Le elezioni americane viste dall’Europa orientale

articolo originariamente pubblicato su Il Dolomiti

Le elezioni americane hanno da sempre una rilevanza globale. Una volta era il cosiddetto “mondo libero” che guardava, con apprensione e speranza, al nuovo inquilino della Casa Bianca, cercando di intuire le qualità e i difetti dell’uomo che avrebbe guidato i destini dell’occidente nella competizione con Mosca. Poi è venuta la caduta del Muro e la storia – come scrisse qualcuno – sembrò “finita”. La caduta del comunismo liberava i paesi dell’Europa orientale dalla cattività sovietica, la Nato ampliava i propri confini e la Russia diventava un alleato, benché spesso trattato da suddito. L’inquilino di Pennsylvania Avenue si trovava così a gestire un mondo unipolare, e l’Europa tutta sembrava riposare serena sotto la pax americana.

Oggi che la competizione con il Cremlino si rinnova, con una Russia sempre più protagonista della scena mondiale, le elezioni americane tornano a essere guardate con la stessa apprensione e speranza di un tempo, soprattutto in Europa orientale dove la guerra in Ucraina rende rovente l’intero limes che separa l’UE dalla Russia.

Tra i due candidati, Donald Trump rappresenta l’incognita maggiore. L’intesa che egli sembra aver raggiunto con il Cremlino preoccupa non poco le cancellerie di Varsavia, Budapest e Praga, che temono di perdere la protezione americana in caso di minaccia da parte russa.

Il candidato repubblicano ha infatti messo in discussione il meccanismo per il quale un membro Nato, qualora aggredito, viene difeso obbligatoriamente dall’intera Alleanza. Trump sostiene che gli Stati Uniti decideranno, volta per volta, se intervenire in difesa di un altro stato membro, e accusa l’Europa di avere contribuito poco al mantenimento dell’Alleanza Atlantica. E chi dà poco, poco raccoglie.

Dichiarazioni che fanno tremare le vene ai polsi delle piccole repubbliche baltiche che, a seguito dell’occupazione russa della Crimea, temono particolarmente il nuovo protagonismo russo, e hanno ottenuto una maggiore presenza della Nato ai propri confini. Il dispiegamento di missili russi a Kaliningrad ha convinto l’Alleanza Atlantica a inviare nel Baltico un contingente militare che comprende anche soldati italiani. Dal canto suo la Romania, che aveva richiesto una maggiore presenza dell’Alleanza nel Mar Nero, potrebbe trovarsi in prima linea nella competizione con Mosca: il Cremlino già sta allungando le mani sulla vicina Moldavia, paese di lingua romena tormentato dalla presenza militare russa che occupa una regione del paese, la Transnistria, repubblica de facto indipendente, appoggiata da Mosca.

Per Kiev un’eventuale vittoria di Trump sarebbe disastrosa. Il candidato repubblicano ha già infatti dichiarato di voler mettere fine al conflitto nel Donbass trovando un accordo direttamente con Putin, senza interpellare il governo ucraino. La presenza di consulenti di Yanukhovich, l’ex presidente ucraino deposto dalla rivoluzione di Maidan nel 2014, nell’entourage di Trump non fa ben sperare. Il nome più significativo è quello di Paul Manafort che, secondo un’inchiesta del New York Times, è stato al servizio di Rinat Akhmetov, l’oligarca più potente dell’Ucraina, padrino politico di Yanukovich, impegnandosi nella campagna elettorale a favore di qust’ultimo e ottenendo, in cambio, la partecipazione a lucrosi affari insieme ad un altro oligarca ucraino, Oleg Deripaska.

Se una vittoria di Trump preoccupa i governi dell’Europa orientale per le incognite che rappresenta, un successo da parte di Hillary Clinton sarebbe invece accettato di buon grado. La Clinton garantirebbe continuità nelle relazioni con gli Stati Uniti e proseguirebbe nell’allargamento della Nato, sostenendo quelle forze politiche che si oppongono al controllo di Mosca. Già nel 2010, quando era Segretario di Stato, Hillary Clinton visitò i paesi dell’Europa orientale per tessere relazioni con i governi della regione. Quel viaggio iniziò proprio a Kiev. Il proseguimento di tale politica, tuttavia, potrebbe portare a un innalzamento della tensione con la Russia ma l’Europa orientale sembra preferire questo a un ritorno d’influenza del Cremlino nella regione.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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