Dal 27 al 30 novembre la Turchia ha accolto Papa Leone XIV in quella che si è rivelata fin da subito una visita pastorale storica, la prima del nuovo pontefice, organizzata in occasione dei 1700 anni dal Concilio di Nicea, il primo concilio ecumenico cristiano tenutosi presso l’odierna İznik nel 325 d.C. In questa occasione, alla presenza di centinaia di vescovi provenienti dalla parte occidentale e orientale dell’Impero romano, Costantino I cercò di ricostituire l’unità dogmatica dell’ecumene cristiana attorno alla condanna delle forme di eresia che ne stavano minando l’integrità, adottando la formula del credo niceno-costantinopolitano, tuttora in uso, quale affermazione della trinità della persona divina.
Il viaggio apostolico di Leone XIV, proseguito poi in Libano, è il quinto realizzato da un pontefice nel paese: prima di lui, già Paolo VI (1967), Giovanni Paolo II (1979), Benedetto XVI (2006) e Francesco (2014) si erano recati in Turchia, sottolineando il forte legame da sempre esistente con questa regione, considerata una culla della predicazione apostolica, terra natale di San Paolo e luogo ove si sono svolti i primi sette concili ecumenici della Chiesa.
Vaticano e Turchia: il contesto
I rapporti bilaterali tra la Santa Sede e l’allora Impero Ottomano – fino a quel momento coinvolti in ripetuti confronti armati per affermare la propria preminenza sul continente europeo – cominciarono ad assumere una fisionomia stabile a partire dal 1868, anno di costituzione della Delegazione Apostolica di Costantinopoli. La Santa Sede operò entro i confini dell’Impero sotto la tutela di altre potenze europee, in particolar modo la Francia, alla quale veniva demandata la protezione della minoranza cattolica locale.
Con la costituzione dell’Internunziatura Apostolica di Turchia nel 1960 – elevata poi a Nunziatura da Paolo VI nel 1966 – i due stati instaurarono rapporti diplomatici ufficiali. Sino a quel momento, i delegati apostolici – rappresentanti non ufficiali di uno stato estero – erano comunque considerati alla stregua di diplomatici. Emblematica, in tal senso, è la vicenda di Angelo Roncalli, futuro Papa Giovanni XXIII, il quale ricoprì l’incarico di delegato apostolico in Turchia e Grecia, nonché amministratore del Vicariato apostolico di Istanbul, dal 1934 al 1944, nei convulsi anni della Seconda Guerra Mondiale e delle riforme politiche di Atatürk. In virtù della sua vicinanza alla popolazione locale e degli sforzi prodigati in favore di migliaia di cittadini ebrei in fuga dai paesi europei occupati dai nazisti alla volta della Turchia – tratti in salvo di nascosto nonostante lo status neutrale del paese ne vietasse formalmente l’accoglienza – Roncalli si guadagnò l’appellativo di “amico dei turchi”. Una statua del pontefice presso il cortile della Chiesa di Sant’Antonio e una strada a lui dedicata a Istanbul ne ricordano il delicato ruolo politico e pastorale.
Nonostante la sua secolare presenza in terra anatolica, ancora oggi lo stato turco non riconosce la personalità giuridica della Chiesa cattolica in Turchia, uno statuto peculiare che la differenzia dalle altre istituzioni religiose cristiane e non – cristiani apostolici armeni, cristiani ortodossi greci, ebrei – limitandone potenzialmente l’autonomia d’azione. Come rilevato dallo storico Rinaldo Marmara, questa singolarità deriverebbe dal carattere universale della stessa Chiesa cattolica, dipendente da un capo religioso straniero – il Papa – e non di nazionalità ottomana, come invece accadeva per le altre comunità riconosciute entro il sistema ottomano di governo delle differenze religiose articolato in “nazioni” (millet).
