La Russia non è il male. Dobbiamo difenderci dalle opposte propagande

In una tragedia russa, tutti muoiono
In una commedia russa, tutti muoiono lo stesso. Ma muoiono felici.

La tensione tra il cosiddetto “occidente” e la Russia non è mai stata così alta dai tempi della Guerra Fredda, tuttavia quella in corso non è una nuova guerra fredda anche se condivide con la prima alcuni elementi. Il principale è il rifiuto, da entrambe le parti, di riconoscere le ragioni dell’altro. Il rumore di fondo delle opposte propagande – entrambe ben affilate – serve solo a polarizzare l’opinione pubblica europea che di questo muro contro muro è diventata l’oggetto, forse il pupazzo. E i pupari europei alimentano visioni del mondo settarie attraverso la ripetizione, a megafono, di parole d’ordine.

La più potente di queste parole d’ordine è, da parte del Cremlino, la “russofobia” con la quale si stigmatizza ogni critica verso il regime di Mosca. Non sei d’accordo con le politiche russe? E’ perché sei russofobo. Il ministro degli Esteri, Sergei Lavrov, ha persino dichiarato che “nelle capitali europee la russofobia è diventata di moda”, forse perché non si intende condonare al suo paese l’aggressione all’Ucraina e l’annessione (illegale) della Crimea. Anche le recenti indiscrezioni in merito a conti off-shore riconducibili a Vladimir Putin, emersi con lo scandalo dei Panama Papers, sono state tacciate di “russofobia” senza peraltro fornire alcuna spiegazione in merito.

Il concetto di “russofobia” è un’arma di offesa mascherata da difesa. Serve a delegittimare ogni posizione critica etichettandola come pregiudizialmente ostile. Secondo questa retorica, il mondo ce l’ha con la Russia, innocente, sola onesta potenza, in un covo di ipocriti. Ha anche una funzione interna, poiché stigmatizza il dissenso che si sviluppa dentro il paese, emarginando e perseguitando le voci indipendenti in nome della difesa della sacra patria che, assediata su ogni lato, non può permettersi nemici interni, dimenticando che un critico non è mai un nemico. Tuttavia tale atteggiamento serve a confermare e sviluppare il potere autoritario che grava sul paese.

D’altro canto l’isterico atteggiamento europeo – e americano – nell’indicare ossessivamente nel potere russo un pericolo mondiale, è non meno pernicioso. L’isteria è giunta al punto da diffondere vere e proprie falsità, come quella – la più ridicola di tutte, senza una prova, senza un solo elemento a suffragio – che la recente “crisi” dei migranti sia un regalo di Putin all’Europa, una macchinazione ordita con l’intento di destabilizzare il continente.

Tali fantasie dimenticano alcuni dati di fatto, ovvero che la guerra in Siria è la causa diretta delle migrazioni e che suddetta guerra non è il risultato – nemmeno per via indiretta – delle politiche del Cremlino che è entrato nel conflitto solo di recente. La Russia sarà responsabile tuttavia dell’andamento della guerra, cui non partecipa certo per intenti umanitari. Si dimentica tuttvaia che nel 2011 l’allora presidente Medvedev chiese, congiuntamente alla Merkel (e quindi, di fatto, all’Europa) che al-Assad cominciasse un dialogo costruttivo con i ribelli e cercasse una via politica alla crisi. Durante l’assedio di Hama il Cremlino stigmatizzò la reazione governativa che portò all’uccisione di otto poliziotti da parte delle forze di Assad. Non solo, in quel 2011 la Russia non era contraria a una risoluzione ONU contro il regime assadiano.

Il cambio di atteggiamento si deve alla rielezione di Vladimir Putin a presidente, nel 2012, e alla conseguente modificazione degli obiettivi di politica estera che, da quel momento, divenne uno strumento di politica interna allo scopo di rafforzare la posizione di un Putin sempre più criticato dentro e fuori il palazzo (per approfondimenti in merito si legga qui). L’annessione della Crimea è certo un evento di inedita gravità nelle relazioni internazionali dalla Seconda guerra mondiale in poi, ma esso non si deve a una intrinseca immoralità della Russia. Additare la Russia come potenza “malvagia” è stupido quanto inutile, perché non esiste il “male” – in senso metafisico o morale – nelle relazioni internazionali. Esiste l’utile. Esistono le logiche di potenza. Logiche dettate dal realismo politico che vanno, terribilmente, al di là del bene e del male.

Eppure alla “malvagia” Russia si attribuisce la responsabilità di favorire l’ascesa di partiti di ultra-destra in Europa. Se è vero che esiste una relazione tra estrema destra europea e il Cremlino, questa è il risultato dell’interesse dei suddetti partiti nel cercare un partner, piuttosto che di una pianificata attività di infiltrazione russa nella politica europea.

L’ultradestra e il Cremlino hanno obiettivi solo in apparenza simili: i primi vogliono annientare l’Unione Europea, il secondo vuole influenzarla. Distruggere un fondamentale partner economico, trascinandolo nel caos, non serve alla Russia. Quel che serve è orientarne le decisioni in modo che siano favorevoli a Mosca. Per raggiungere questo obiettivo il Cremlino ha messo a punto un’efficace macchina propagandistica che agisce indisturbata condizionando un dibattito pubblico, requisito essenziale alla democrazia. Un dibattito che dovrebbe essere liberato dalle retoriche per potersi sviluppare in modo informato e ragionevole. Sia dalle retoriche diffuse dai megafoni del Cremlino (si legga qui in merito), sia dalle dabbenaggini moralistiche e falsamente umanitarie euro-americane.

Attendersi dall’attuale potere russo una distensione è vano. L’Europa deve per prima deporre le armi della retorica, combattere la propaganda russa quanto quella “occidentale”, abbandonare le posizioni moralistiche e isteriche. Solo così la democrazia europea potrà guardare alle crisi in corso, da quella ucraina a quella siriana, fino a quella dei migranti, in modo lucido e costruttivo.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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