Foto di Dragan Markovina

BOSNIA: Barbarie fascista, devastato il cimitero partigiano di Mostar

Distruggere un luogo di pace e silenzio, torturare il riposo di chi è morto per la libertà, agire col favore delle tenebre. C’è una parola per riassumere tutto questo: fascismo.

La mattina del 15 giugno, Mostar, principale città dell’Erzegovina, si è risvegliata con la notizia delle macerie, unico autentico prodotto che può derivare dal modus operandi fascista. Macerie morali e fisiche. Il cimitero partigiano cittadino, monumento dell’architetto belgradese Bogdan Bogdanovic che accoglie le spoglie degli antifascisti jugoslavi morti durante la Seconda guerra mondiale, è stato devastato come mai fino ad ora: tutte le oltre 600 steli dell’opera monumentale sono state fatte a pezzi nella notte tra il 14 e il 15 giugno.

“Qui giacciono le persone che hanno combattuto per la libertà, e quelli che l’hanno distrutto, se qualcuno di loro è croato, è la vergogna del mio popolo”, dice l’indomani dell’accaduto Ranko Britvic, che da Spalato si è unito alla manifestazione antifascista presso il cimitero.

Non ci sono ancora indagati, ma la matrice è quella di un attacco fascista, premeditato e ben organizzato. Sbriciolare 600 lapidi richiede forza fisica, tempo e un lavoro di squadra. Non si possono ancora fare speculazioni, ma è verosimile che il riferimento ideologico di chi ha devastato il cimitero sia lo stato fantoccio che dal 1941 al 1945 occupò la Croazia e la Bosnia-Erzegovina, collaborò col nazifascismo e si macchiò di crimini contro l’umanità. Una storia, quella degli ustascia, in parte riabilitata con le guerre degli anni Novanta e che nella Mostar divisa tra croati e bosgnacchi rappresenta un elemento ideologico identificativo.

Gli atti vandalici contro il “Partiza” – come i mostarini chiamano il cimitero partigiano – non sono una novità. Eppure, nemmeno durante l’ultima guerra subì simili danneggiamenti. Quanto accaduto è il frutto di un contesto in cui la politica negli anni ha lavorato alla riabilitazione di episodi e personaggi storici del periodo fascista. “Generazioni di giovani croati sono state cresciute in un ambiente dove i collaboratori nazisti venivano onorati”, denuncia l’attivista Samir Beharic, che aggiunge: “In alcune parti di Mostar, le strade sono dedicate ai responsabili dei massacri contro gli ebrei bosniaci”.

C’è quindi una responsabilità della politica locale, almeno indiretta, che in questi 30 anni ha delegittimato l’antifascismo, antitetico alla necessità politica di dividere persone e territori lungo linee etniche. Inoltre, quello in corso sarebbe un anacronistico regolamento di conti politico e ideologico. È quello che sostiene Marko Barisic, attivista di Mostar, per cui la politica locale non può competere con quella del passato socialista. “Per molti vecchi mostarini, a prescindere dalla loro appartenenza religiosa o nazionale, il Partiza era un simbolo di ciò che di buono aveva da offrire il socialismo. Era un luogo di incontro, di socialità, di affetti. Un luogo permeato di valori umani e di convivenza come base per costruire un mondo migliore. In quanto tale, per le nuove elite, il cimitero partigiano è uno strumento che, se lasciato indisturbato in mezzo a noi, sarebbe pericoloso poiché con la sua possente presenza ispirerebbe le nuove generazioni”, dice ad East Journal Barisic.

Ed è per questo che per anni il Partiza è stato abbandonato a sé stesso: perché è il segno tangibile, ed artistico, di una vita migliore, cosa che l’attuale classe politica non può assicurare. Per Barisic, inoltre, “le istituzioni sono manipolate dalla politica”, ed è per questo che, come dimostra lo stato di abbandono in cui versava da anni il cimitero partigiano, non si agisce secondo logica e seguendo il bene collettivo ma “si ascolta solo quello che viene ordinato dall’alto”.

L’episodio rischia di avere pesanti conseguenze politiche, sia a livello nazionale nella campagna che precederà le elezioni generali di ottobre, sia nella tenuta della città, de facto divisa tra i due principali partiti nazionalisti: ad est i bosgnacchi dell’SDA, a ovest i croati dell’HDZ. Ed è qui, nella zona a maggioranza croato-bosniaca, che sorge il Partiza, a rischio di divenire vittima di contrapposte retoriche, perdendo la sua trasversale carica simbolica ed artistica.

Quando venne costruito, nel 1965, voleva commemorare la liberazione della città e la fine di una guerra anche più violenta di quella degli anni Novanta. Eppure, l’intento dell’architetto Bogdanovic non era celebrare le battaglie in sé, quanto piuttosto offrire uno spazio di riconciliazione e condivisione, principi tutt’altro che scontati nella Mostar odierna. Come disse Bogdanovic in un’intervista del 2007 per OBC, “i miei monumenti non chiedono la vendetta, tutti hanno un’essenza catartica. Io mi ero portato dentro la sensazione che nella Jugoslavia di allora, dopo così tante guerre, la cosa più importante fosse la catarsi, la pacificazione […] Che tutti noi ci calmassimo, conciliassimo.”

Foto di Dragan Markovina

Chi è Giorgio Fruscione

Giorgio Fruscione è Research Fellow e publications editor presso ISPI. Ha collaborato con EastWest, Balkan Insight, Il Venerdì di Repubblica, Domani, il Tascabile occupandosi di Balcani, dove ha vissuto per anni lavorando come giornalista freelance. È tra gli autori di “Capire i Balcani occidentali” (Bottega Errante Editore, 2021) e ha firmato due studi, “Pandemic in the Balkans” e “The Balkans. Old, new instabilities”, pubblicati per ISPI. È presidente dell’Associazione Most-East Journal.

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