Guerra in Siria, carri armati turchi passano il confine

La Turchia attacca in Siria. Carri armati passano il confine

La Turchia entra ufficialmente nella guerra in Siria. Dalle prime ore di questa mattina è in corso un’operazione militare oltre confine. L’artiglieria e i carri armati turchi si stanno concentrando sui villaggi attorno a Jarablus, a ridosso dell’Eufrate e del confine turco-siriano. La zona è sotto il controllo dell’Isis. È la prima volta che Ankara interviene direttamente con il proprio esercito in territorio siriano. L’unico precedente è l’operazione per spostare la tomba di Suleyman Shah all’inizio del 2015. Ma questa volta è diverso.

Ribelli ‘moderati’ e Usa appoggiano la Turchia

Prima di tutto perché non è una mossa unilaterale. Ankara si sta muovendo all’interno della coalizione internazionale contro l’Isis e sta cooperando con le forze americane. Mentre la Turchia ha mandato avanti truppe di terra, reparti delle Forze speciali e qualche caccia, gli Usa stanno fornendo supporto aereo e pare anche qualche consigliere militare sulla linea del fronte. Partecipano all’offensiva anche alcuni reparti dell’ex Esercito Siriano Libero (ESL). Si tratta per lo più di gruppi che ricevono da anni finanziamenti e armi dalla Turchia, e che fino ad oggi hanno combattuto per Ankara una sorta di guerra per procura, sia contro l’Isis che contro il regime di Assad, arrivando a più riprese anche a scontri con i curdi delle Forze Democratiche Siriane (FDS).

Tra le formazioni ribelli che stanno combattendo a Jarablus figurano al-Zinki, Faylaq al-Sham, la brigata 13 dell’ESL, la brigata Sultan Murad, Jaish al-Tahrir e un gruppo formato da turcomanni (probabilmente le Brigate turcomanne siriane). Forze fondamentali in chiave di “legittimità”, per dare corpo all’idea che si tratti di un appoggio a forze siriane. La mossa non è inedita: è la stessa strategia tentata più volte in passato. Questa volta, però, anche Turchia e Usa sono in prima linea.

Il vero obiettivo non è l’Isis ma i curdi

La Turchia attacca in Siria. Carri armati passano il confine
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Qual è l’obiettivo della Turchia? Ufficialmente è una risposta all’attentato di Gaziantep dello scorso 20 agosto, quando un kamikaze dell’Isis si è fatto esplodere durante un matrimonio causando oltre 50 vittime tra i curdi aleviti che partecipavano. Ma la lotta allo Stato Islamico è solo una parte della faccenda, e certo quella meno rilevante per Ankara. Un obiettivo molto più importante è bloccare l’avanzata dei curdi siriani: dopo aver preso Manbij hanno avuto la strada spianata per conquistare tutta la zona a ridosso del confine con la Turchia. Ad affermarlo è lo stesso presidente Erdogan: l’intervento è sia contro l’Isis, sia contro i curdi siriani.

Lo dice anche il nome dato all’operazione: “Scudo dell’Eufrate”. Basta guardare una cartina. I curdi delle FDS occupano tutta la zona a est del fiume, ma con la presa di Manbij hanno definitivamente “sconfinato” a est. Se il loro obiettivo è ricongiungere l’area di Kobane con l’enclave di Efrin (nell’estremo nord-est della Siria), questo è l’incubo di Ankara, che si troverebbe l’intero confine sud sotto controllo curdo. Quindi è probabile che le operazioni si allarghino da Jarablus fino all’area a nord di Aleppo, esattamente la zona dove da anni la Turchia chiede venga istituita una no fly zone per trasformarla in una testa di ponte sotto la propria influenza esclusiva.

Cosa succederà tra Ankara, Mosca e Washington?

All’orizzonte si profila quindi un possibile scontro con le forze curde. Che dal canto loro hanno subito replicato. “La Turchia è entrata nel pantano siriano. Sarà sconfitta come l’Isis”, ha dichiarato il presidente del principale partito curdo PYD Salih Muslim. Curdi per i quali l’appoggio aereo degli Usa è determinante: resta da vedere come si comporterà Washington se si arrivasse a uno scontro frontale tra turchi e curdi, o quali mosse farà per evitarlo.

Intanto va rilevato che il riavvicinamento tra Erdogan e Putin sta dando qualche frutto evidente. L’abbattimento del caccia russo da parte della Turchia lo scorso novembre aveva congelato ogni ipotesi di protagonismo di Ankara in Siria. Adesso i caccia turchi volano sulla Siria e da Mosca tutto tace, anche se il regime di Assad ha bollato l’intervento come un’invasione. Tutto ciò mentre Russia e Usa stanno cercando per l’ennesima volta di raggiungere un accordo per il cessate il fuoco. Anche da questo punto di vista l’intervento della Turchia non potrà non avere ripercussioni.

Aggiornamento ore 16,37: il vice presidente Usa Joe Biden, in visita in Turchia, ha affermato che le forze curde in Siria “devono retrocedere al di là dell’Eufrate”, esattamente in linea con le affermazioni delle autorità turche. Le forze curde “non avranno in alcun modo il supporto degli Usa se non rispettano questo punto”, ha aggiunto Biden. Il portavoce dell’YPG, il principale gruppo combattente curdo, ha annunciato che gli elementi curdi delle Forze Democratiche Siriane si ritireranno a est dell’Eufrate, mentre tutti i combattenti non inquadrati nell’YPG resteranno in teatro. Ma a distanza di poche ore lo stesso portavoce ha affermato l’esatto opposto: i curdi resteranno a ovest dell’Eufrate. “Siamo nel nostro paese – ha detto, sostenendo che le sue affermazioni precedenti erano state fraintese – Non ci ritireremo su richiesta della Turchia o di un altro stato”.

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Chi è Lorenzo Marinone

Giornalista, è stato analista Medio Oriente e Nord Africa al Centro Studi Internazionali. Master in Peacekeeping and Security Studies a RomaTre. Per East Journal scrive di movimenti politici di estrema destra.

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