Erdogan e Putin hanno resuscitato il progetto Turkish Stream, il gasdotto che collegherà direttamente Russia e Turchia passando sotto il mar Nero, per rifornire anche i mercati europei. La firma è arrivata il 10 ottobre a margine del World Energy Congress di Istanbul e segna un altro passo avanti nel riavvicinamento tra i due paesi, dopo l’abbattimento del Sukhoi russo da parte dell’aviazione turca 11 mesi fa.
In una conferenza stampa congiunta, il ministro dell’Economia turco Nihat Zeybekci e il ministro dell’Energia russo Alexander Novak hanno indicato tempi brevi per la realizzazione della pipeline, che dovrebbe iniziare nel 2017 e concludersi entro il 2019. Secondo quanto affermato daIl’ad di Gazprom Aleksej Miller, il progetto è composto di due linee principali (910 km la tratta sottomarina, 180 km quella in territorio turco) per un costo totale di oltre 11 miliardi di euro.
Gli interessi di Mosca e Ankara
Con il rilancio di Turkish Stream, Ankara punta ad affermarsi come hub energetico regionale e a garantirsi uno sconto importante sul gas russo. Dal canto suo, Mosca appoggia il progetto per mantenere la sua posizione di principale fornitore energetico dell’Europa. Con questo gasdotto, infatti, aggira il collo di bottiglia dell’instabile Ucraina e prova a mettersi di traverso alle forniture che provengono dai giacimenti azeri del Caspio.
Intanto l’Unione europea non può che storcere il naso. Turkish Stream fu proposto la prima volta a fine 2014, quando ormai era tramontata l’opzione South Stream, che avrebbe dovuto portare gas russo in Europa con la Bulgaria come punto d’accesso. Ma l’Ue – che punta a diminuire la sua dipendenza dagli idrocarburi russi diversificando i fornitori – si oppose e la spuntò. Adesso il problema si ripropone, tale e quale.
Un gasdotto ‘politico’
Dalla fumata nera per South Stream rimase scottata l’italiana Saipem (aveva contratti per 2,4 miliardi di euro), che adesso potrebbe rifarsi col nuovo progetto. Tuttavia, a molti Turkish Stream sembra aver a che fare più con la politica che con l’energia. Russia e Turchia hanno assicurato che i lavori partiranno il prima possibile, ma i diretti concorrenti – cioè Tanap e Tap – sono in una fase ben più avanzata. I prossimi mesi sveleranno se si tratta di un’operazione di facciata o se ha una qualche sostanza.
Intanto arriva, diretto e immediato, un chiaro messaggio politico. Il riavvicinamento tra Russia e Turchia è a 360 gradi e non è questione che riguardi soltanto i due paesi ma anche l’Ue, la Nato e la situazione in Ucraina e in Medio oriente. Il membro più riottoso dell’Alleanza atlantica e l’ex superpotenza, oggi nuovamente impegnata in un confronto muscolare con Europa e Stati Uniti su un arco che va dall’Artico all’Egitto, possono andare a braccetto e privilegiare le proprie agende.
I passi del riavvicinamento
È un percorso iniziato ormai da alcuni mesi. Prima misure per ristabilire la fiducia tra Ankara e Mosca: cancellate alcune delle sanzioni imposte a seguito della crisi dello scorso novembre (agricoltura, commercio e turismo), creato un fondo di investimento comune da un miliardo di dollari, ribadita l’intenzione di procedere con la prima centrale nucleare turca sponsorizzata dalla Russia ad Akkuyu.
Poi l’assenso di Putin all’intervento turco in Siria (pochi mesi fa Erdogan era bollato come fiancheggiatore dell’Isis). E mentre sale la tensione sul fianco est della Nato tra continui sconfinamenti dello spazio aereo da parte dell’aviazione di Mosca, missili Iskander che tornano a Kaliningrad ed esercitazioni in grande stile da una parte e dall’altra, Ankara ha riammesso l’offerta russa per un’importante commessa militare, quella per il primo sistema di difesa anti-missile a lungo raggio turco.