Unità interreligiosa e polemiche nazionaliste
L’agenda del pontefice in Turchia è stata contrassegnata da numerosi impegni, a partire dalla visita al Mausoleo di Atatürk (Anıtkabir) nella capitale Ankara, e la ricezione ufficiale presso il Palazzo presidenziale, dove ha salutato i soldati schierati all’ingresso con la tradizionale formula in turco “Merhaba, asker!” (Saluti, soldati!). In seguito, l’incontro con il presidente Erdoğan e le autorità politiche presso la Biblioteca Nazionale, durante il quale il Papa ha ribadito l’importanza del ruolo del paese nello scacchiere Mediterraneo e la sua natura di “crocevia di sensibilità” culturali e religiose diverse, attento al valore della sua diversità interna. A Istanbul, in linea con la tradizione inaugurata da Benedetto XVI e continuata da Francesco, Leone XIV si è recato in visita alla Moschea Blu dove, a differenza dei predecessori, non si è raccolto in un momento di meditazione. Ha poi incontrato il presidente del Direttorato degli Affari Religiosi (Diyanet) Safi Arpaguş, e i leader religiosi delle varie denominazioni cristiane: dal patriarca greco-ortodosso Bartolomeo I, con il quale ha pregato nella Chiesa di San Giorgio, sede del Patriarcato di Fener, al patriarca armeno Sahak II, presso il Patriarcato armeno apostolico di Kumkapı, il quale ha definito quello del pontefice un “ecumenismo pratico“ mirante a sanare le secolari fratture e ostilità esistenti tra cristiani, raggiungendo un’intesa unitaria.
La visita del Papa, in tal senso, ha costituito un potente invito all’armonizzazione dei rapporti all’interno del mondo cristiano, testimoniato dalla firma di una dichiarazione congiunta con il patriarca Bartolomeo, nella quale è stato riaffermato il comune impegno verso un cammino di comunione tra le due fedi e il rifiuto categorico dell’uso della religione per giustificare atti violenti. Inoltre, dopo decadi segnate da politiche discriminatorie ai danni delle minoranze etniche e religiose del paese – contraddistinte anche da forme di ingegneria demografica, espulsioni e requisizioni di proprietà – il viaggio apostolico del pontefice si è configurato quale segnale di vicinanza e speranza nei confronti di queste comunità, che nel corso della storia sono state spesso dimenticate e percepite come estranee al corpo nazionale.
La visita di Leone XIV si è posta in linea con le ambizioni della politica estera turca, che mira a stabilire un’immagine positiva e rassicurante del paese nell’agone politico globale. Le vigorose posizioni del leader religioso sul genocidio condotto da Israele a Gaza consentono una convergenza politica e morale con il governo turco, contribuendo a rinsaldare i legami tra i due attori nella ricerca di una soluzione pacifica alla crisi mediorientale e riconfermare internazionalmente il ruolo di mediatore di pace assunto da Ankara in vari teatri di conflitto.
Il viaggio apostolico è stato segnato da proteste inscenate da partiti politici fortemente secolaristi, conservatori e nazionalisti. Alcuni esponenti del Nuovo Partito del Benessere (Yeniden Refah Partisi), di ispirazione religiosa e ultraconservatrice, si sono resi protagonisti di una contestazione a İznik, con la quale hanno condannato la visita di Leone, rea di “gettare un’ombra sulla sovranità religiosa e nazionale della Turchia”, riferendosi al presunto diniego espresso da Atatürk rispetto alla visita di Pio XI in Turchia nel 1925, notizia ampiamente rilanciata sui social turchi, poi rivelatasi infondata. Così come false si sono dimostrate le notizie sulle origini armene del pontefice, circolate prima della visita in ambienti nazionalisti per screditarne la figura. Sulla stessa scia si è posto il Patriarcato turco-ortodosso, la controversa chiesa autocefala fondata nel 1922 da Eftim I, nazionalista turco fedele ad Atatürk, non riconosciuta all’interno del mondo ortodosso, che ha denunciato la congiuntura tra Chiesa cattolica e Patriarcato greco-ortodosso come preludio a interferenze estere e richieste di autonomia legale e territoriale nel paese.
Foto: İlke Haber Ajansı
East Journal Quotidiano di politica internazionale