di Enrico Brutti e Manuela Capece
Il 12 maggio 1926 – 99 anni fa – avveniva la marcia su Varsavia del generale Josef Pilsudski, un atto che cambiò il volto della Polonia tra le due guerre mondiali
La Polonia interbellica, dalla ricostituzione fino al golpe
La storia della seconda Repubblica di Polonia (Rzeczpospolita Polska), ricostituita alla fine della Grande Guerra dopo oltre un secolo di doloroso oblio, si intreccia con la biografia di Josef Pilsudski in un rapporto strettissimo, quasi simbiotico, a tratti degenerato ad un livello di interdipendenza. Fin dal giorno della sua nascita infatti, l’11 novembre 1918, la nuova Polonia ha dovuto combattere fattori di disgregazione interni ed esterni. Il generale, al contrario, ha sempre rappresentato un punto di riferimento saldo a cui aggrapparsi, specialmente nei momenti di difficoltà.
Pilsudski fu leader politico e militare dei suoi connazionali già sui campi di battaglia dell’ex Impero Zarista (con Austria e Germania sostenitrici interessate), primo capo di Stato e dell’esercito dopo l’indipendenza, quindi attore protagonista del cosiddetto “miracolo della Vistola”, la battaglia grazie alla quale i Polacchi respinsero l’Armata Rossa da Varsavia nell’agosto del 1920. Fu la premessa di un’ampia espansione a oriente a scapito di territori a maggioranza ucraina e bielorussa che rese ulteriormente delicato il quadro etnico del paese, già abitato da numerose comunità ebraiche e tedesche.
Come la demografia, cosi la politica dei primi anni ’20 camminò sempre sul filo dell’instabilità. Pilsudski decise di ritirarsi a vita privata, ma la costituzione promulgata nel marzo 1921 si rivelò presto una garanzia insufficiente. I comunisti, etichettati come quinta colonna dei sovietici, furono costretti da subito ad agire nella clandestinità, mentre le frange nazionaliste più estreme uccisero nel dicembre 1922 il primo presidente della repubblica Gabriel Narutowicz, sostenuto da forze di centro-sinistra e insediatosi solo da pochi giorni.
All’interno di un contesto di sfiducia generalizzata nei confronti dei partiti e dello Stato liberale, la goccia che fece traboccare il vaso fu quella dell’economia. Nel 1926 Il governo del debole Primo Ministro Wincenty Witos fu colpito prima da una disastrosa stagione agricola, e affondato poi dai dazi imposti dalla Germania di Weimar. Come scrivono Lukowski e Zawadzki (Polonia: il paese che rinasce, Beit 2009), “Pilsudski si assunse a questo punto il compito di salvare il paese da quella che riteneva una spregevole genìa di politici corrotti e litigiosi. Partendo dalla sua residenza di campagna a Sulejowek, fuori Varsavia, egli marciò sulla capitale il 12 maggio alla testa di unità ribelli dell’esercito”. Dopo tre giorni di scontri anche il presidente Stanislaw Wojciechowski si vide costretto a cedere e rassegnò le dimissioni.
Il “risanamento” autoritario
Pilsudski assunse formalmente soltanto la carica di ministro della Guerra, ma la prova di forza compiuta nella capitale aveva di fatto già piegato le istituzioni alla sua volontà personale. Primo obiettivo delle riforme del generale fu quello di esautorare il parlamento: in agosto, tre mesi dopo la presa del potere, la costituzione venne modificata in senso presidenzialista, attribuendo al capo di Stato ampio margine di governo per decreto e facoltà di scioglimento delle camere.
Il programma politico di Pilsudski venne condensato nel mantra Sanacja (Risanamento), termine che rifletteva la volontà di riorganizzare con metodi autoritari la catena di comando polacca al fine di restituirle efficienza e credibilità. Il leader osteggiava il sistema dei partiti e inizialmente preferì trasmettere le sue direttive attraverso una cerchia personale tanto fidata quanto eterogenea, composta da deputati, tecnici, funzionari e militari. Presidente della Repubblica venne nominato il chimico Ignacy Moscicky, amico e prestanome del generale, il quale rimase in carica fino all’invasione nazista del 1939.
Solo nel 1928, per ripristinare almeno parzialmente il sistema previsto dalla costituzione, Pilsudski si convinse a creare un partito e a riabilitare il parlamento: nacque così il BBWR (Blocco per la cooperazione con il governo), il cui unico denominatore comune era la fedeltà al capo. Ma il consenso era ampio anche alla base e le elezioni dell’autunno 1930 lo dimostrarono, premiando il gruppo con la maggioranza assoluta dei voti. Il risultato legittimò ulteriormente il generale e i suoi metodi. Egli si attribuì direttamente la carica di Primo Ministro e incarcerò un numero sempre maggiore di dissidenti, molti dei quali furono inviati alla fortezza di Brest-Litovsk, oggi in Bielorussia.
In politica estera infine Pilsudski si dimostrò negli anni più pragmatico rispetto al militarismo delle origini. Impostò relazioni pacifiche con i potenti vicini per garantire sovranità e sicurezza alla Polonia. Nel 1932 stipulò un patto di non aggressione con l’URSS di Stalin, e nel 1934 fece la stessa operazione con la Germania hitleriana, un anno prima di morire a causa di una grave malattia.
Nella memoria collettiva
A Roma, nei pressi di Villa Glori e dell’ex Villaggio Olimpico, si trova un busto di Josef Pilsudski (nell’immagine). Realizzato dallo scultore Henryk Kuna nel 1937, esso è accompagnato dalla dedica in lingua italiana “Colui che ha restituito alla Polonia il suo posto nel mondo“. Quasi un secolo dopo la sua reputazione in patria non è mutata, e il giorno dell’indipendenza è ancora una festa nazionale molto sentita. Eccessi e polemiche a margine del suo ricordo non mancano, ma risultano minoritarie. Ad oggi le zone d’ombra della sua epopea sembrano destinate a rimanere in secondo piano.
Foto dal profilo FB dell’Ambasciata polacca di Roma