RUSSIA: Missili nucleari a Kaliningrad. La Nato risponde, anche italiani al confine russo

La Russia ha spostato missili nucleari Iskander-M a Kaliningrad, enclave russa che si trova tra Lituania e Polonia. I governi di Varsavia e Vilnius sono subito entrati in fibrillazione, accusando Mosca di voler aumentare la tensione sul confine orientale dell’Unione Europea, già alta a causa della crisi ucraina e della guerra nel Donbass. Il ministro degli Esteri lituano, Linas Linkevičius, ha dichiarato che si tratta di una violazione dei trattati internazionali che vietano lo spiegamento di missili nucleari entro i 500 chilometri dal confine europeo.

“Si tratta di una normale operazione di addestramento militare” – ha replicato il portavoce del ministero degli Esteri russo, Igor Konashenkov – “non è la prima volta che vengono dispiegati missili Iskander a Kaliningrad”.

Missili, una vecchia storia

Ed è vero. Quella dei missili è una partita che si gioca da anni, cominciata con lo “scudo spaziale” voluto da George W. Bush e portata avanti, seppur in tono minore, dall’amministrazione Obama. Una partita che ha visto il dispiegamento di missili Patriot in Repubblica Ceca e Polonia – paesi tradizionalmente antirussi – e successivamente in Romania. Mosca, per tutta risposta, spostò allora i suoi missili Iskander nell’enclave di Kaliningrad.

La situazione si andò normalizzando con la firma del Trattato “New Start“, siglato a Praga nell’aprile 2010, che prevedeva una riduzione delle testate nucleari fissando a 1550 il numero di missili e bombe nucleari utilizzabili da entrambe la parti. In quell’occasione il progetto di uno “scudo antimissile” americano venne accantonato. La distensione non è durata molto, e la crisi ucraina ha riacceso la competizione tra Russia e occidente.

La nuova competizione tra Russia e NATO

A seguito dell’invasione russa della Crimea e della guerra nel Donbass, i paesi baltici hanno cominciato a chiedere a gran voce maggiori garanzie da parte della NATO. La Romania, dal canto suo, ha invocato una presenza dell’Alleanza Atlantica nel Mar Nero, al fine di limitare le operazioni navali della flotta russa, ancorata a Sebastopoli.

Il cri de douleur dei paesi orientali è stato infine ascoltato. Durante il Summit di Varsavia dello scorso luglio, la NATO ha deciso di rafforzare la propria presenza militare nei paesi baltici e in Polonia, dislocando nei confini orientali del patto atlantico forze armate di diverse nazionalità. In Lettonia saranno dislocate in maggioranza forze militari canadesi, ma è prevista la presenza anche di militari italiani, portoghesi e polacchi in territorio lettone.
In Estonia il gruppo sarà guidato da militari britannici, in Lituania da forze armate tedesche. In Polonia la presenza militare Nato sarà in particolare formata da militari statunitensi.

Anche italiani al confine con la Russia

In un’intervista rilasciata al quotidiano La Stampa, il segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, ribadisce quanto già stabilito a Varsavia, ovvero che i soldati italiani saranno “parte di uno dei quattro battaglioni dell’Alleanza schierati nei Paesi baltici”.

La presenza italiana al confine russo era un segreto di Pulcinella, tanto che era stata confermata poche ore dopo la fine del summit NATO di luglio dalla televisione lettone LNT. Certo, gli italiani non guardano la televisione lettone e in questi mesi nessuno si era premurato di dare loro la notizia (noi ne parlammo qui). Si apprende però che nel 2018 “l’Italia sarà nazione guida nel VJTF”, una task force di azione ultrarapida, la “punta di lancia” in grado di intervenire in cinque giorni in caso di emergenza. Saranno i soldati italiani a rispondere a un’eventuale – quanto improbabile – invasione russa del Baltico. 

La speranza è che la militarizzazione del confine orientale non diventi permanente, e che le relazioni con la Russia si ristabiliscano. Certo la “distensione” dovrà necessariamente passare dalla risoluzione della crisi ucraina, e non sarà un passaggio facile né indolore.

 

 

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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