vero che le rimesse dei migranti ai parenti residenti in Albania costituiscono un indotto fondamentale non solo per il sostentamento delle famiglie ma anche per l’economia nazionale fungendo da volano anche per il sistema bancario e finanziario (rappresentano oltre il 10% del PIL nazionale), è altresì vero che l’impatto sociale di questo status quo è drammatico e rischia di diventare insostenibile. Un paese che invecchia e si svuota è un paese senza futuro.
(Foto: Albanianews.al)