caduta regime in Siria

TURCHIA: Rifugiati siriani e forze curde, i dossier aperti un anno dopo la caduta di Assad

Un anno fa gli alleati della Turchia prendevano il potere in Siria. Oggi per Ankara restano aperte questioni chiave: le relazioni coi curdi e il ritorno dei rifugiati.

L’8 dicembre 2024, dopo 54 anni di dominio, il regime della famiglia Assad in Siria giungeva al capolinea. Dopo aver circondato Damasco, le forze di Tahrir al-Sham guidate da Ahmad al-Shara’ (allora conosciuto con il suo nom de guerre Muhammad al-Jawlani) ponevano fine ad un’azione militare iniziata solamente undici giorni prima, prendendosi la capitale e costringendo Bashar al-Assad alla fuga in Russia.

Questo epilogo ha rappresentato una vittoria politica totale per la Turchia. Dopo 13 anni di sforzi e un sostegno costante alle forze ribelli, anche nei momenti in cui la coalizione filogovernativa sembrava avere il controllo su gran parte del Paese, Erdoğan ha finalmente visto i suoi alleati prendere il potere. Questo ha determinato un cambiamento nei rapporti di forza anche fra gli attori internazionali presenti nel Paese. Se infatti, sotto il regime di Assad, gli attori geopolitici più influenti per Damasco erano Iran e Russia, dopo l’8 dicembre 2024 l’asse sembra essersi spostato in direzione di Ankara.

Un anno dopo, tuttavia, la situazione politica in Siria rimane estremamente incerta e fragile; per la Turchia, poi, sono diversi i punti rimangono tuttora irrisolti. Il primo di questi riguarda l’area sotto il controllo delle forze curde.

Le Forze Democratiche Siriane: un problema non da poco per Erdoğan

Tra il 2015 e il 2017, grazie al supporto militare degli Stati Uniti, le Forze Democratiche Siriane (alleanza di milizie a maggioranza curda) hanno avviato un’espansione territoriale che ha portato alla sconfitta di Daesh nel nord-est del Paese e alla conquista di circa un terzo del territorio siriano.

Il confine settentrionale dell’area sotto controllo delle Forze Democratiche Siriane è in gran parte contiguo con la Turchia, ma presenta delle interruzioni dovute alle zone occupate dalla Turchia dopo l’operazione “Fonte di Pace” del 2019. Ankara nel corso degli anni ha condotto diverse operazioni militari contro le SDF,  che considera un’organizzazione terroristica.

Il 6 gennaio 2025, a meno di un mese dalla caduta del regime di Assad, il ministro degli esteri turco dichiarava che la Turchia non avrebbe accettato una Siria al cui interno fossero presenti forze armate curde, aggiungendo che Ankara si sarebbe impegnata per la loro eliminazione e invitava l’Occidente a cessare il supporto nei confronti delle SDF.

Nel frattempo, le SDF avviavano un dialogo con l’attuale governo siriano; nel mese di marzo i rapidi passi avanti hanno portato alla sigla di un accordo che prevede l’integrazione delle forze curde all’interno delle istituzioni civili e militari dello Stato centrale. Questo punto è di estremo interesse per la Turchia, che con lo scioglimento del PKK, avvenuto lo scorso 12 maggio 2025, ha iniziato a spostare il focus della propria attenzione sulla questione curda al di fuori dei propri confini. Gli stessi confini che negli anni della guerra civile sono stati varcati da milioni di siriani e che oggi rappresentano un altro snodo cruciale dei rapporti tra Siria e Turchia.

Rifugiati siriani: l’ora del ritorno?

Secondo quanto dichiarato dal Ministro dell’Interno turco Ali Yerlikaya, dall’8 dicembre 2024 al 30 agosto 2025 ben 450mila rifugiati siriani hanno fatto volontariamente ritorno nella propria terra. Nonostante questi ritorni vengano descritti come volontari, in passato vi sono stati casi che ne testimoniavano l’elemento coercitivo.

La questione dei rifugiati siriani resta di particolare importanza per la Turchia. Secondo i dati ufficiali del governo, sul territorio turco risiedono 2 milioni e 375 mila rifugiati siriani. Pur registrando un evidente calo rispetto agli anni precedenti, il numero rimane elevato e continua a rappresentare un elemento decisivo nella politica turca, tanto interna quanto estera.

Negli ultimi quattordici anni i rifugiati siriani sono stati spesso al centro del dibattito politico turco, soprattutto durante le campagne elettorali. Emarginati, sfruttati e spesso vittime di razzismo (diversi hanno dichiarato di evitare di parlare in arabo con i famigliari al telefono nei luoghi pubblici), la loro condizione negli ultimi anni si è ulteriormente aggravata, anche a causa del terremoto che ha colpito il Paese a inizio 2023.

Con la fine del conflitto in Siria, la loro situazione potrebbe nuovamente cambiare. Considerando il disperato bisogno di aiuti di cui Damasco necessita, non è da escludere che il governo turco possa utilizzare la questione dei rifugiati come leva negoziale per la concessione di benefici economici. La Turchia potrebbe proporre la concessione di investimenti e un contributo concreto nei progetti di ricostruzione in cambio dell’impegno siriano a riaccogliere i connazionali attualmente presenti sul territorio turco. Questo è un punto fondamentale per Erdoğan, che mira a risolvere la questione relativa ai rifugiati siriani entro il 2028, anno delle prossime elezioni presidenziali.

Pare possibile poi un tentativo da parte di Ankara di coinvolgimento dell’Unione Europea anche nella fase attuale. A partire dal 2011, Bruxelles ha supportato la Turchia nella gestione dei rifugiati erogando all’incirca dieci miliardi di euro. Sebbene formalmente questi fondi siano serviti per l’ausilio umanitario dei rifugiati siriani presenti in Turchia, è ampiamente riconosciuto che l’UE abbia utilizzato la cooperazione con Ankara per contenere le partenze irregolari verso il territorio europeo.

Ankara, nel contesto attuale, potrebbe sfruttare gli oltre due milioni di rifugiati ancora presenti sul proprio territorio per negoziare nuovamente con l’UE. Non sembra irrealistica, in questo senso, l’ipotesi che il governo turco chieda a Bruxelles di partecipare ai futuri programmi di ricostruzione in Siria in cambio di un definitivo programma di rimpatrio dei rifugiati siriani.

L’8 dicembre 2024 ha rappresentato un giorno di vittoria per la politica estera turca. Per capire se questa data possa segnare l’inizio definitivo di una sua maggiore influenza in tutta la regione, Ankara è chiamata alla risoluzione di diversi dossier delicati: ne va del suo destino geopolitico e di quello di milioni di persone.

Immagine: GZERO

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Chi è Marco Pedone

Classe 1999, una Laurea Magistrale in "Lingue e Civiltà Orientali" e un Master di II livello in "Geopolitica e Sicurezza Globale" presso l'Università La Sapienza di Roma. Appassionato di Vicino Oriente, area MENA e sport.

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