Ha fatto il giro del mondo la recente intervista di Bill O’Reilly, di Fox News, a Donald Trump. Il neoeletto presidente statunitense ha affermato di rispettare la sua controparte russa e quando il giornalista ha aggiunto: “He’s a killer though”, la risposta di Trump è stata: “There are a lot of killers. You think our country’s so innocent?”. Se negli Stati Uniti ed Europa non ha tanto colpito la dichiarazione di O’Reilly (evidentemente opinione non troppo sconvolgente per le nostre orecchie), quanto la risposta del presidente, a Mosca dal Cremlino fanno sapere di aver trovato le affermazioni del giornalista “inaccettabili ed offensive”. O’Reilly non si è detto pronto a porgere immediatamente le proprie scuse a “old Vlad” Putin; ma ha aggiunto misteriosamente: “I’m working on that apology but it may take a little time. You might want to check in with me around 2023.”
“Putin’s a killer”: il caso Litvinenko
Il giornalista di Fox News ha spiegato di riferirsi con tale affermazione alla posizione che ha espresso un altro giornalista americano, il columnist del Washington Times Bill Gertz, nel suo recentissimo libro “iWar: War and Peace in the Information Age”. Vi si tratta, tra le varie cose, della morte di Litvinenko, l’ex spia russa morta nel 2006 per contaminazione da polonio-210, per la quale il giornalista accusa senza mezzi termini Putin ed il suo entourage. Gertz non è certo il primo a scrivere o parlare di morti sospette registrate negli anni di governo putiniano (sia con Putin nel ruolo di presidente che di primo ministro). Ricordiamo “Il labirinto di Putin” di Steve LeVine, già recensito in passato da East Journal, o anche “Morte di un dissidente”, scritto da Alex Goldfarb e Marina Litvinenko, la moglie. Nel 2007 a Cannes è stato anche presentato un documentario a riguardo, “Rebellion: The Litvinenko Case” di Andrej Nekrasov.
Le scatole cinesi: da Kara-Murza, a Nemtsov, ai condomini del 1999
Tuttavia, proprio come nel gioco delle scatole cinesi, dietro ad una storia se ne cela un’altra, e poi un’altra ancora. Una sempre più torbida dell’altra. La cui ignoranza, probabilmente, lascia a Trump la libertà di esprimersi superficialmente sulla questione.
L’avvelenamento di Litvinenko richiama subito alla memoria il recente caso di Vladimir Kara-Murza, oppositore di Putin prima sotto l’egida del partito PARNAS di Kasjanov, ora del movimento “Russia aperta” (Otkrytaja Rossija) di Chodorkovskij. Kara-Murza è stato infatti ricoverato, per la seconda volta in due anni, la scorsa settimana; nel 2015 per avvelenamento sospetto, ora per cedimento degli organi interni.
L’immagine di Kara-Murza richiama a sua volta alla memoria la scomparsa violenta di un suo vicino alleato politico, Boris Nemtsov, ucciso a Mosca il 27 febbraio 2015. Al contrario dei tempi infiniti della magistratura nostrana, i giudici russi lavorano “alacremente” e dopo solo 11 mesi emisero la loro sentenza: condannati i 5 ceceni, indicati come sospetti fin dall’inizio delle indagini. Una pista caucasica, per molti versi, assurda.
E ceceni sono tutti i più noti capri espiatori dei grandi delitti russi degli ultimi vent’anni.
Nemtsov stava lavorando ad un rapporto dal titolo caustico “Putin. Guerra” (Putin. Vojna), che i suoi compagni di PARNAS portarono avanti e pubblicarono tre mesi dopo la sua morte. Il dossier, in breve, dimostra il coinvolgimento russo nella guerra in Ucraina.
Tanti i dossier scomodi che negli anni hanno portato ad altrettanti omicidi scomodi; l’esempio più toccante, tuttora vivo nel ricordo dei russi e non solo, è quello delle esplosioni di una serie di condomini a Mosca, Volgodonsk e Buinaksk che causarono tra 4 e 16 settembre 1999 la morte di oltre trecento persone. La versione ufficiale, anche in questo caso, porta sulla pista islamica, ma attorno ad essa ne sono fiorite di diverse. E ritorniamo quindi a Litvinenko. Proprio lui, assieme allo storico Fel’tišinskij, si espose con una tesi alternativa in “Blowing up Russia: Terror from Within”: gli attacchi vennero freddamente pianificati dai servizi segreti, con nulla osta dell’allora neoeletto primo ministro Putin, per sollevare la popolarità del futuro presidente alle elezioni e per fomentare nell’opinione pubblica islamofobia e odio verso la Cecenia, così da garantirsi il supporto anche nella guerra cecena. Gran fortuna ebbe, pochi anni dopo, nel 2001, il libro “Gospodin Geksogen” (Signor Plastico) di Aleksandr Prochanov, che romanza proprio su questa versione dei fatti. Lo stesso Prochanov che, tuttavia, dall’alto della sua posizione nel quotidiano Zavtra, porta avanti idee reazionarie, ultranazionaliste e “nazi-staliniste”, tanto da mettere orgogliosamente la faccia nella politica delle repubbliche separatiste nel Donbass nel 2014.
… e infine Anna “e le sue sorelle”
Anna Politkovskaja non ha bisogno di presentazioni. Uccisa, dopo numerose minacce e tentativi, che l’avevano messa in guardia ma non distolta dalla sua causa, nel 2006. Giornalista scomoda, impegnata, attiva sul fronte più duro negli anni più duri, ha dato l’esempio e la forza a tanti altri – e soprattutto altre – per andare avanti pur in un ambiente ostile. Anche per lei, ufficialmente, una pista omicida cecena.
Non è stata la sola a subire questo trattamento; la accompagnano almeno altri venti giornalisti dal 2006 a oggi, come registra la CPJ (Committee to Protect Journalists). Ad esempio, la compagna di battaglia, la giornalista Natal’ja Estemirova, che si occupava di abusi di stato e collaborava anche all’associazione Memorial, uccisa da ignoti a Groznyj nel 2009.
Ma non è Putin l’unico capro espiatorio
Tuttavia non è di Putin che dobbiamo fare l’unico capro espiatorio, come sembra aver fatto O’Reilly. Piuttosto è tutto il sistema che va indagato. Infatti, anche quelli che, a prima vista, appaiono come oppositori, in un tale ambiente possono rivelarsi maschere di uno stesso organismo bloccato, che non può e non vuole evolvere.