Opposizione russa
Ilya Yashin, fotografato durante la "Marcia contro la guerra", Berlino, 2024

L’opposizione russa ad un binario morto. Che fare?

È passato ormai un anno dalla “Marcia contro la guerra” di Berlino, quando Yulia Navalnaya, Vladimir Kara-Murza e Ilya Yashin hanno unito le forze per la prima volta, nel tentativo di costituire un fronte unito e compatto contro il regime del Cremlino. Oggi, il movimento sembra tornato al punto di partenza. Che fare?

Nel 1902mutatis mutandis – il movimento rivoluzionario russo si trovava in una situazione non dissimile da quella che gli oppositori del Cremlino si trovano a vivere: carceri e cimiteri colmi di militanti, figure carismatiche costrette all’esilio e politiche opprimenti di cui sembra impossibile invertire la rotta. Una situazione aporetica, che sembra costringere alla rassegnazione un movimento ormai quasi ventennale. In un clima simile, appunto, Lenin aveva scritto “Che fare?”: un testo in cui si metteva un punto alle infinite elucubrazioni filosofiche del movimento operaio e si descrivevano pragmaticamente i passaggi necessari alla formazione del partito rivoluzionario. Dovettero passare ancora quindici anni affinché il testo trovasse finalmente riscontro nella realtà imperiale zarista, ma questo rappresentò comunque una tappa fondamentale del processo: quella in cui il movimento realizzò ciò che era, ciò che non era e ciò che ambiva ad essere.

L’opposizione cosiddetta “liberale” non sogna di costituire un nuovo partito operaio, né la parola “rivoluzione” figura nel suo vocabolario. Ugualmente, però, sembra trovarsi nello stesso vicolo cieco.

La Russia di Putin e la Russia senza Putin

Un primo passo fondamentale per cercare di creare una piattaforma alternativa solida e credibile – al di là della censura, della propaganda, dei meccanismi di oppressione – è quello di capire ciò che Putin rappresenta. L’ultima parola spetterà certamente ai posteri e agli storici, ma qualche ragionamento – soprattutto alla luce di un percorso ormai ventennale – è possibile.

Putin non è un Leviatano giunto da un altro pianeta. Ugualmente, non è una figura machiavellica e imperscrutabile impegnata a giocare una partita di scacchi con il mondo, come spesso viene presentato nella stampa e nei media. Che sia una figura autoritaria, non legittimata da alcun processo democratico, detentore di un potere spropositato che esercita arbitrariamente è fuor di dubbio; tuttavia, è altrettanto evidente che alcune delle sue parole d’ordine, dei suoi progetti e delle sue politiche siano figlie dei profondi disagi economici, politici e culturali che hanno segnato il paese almeno dal 1991. È proprio sulle “cause profonde” – usando un’espressione cara allo stesso Putin – che hanno segnato l’esperienza ‘post-sovietica’ della Federazione Russa che il movimento d’opposizione dovrebbe riflettere: senza una reinterpretazione di ciò che furono i “selvaggi anni Novanta” – così come descritti dall’attuale classe politica russa – e una ricetta diversa da quella che lo stesso Putin si trovò ad impiegare all’inizio della sua presidenza, anche solo immaginare un futuro diverso resterà appannaggio di poche menti fantasiose.

Altrettanto necessario è ribadire che la Russia di oggi non è il paese di un Re Sole che tutto vede e tutto comanda. Il dibattito su quanto Putin funga da collante di un certo numero di gruppi di potere e quanto invece le sue politiche siano dettate da una visione personale è certamente aperto. Tuttavia, è innegabile che accanto alla figura del presidente ci siano svariati circoli e personalità influenti (siano esse Kirienko, Dyumin o il vecchio Gerasimov) così come sono presenti numerosi tecnocrati poco politicizzati che si accontentano di svolgere (anche molto bene) il loro lavoro.

Anche per questa ragione, bisogna tenere a mente che la Russia senza Putin non sarà necessariamente una Russia democratica. Moltissimo dipenderà da come avverrà la dipartita dell’inquilino del Cremlino, ma questo rimane un assunto fondamentale da cui partire, soprattutto per un movimento sembra ormai rassegnato alla morte di Putin – o comunque alla sua incapacità di proseguire oltre – come unica strategia.

Lottare per la democrazia nel XXI secolo

Nella sua pluridecennale esperienza, l’opposizione russa è diventata anche il paradigma dei movimenti per la democrazia che lottano per il rovesciamento dei governi autoritari. Allo stesso tempo, questa è diventata suo malgrado il simbolo delle difficoltà che simili formazioni si trovano ad affrontare nel contesto politico internazionale odierno. Non sono più i tempi in cui la mobilitazione degli intellettuali occidentali poteva influire sul processo a Iosif Brodsky, né tantomeno quelli in cui una partecipata manifestazione, come fu quella di Piazza Bolotnaya, può strappare delle serie concessioni al Cremlino. Il mutamento che sta subendo il linguaggio delle relazioni internazionali è sotto gli occhi di tutti.

Cosa può fare, in un contesto simile, un movimento la cui unica opzione percorribile sembra essere quella del lobbying delle classi politiche europee, a loro volta sempre più impantanate in un rapporto sclerotico con la Russia e tutto ciò che rappresenta? Gli esperimenti dei “governi in esilio” e le altisonanti dichiarazioni degli organi europei non hanno portato ad alcun risultato. Le sanzioni ad personam non sembrano efficaci e molte delle politiche implementate dagli organismi sovranazionali sembrano voler semplicemente punire i russi in quanto russi, aumentandone il senso di frustrazione e riconfermando implicitamente i temi della propaganda putinista.

Non esistono soluzioni semplici ad una simile questione, che necessita di un ripensamento complessivo dell’operato degli ultimi anni.

Prossime elezioni

Nel 2026 si terranno nuove elezioni parlamentari. Il risultato è scontato, così come è scontata l’impossibilità dell’opposizione di influenzare significativamente il voto – soprattutto alla luce della rinnovata pressione esercitata perfino sui partiti dell’opposizione “sistemica”, come Yabloko. Ripetere che le elezioni sono ingiuste e antidemocratiche non basta più.

Come nel novembre dell’anno scorso, la galassia dell’opposizione dovrebbe trovare la sua unità. Un movimento di liberazione nazionale, più che un gruppo che orbita intorno ad una sola fondazione (l’FBK, la fondazione anticorruzione del defunto Navalny), che riesca a comprendere tutte le anime di un mondo complesso, da Navalnaya a Kasparov, da Kara-Murza a Khodorkovsky, fino ai regionalisti, gli anarchici e la Lega delle Nazioni Libere.

Foto: The Kyiv Independent

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Chi è Davide Cavallini

Laureato in Storia. Cuore diviso tra la provincia est di Milano e l'Est Europa. Appassionato di movimenti giovanili, politiche migratorie e ambientali, si occupa principalmente di Romania, Moldavia e Russia.

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