Risiera San Sabba

STORIA: La terza vita dimenticata della Risiera di San Sabba

Risiera di San Sabba, non solo campo di concentramento: la storia dei profughi est-europei nell’ex stabilimento per la lavorazione del riso a Trieste.

La Risiera di San Sabba, nel rione omonimo alla periferia di Trieste, è oggi un edificio classificato come Monumento Nazionale, aperto al pubblico e dotato di un piccolo ma denso museo dedicato alla storia che passò per quelle mura nel corso del Novecento. Il museo, come anche la memoria collettiva della città, sono per lo più incentrati sulla tragica fase che, durante il secondo conflitto mondiale e l’occupazione nazista della Venezia Giulia – annessa al Reich come Adriatische Küstenland (nota in italiano come Zona di Operazioni Litorale Adriatico) – tra il 1943 e il 1945 vide quello che era stato un impianto per la pilatura del riso diventare un campo di concentramento e di transito per prigionieri politici ed ebrei, che da tutta Italia venivano fatti conferire a Trieste per essere inviati nei campi di lavoro, prigionia e sterminio in Germania e Polonia. Il forno crematorio, unico in Italia, servì all’eliminazione di circa 3500 cadaveri.

La Risiera, un campo profughi

Meno noto è, invece, quello che accadde dopo: dalla Liberazione, infatti, già a partire dal periodo in cui Trieste fu amministrata dalle autorità angloamericane, la Risiera era diventata un campo profughi per la gestione di una parte di quei 40 milioni di persone che, in tutta Europa, durante la guerra erano state sradicate più o meno forzatamente dalle proprie terre per motivi legati al conflitto, alle discriminazioni e alle pressioni politiche di quegli anni. Nelle strutture – spesso ricavate, come nel caso della Risiera, da preesistenti campi di concentramento e prigionia – i profughi venivano smistati tra westbound (diretti a ovest) ed eastbound (diretti ad est); questi ultimi erano la maggioranza, tra ex deportati e prigionieri politici che i tedeschi si erano portati dietro nella loro ritirata dopo il fallimento dell’Operazione Barbarossa, ma anche chi era fuggito dall’avanzata dell’Armata Rossa in Europa, collaborazionisti compresi, e jugoslavi in fuga dal nuovo regime. Queste persone, denominate displaced persons, furono gestite dagli Alleati inizialmente con l’obbiettivo di favorirne il rimpatrio. Stabilire il criterio della nazionalità dei displaced era quindi essenziale per determinare il destino dei profughi, ma per le autorità alleate preposte alla gestione del campo era difficile orientarsi nel mosaico etno-linguistico del territorio sovietico.

Nuovo Mondo, nuova vita

Sempre più spesso, però, – specialmente nel momento in cui la rottura tra Alleati anglo-americani e Unione Sovietica si era fatta ormai insanabile – invece del rimpatrio si optò per l’emigrazione, soprattutto verso gli Stati Uniti, anche per motivi umanitari (anche se non scevri da intenti propagandistici). Restava infatti – e anzi aumentava costantemente – il numero delle persone che rifiutavano di rientrare nei paesi d’origine; molti di loro, in realtà, non riconoscevano come patria l’URSS, che aveva annesso ufficialmente i loro territori di nascita, come nel caso di Lettonia, Estonia e Lituania; sempre più persone fuggivano dai nuovi regimi filosovietici che si andavano instaurando nell’Europa centro-orientale: anche a San Sabba, quindi, erano sempre di più i rifugiati politici e meno di displaced veri e propri. Quando, nel 1954, Trieste passò ufficialmente all’Italia, la situazione non era risolta: mentre alcuni displaced restarono presso la Risiera poche settimane o mesi, altri, infatti, dovettero vivere in una condizione di incertezza e attesa nell’ex campo di prigionia anche per anni, in circostanze incerte sul piano umanitario. Le testimonianze – come quella del fotografo ceco Jan Lukas, che con la famiglia lasciò Praga alla volta degli Stati Uniti passando per l’Italia, viaggio che immortalò attraverso le sue fotografie – ci dicono che la Risiera smise di operare come campo profughi per le displaced persons provenienti dall’Europa orientale nel 1966, per poi accogliere unicamente i profughi giuliano-dalmati, in attesa del ricollocamento sul territorio italiano.

Nell’autunno 2021 la mostra fotografica Beyond the border ha ridato vita a questa fase semidimenticata della storia della Risiera di San Sabba.

Chi è Silvia Granziero

Nata tra le nebbie della Pianura Padana, ma con il cuore a est. Laureata in Giornalismo e cultura editoriale, vive a Trieste, dove lavora come autrice freelance e non smette mai di studiare. Volontaria al Trieste Film Festival, è in East Journal da gennaio 2022.

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