BALCANI: Il traffico delle armi [I]

Sono passati pochi giorni dalle polemiche sollevate dal servizio de “Le Iene” sulla facilità di acquisire armi in Bosnia Erzegovina. Un servizio, come documentato da East Journal, ritenuto un falso dalla Procura di Sarajevo. Al di là della veridicità del video, la questione del traffico di armi nei Balcani Occidentali esiste, ed è bene fare un po’ di chiarezza.

Secondo le analisi di organismi internazionali, i Balcani occidentali sono un’area di vendita di armi verso mercati esteri, un traffico che ha due connotati distinti. Da un lato c’è il traffico illegale, gestito dalle organizzazioni criminali locali; dall’altro c’è la vendita legale da parte dei governi della regione ad altri paesi.

Le radici storiche

Radice comune dei due traffici è l’alta presenza di armi nell’area, dovuta a ragioni storiche. Sia in Jugoslavia che in Albania, al crollo del comunismo rimasero a disposizione i vasti arsenali militari costruiti dai due regimi. In Jugoslavia, la maggior parte finí nelle mani dell’esercito e delle milizie serbe, che lo utilizzarono nei conflitti in Bosnia e in Croazia. Quest’ultime, invece, svilupparono intensi traffici con l’estero, necessari per eludere l’embargo ed affrontare Belgrado nel conflitto. In Albania, la crisi politica del ’97 vide assalti alle caserme e diffusione delle armi tra la popolazione, molte delle quali finirono in Kosovo per armare l’UÇK nella guerra contro Milošević.

I traffici illegali

Finiti i conflitti, un vasto numero di armi è rimasto nella regione, spesso in mano ai civili. Secondo le statistiche, nei Balcani occidentali ci sono tra le 3.6 e le 6.2 milioni di armi, su una popolazione di circa 25 milioni. Il numero di armi per persona e di omicidi per arma da fuoco è nettamente superiore alla media europea. In testa a questa classifica vi sono Serbia, Kosovo e Albania. È evidente che un tale “patrimonio” costituisce una fonte di ricchezza per le mafie locali, che rivendono kalashnikov, pistole e bombe a mano soprattutto sui mercati europei.

Tale legame è venuto alla ribalta in occasione degli attentati di matrice islamica che hanno colpito la Francia nel 2015. Secondo le indagini, negli arsenali dei terroristi le armi erano soprattutto di produzione croata, serba e bosniaca, esempio del traffico tra mafie balcaniche e organizzazioni criminali e terroristiche. Un traffico che ha ben poco a che vedere con affinità religiose o ideologiche: già ai tempi della guerra non era raro trovare criminali serbi, croati, bosniaci e albanesi lavorare insieme, e tale pratica si è mantenuta. A conferma di ciò, è di pochi giorni fa la decisione del governo francese di istituire un progetto di polizia congiunto con la Serbia. L’idea è quella di creare squadre investigative comuni per bloccare il traffico di armi alla radice.

I traffici legali

Come detto, al traffico illegale se ne affianca uno legale. I governi di molti paesi dell’area hanno ammesso che la vendita degli armamenti rimasti è un importante fattore di entrate. Se le procedure sono di per sé legali, dubbi sono emersi sulla destinazione finale. Negli ultimi anni sono cresciute le vendite verso l’Arabia Saudita, stato che rifornisce diverse milizie in Medio Oriente. Non è un caso che armi di produzione jugoslava sono state ritrovate in Siria. I governi di Croazia, Montenegro e Serbia si sono difesi spiegando che la vendita di armi a Ryadh è perfettamente legale, anche se le norme internazionali prevedono che la destinazione finale vada preventivamente dichiarata.

Il quadro che emerge è dunque complesso. Ciò che è certo è che i Balcani occidentali continuano a essere una regione dove le armi sono tante e dalla quale queste armi vengono vendute all’estero, ingrossando i guadagni di organizzazioni criminali e governi.

Chi è Riccardo Celeghini

Laureato in Relazioni Internazionali presso la facoltà di Scienze Politiche dell'Università Roma Tre, con una tesi sui conflitti etnici e i processi di democratizzazione nei Balcani occidentali. Ha avuto esperienze lavorative in Albania, in Croazia e in Kosovo, dove attualmente vive e lavora. E' nato nel 1989 a Roma. Parla inglese, serbo-croato e albanese.

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