Donald Trump, il candidato di Mosca

Nell’opinione pubblica dei paesi ex-sovietici sopravvive la convinzione che sia stato Mikhail Gorbaciov, e non Boris Eltsin, a causare la dissoluzione dell’URSS; in molti sono convinti, inoltre, che Gorbaciov fosse uomo dell’America, e che fin dall’inizio del suo potere abbia tramato per sabotare la potenza sovietica sino a causare il suo finale smembramento.

Ora, a molti anni di distanza, emerge la possibilità di un contappasso, di un riscatto storico per cui sia possibile far eleggere presidente degli Stati Uniti un uomo molto vicino a Mosca: Donald Trump. Le dichiarazioni del candidato repubblicano, di chiara simpatia per la leadership di Vladimir Putin, si sprecano, così come le sue incaute dichiarazioni riguardo all’occupazione della Crimea, e le sue opinioni sul ridimensionamento della NATO, sino all’esplicita volontà di una distensione con la Russia.

Trump contro l’Ucraina

Oltre alle dichiarazioni pubbliche, emergono però fatti concreti che possono apparire inquietanti sulle intenzioni di Trump e sui suoi reali moventi: a luglio il partito repubblicano, di cui Trump è candidato, stava per emettere, nella convention di Cleveland, un documento programmatico in cui si richiedeva il rafforzamento del sostegno all’Ucraina e la fornitura di armi letali difensive: ebbene, i rappresentanti di Trump hanno ottenuto che venisse cancellata la fornitura di armi sostituendola con la  generica “fornitura di adeguata assistenza”.

Manafort, il consulente di Yanukovich

Appare ancora più inquietante il fatto che il capo della campagna elettorale di Trump, Paul Manafort, sia stato per anni impegnato in Ucraina per favorire l’elezione a presidente del candidato filorusso Yanukovich. Manafort era stato contattato già nel 2005 da Rinat Akhmetov, l’oligarca che aveva accompagnato l’ascesa al potere di Yanukovich. Il consulente non si era solo impegnato nella campagna elettorale ma aveva agito per modificare negli Stati Uniti l’immagine di Yanukovich, così che non apparisse il suo forte legame con Mosca.

Ora il New York Times e l’Ufficio nazionale anticorruzione dell’Ucraina avrebbero ricostruito pagamenti in nero per 12.7 milioni di dollari dal partito di Yanukovich a Manafort. Per anni Manafort ha avuto un ufficio in Via Sofiivskaya 4, a pochi passi dal Maidan , e avrebbe a lungo lavorato per migliorare l’immagine di Yanukovich in Ucraina e all’estero, oltre a condurre la campagna elettorale che lo portò al potere nel 2010.  Egli appare coinvolto in una rete di società offshore usate da Yanukovich per ripulire o ricollocare denaro sporco, frutto di manovre illegali a danno delle casse pubbliche.

Manafort, secondo il New York Times, è poi coinvolto in rapporti molto stretti con Oleg Deripaska, oligarca russo vicinissimo al Cremlino: insieme sarebbero stati in affari con il fondo Pericles delle Isole Cayman per acquisire il controllo della Black Sea Cable, una televisione via cavo ucraina; allo stato delle cose Deripaska avrebbe versato alla Pericles, oltre ad un versamento iniziale di 100 milioni di dollari, 18.9 milioni di dollari nel 2008 più 7.3 milioni per spese di management, che non ha più rivisto; formalmente ha intentato una causa nel 2014 presso un tribunale delle Cayman per recuperare il suo denaro. Manafort poi, dopo la caduta di Yanukovich non avrebbe abbandonato l’Ucraina, ma avrebbe aiutato i membri del vecchio partito di Yanukovich a ricostruire un’alleanza politica di opposizione al nuovo potere e non risulta che la sua società ucraina, la Davis Manafort International, registrata il 9 luglio 2007, sia stata in qualche modo abbandonata. L’ufficio non si trova però più in via Sofiivskaia 4.

Hacker russi contro la Clinton?

Riguardo all’idiosincrasia del potere russo per Hillary Clinton non esistono dubbi, e, secondo l’FBI, ci sarebbero hacker russi dietro la pubblicazione di migliaia di mail del partito democratico. All’apparire della notizia, Trump ha spiritosamente invitato i russi a ritrovare le trentamila mail della Clinton andate smarrite.

L’FBI, secondo la NBC news, ha in queste ore iniziato ad indagare ufficialmente, oltre che sulle mail di Hillary Clinton, anche sui rapporti di affari all’estero di Manafort.

Relazioni “disturbanti”

A molti osservatori le frequenti esternazioni filorusse di Trump appaiono inspiegabili, anche in campo repubblicano; l’ex candidato alla presidenza John Mc Cain è indignato, e secondo David Kramer, ex membro del Dipartimento di Stato sotto George Bush, le relazioni dello staff di Trump con le forze filorusse sono “profondamente disturbanti”.

Secondo l’ex direttore dell’antiterrorismo alla CIA, Vincent Cannistraro, gli USA sanno perfettamente che gli hackers dei servizi russi hanno operato per screditare la Clinton di fronte agli elettori; a suo parere Putin ritiene che Trump sarebbe un presidente molto più manipolabile. Soprattutto sull’Ucraina pensa che Trump non interferirebbe nel suo tentativo di ricondurla nella propria sfera d’influenza. Sa che Trump vorrebbe entrare nel mercato immobiliare russo e possibilmente in quello petrolifero, e per fare questo avrà bisogno di ottimi rapporti con lui.

 

Chi è Giovanni Catelli

Giovanni Catelli, cremonese, è scrittore e poeta, esperto di cultura e geopolitica dell’Europa orientale. Suoi racconti sono apparsi in numerose testate e riviste, tra cui il Corriere della Sera, la Nouvelle Revue Française, Nazione Indiana, L’Indice dei Libri. Ha pubblicato In fondo alla notte, Partenze, Geografie, Lontananze, Treni, Diorama dell'Est, Camus deve morire, Il vizio del vuoto, Parigi e un padre (candidato al Premio Strega 2021). Geografie e Camus deve morire (con prefazione di Paul Auster) sono stati tradotti in varie lingue. Collabora con Panorama e dirige Café Golem, la pagina di cultura di East Journal. Da più di vent'anni segue gli eventi letterari, storici e politici dell'Europa orientale, e viaggia come corrispondente nei paesi dell'antico blocco sovietico.

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