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BOSNIA: Un museo per i nazionalisti croati, polemiche a Mostar

Si accendono le polemiche in Bosnia-Erzegovina sulla realizzazione di un museo proprio nel luogo che durante la guerra ospitava un centro di detenzione gestito dal Consiglio di Difesa Croato…

di Alessandro Cinciripini

Nei giorni scorsi in Bosnia-Erzegovina sono sorte delle accese polemiche sulla realizzazione di un museo dedicato al Primo Reggimento di Fanteria delle Forze Armate della Bosnia Erzegovina a Mostar. Il luogo scelto per il museo è un complesso militare noto come Heliodrome. Durante la guerra, la struttura divenne un centro di detenzione del Consiglio di Difesa Croato (Hrvatsko vijeće obrane, HVO). Al suo interno vennero internati centinaia di cittadini musulmani e serbi. Alla decisione sono seguite le condanne da parte dei sopravvissuti e delle loro famiglie, che hanno accusato il governo di revisionismo storico.

I fatti

Assieme a quello nella caserma “Stanislav Baja Kraljević” di Mostar, saranno realizzati altri due musei a Tuzla e a Banja Luka. Il primo sarà dedicato al Secondo Reggimento di Fanteria, mentre il secondo nella Republika Srpska (RS) sarà dedicato al Terzo Reggimento di Fanteria. Le tre unità vennero istituite nel 2005 quando le unità della RS e dell’HVO confluirono nelle Forze Armate della Bosnia-Erzegovina. Il Primo Reggimento, quello a cui il museo di Mostar sarà dedicato, è di fatto l’erede del Consiglio di Difesa Croato, e non a caso i fondi per il progetto provengono soprattutto dall’Associazione dei Detentori di Medaglie del’HVO.

A renderlo noto è stato lo stesso presidente di quest’ultima, Lazar Martinović. Tuttavia, alcuni giorni fa è emerso il coinvolgimento diretto della Repubblica di Croazia nel finanziamento del museo. Il ministro dei Veterani Tomo Medved ha confermato alla stampa che anche il governo croato parteciperà al finanziamento della struttura. Tale rivelazione ha acuito le critiche sulla trasparenza del progetto e le accuse di revisionismo storico.

Durante la guerra

Nato nel 1992 il Consiglio di Difesa Croato (HVO) rappresentò la forza militare dell’autoproclamata Repubblica Croata dell’Herzeg-Bosnia. Una volta finita la guerra, alcuni dei suoi esponenti più in vista (Jadranko Prlić, Bruno Stojić, Slobodan Praljak, Milivoj Petković, Valentin Ćorić e Berislav Pušić) furono condannati dalla corte del Tribunale Penale Internazionale per l’ex-Jugoslavia (ICTY).

In un periodo che va dal 1992 al 1994, le forze dell’HVO si sono rese colpevoli di crimini di guerra ai danni della popolazione bosgnacca e serbo-bosniaca nelle aree sotto il proprio controllo. Una delle azioni più note è stata il bombardamento dello Stari Most. Simbolo della città di Mostar, il ponte venne distrutto dalle milizie croate tra l’8 e il 9 novembre 1993.

L’HVO è responsabile dell’internamento di cittadini bosgnacchi e serbi in circa 15 strutture intorno all’area di Mostar. L’Heliodrome venne istituito nel settembre 1992 e divenne il più grande centro di detenzione dell’area. Assieme all’ex-caserma dell’Esercito jugoslavo, le strutture più note furono l’Ospedale Koštana di Stolac, il campo di Dretelj e quello di Gabela. Secondo le testimonianze raccolte nel corso degli anni, quasi 20.000 persone furono internate in queste strutture.

Come ricostruito dal Tribunale dell’Aja e dai sopravvissuti, le condizioni nella maggior parte dei campi erano disumane. I prigionieri vennero utilizzati come manodopera forzata e come scudi umani lungo le linee del fronte. Il tutto faceva parte di un piano di pulizia etnica e deportazione forzata volta a creare la “Grande Croazia”. Tale ideologia criminale fu ampiamente condivisa dalla leadership croata-bosniaca della Repubblica Croata dell’Herzeg-Bosnia, come venne poi accertato dall’ICTY.

Le reazioni

La conferma del progetto da parte del ministero della Difesa ha attirato critiche molto aspre. Soltanto poche settimane fa si è svolta una celebrazione a Mostar nei pressi dell’Heliodrome. I membri dell’associazione dei sopravvissuti alla prigionia avevano deposto dei fiori nei pressi dell’ingresso della caserma, commemorando i 29 anni dalla sua chiusura.

Emir Hajdarević, presidente dell’Associazione degli internati di Mostar, ha trascorso 301 giorni in diversi campi di prigionia dell’HVO. Riguardo alla decisione del ministero, Hajdarević ha espresso pubblicamente la sua frustrazione. Per chi ha sofferto all’interno di quelle mura, la realizzazione di un museo celebrando i carnefici è un esplicito tentativo di occultare una storia di sofferenza. L’obiettivo è cancellare il passato attribuendo ad un luogo una nuova funzione e un nuovo significato.

In merito alla vicenda si è espresso anche l’attuale ministro della Difesa bosniaco Zukan Helez. In una dichiarazione pubblica diffusa attraverso i social, il ministro attribuisce la responsabilità dei fatti al governo precedente. Proseguendo, il ministro afferma di condividere egli stesso il dolore degli internati. Secondo Helez, i fautori di tale decisione sarebbero stati i suoi due predecessori Sifet Podzić e Marina Pendes. A motivare la decisione sarebbe stata l’alleanza politica che in quel momento legava l’Unione Democratica Croata (HDZ) e il Partito di Azione Democratica (SDA). Concludendo la sua dichiarazione, Helez ha specificato come ora non vi sia alcun modo per opporsi al progetto.

Retorica nazionalista e spazio pubblico

Già in passato Mostar è stata al centro di controversie simili. Ne sono un esempio gli episodi di vandalismo contro il cimitero partigiano. In più, soltanto nel luglio scorso alcune vie sono state rinominate, cancellando i nomi di gerarchi appartenenti al regime ustascia. La vicenda della caserma “Stanislav Baja Kraljević” mostra come la normalizzazione dell’ideologia nazionalista goda di un ampio sostegno tra le istituzioni.

Dopo 27 anni dalla fine della guerra, in Bosnia-Erzegovina esistono tre “storie” diverse che non lasciano spazio alla verità storica e alla sofferenza delle vittime. Ad alimentare questa segregazione culturale sono le istituzioni stesse, ostaggio di una leadership intenta a mantenere il proprio privilegio attraverso la retorica nazionalista.

Foto: Balkan Insight

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