Sanzioni Dodik

BOSNIA: Le sanzioni a Dodik e i rischi della sindrome d’accerchiamento

Dopo gli Stati Uniti anche il Regno Unito infligge sanzioni a Dodik. Il tentativo della comunità internazionale è quello di intercettare ogni possibile fronte di future tensioni nell’area. Il rischio è quello di creare una sindrome d’accerchiamento con derive imprevedibili.

Il cerchio si stringe attorno al rappresentante serbo della presidenza tripartita di Bosnia Erzegovina, Milorad Dodik, e contestualmente si acuisce il suo isolamento internazionale, sempre più profondo. Dopo quelle statunitensi del gennaio scorso, anche il Regno Unito ha azionato la scure delle sanzioni economiche contro di lui e contro Zeljka Cvijanovic, presidente della Republika Srpska – l’entità a maggioranza serba della Bosnia Erzegovina. Per entrambi è scattato il congelamento dei beni e il divieto di recarsi nel paese.

Le sanzioni inglesi contro Dodik

A darne comunicato è una nota ufficiale del Foreign Office britannico che motiva la decisione accusando i due politici bosniaci di incoraggiare l’odio etnico e di mettere a rischio gli accordi di Dayton – quelli che nel 1995 misero fine al conflitto bosniaco – nonché di “minare la legittimità e la funzionalità dello Stato della Bosnia Erzegovina”.

A rincarare la dose, con toni insolitamente duri, è la ministra degli esteri inglese, Liz Truss, secondo la quale su di loro agirebbe la longa manus di Vladimir Putin che avrebbe incoraggiato Dodik e Cvijanovic a tenere un “comportamento sconsiderato, minaccia per la stabilità e la sicurezza dei Balcani occidentali”. Le azioni portate avanti da Dodik negli ultimi mesi sono infatti, al di là di ogni ragionevole dubbio, dirette a minare le basi stesse dell’assetto politico istituzionale del paese e orientate, dunque, al completamento di quel piano secessionista in corso da anni.

Non è un caso che le autorità britanniche abbiano additato i due esponenti politici di avere impiegato le proprie posizioni “per spingere per la secessione de facto della Republika Srpska, in diretta violazione della costituzione del paese”. A stretto giro è arrivato il compiacimento di Christian Schmidt, Alto Rappresentante per la Bosnia Erzegovina (OHR), nonché successore di quel Valentin Inzko la cui norma sul divieto di negare il genocidio di Srebrenica aveva scatenato, nell’estate scorsa, l’escalation separatista di Dodik.

Un’arma a doppio taglio

Poco importa, a questo punto, dell’efficacia concreta dei provvedimenti e poco importa, in questo senso, che Dodik si sia prontamente affrettato a dichiarare di non aver alcun interesse economico nel Regno Unito. Il punto centrale, infatti, è un altro: se nei rapporti diplomatici i segnali – anche quelli simbolici – hanno un’importanza rilevante, il segnale che Londra ha voluto mandare al presidente serbo-bosniaco è di quelli inequivocabili e destinati a lasciare traccia.

Ed è tanto più importante in un momento storico in cui la comunità internazionale sta cercando di approfondire il solco con il “piccolo mondo antico” rappresentato dai Putin di turno e dai suoi sodali, dai nazionalismi di ieri, di oggi e di domani, da sempre forieri di conflittualità e di scontri drammatici.

Il rischio concreto, però, è quello di creare una sorta di sindrome d’accerchiamento dalle derive imprevedibili, utilissima da impiegare nella retorica destinata all’opinione pubblica interna ai propri paesi.

Un esempio lampante di questa strategia è rappresentato dalla reazione pubblica con cui Dodik ha accolto l’iniziativa dei britannici, definiti come “vecchi manipolatori e nemici del popolo serbo”. Il tentativo di ricompattare il popolo di riferimento attorno alla propria persona è fin troppo evidente, e in ciò Dodik attinge a piene mani alla peggior tradizione populista e nazionalista, tragicamente protagonista anche in epoche recenti e non solo nei Balcani.

La retorica del “noi e loro”, del “nemico alle porte” rischia di far breccia tra la gente più di quanto non abbia già fatto, facendosi pensiero unico dominante, a maggior ragione in paesi dove il controllo dei media è asfissiante e soverchiante – si pensi alla Serbia del presidente Aleksandar Vucic.

Pioggia di sanzioni americane in tutti i Balcani

Il fatto che il clima stia cambiando nell’area, tuttavia, e che lo strumento sanzionatorio venga impiegato sempre più frequentemente come leva per esercitare pressione verso coloro che sono ritenuti responsabili di creare tensioni internazionali financo a minare la pace, è corroborato dalla raffica di provvedimenti emanati – nelle stesse ore di quelli inglesi – dal Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti a carico di diversi personaggi in vari paesi balcanici: Albania, Bosnia, Montenegro e Macedonia del Nord.

In tutto sette persone che “costituiscono una seria minaccia alla stabilità regionale”. Tra di loro ci sono parlamentari, magistrati e magnati della comunicazione, dediti – secondo il governo americano – ad attività di corruttela in grado di influenzare pesantemente le dinamiche politiche in atto. Spicca il nome dell’ex primo ministro macedone, Nikola Gruevski, accolto dal premier ungherese Viktor Orban come rifugiato politico in Ungheria, dopo essere stato condannato in patria a due anni di carcere per abuso di potere.

In tutto ciò la grande assente è l’Unione europea che, tra tentennamenti e strutturale incapacità di agire, le sanzioni le ha per il momento solo minacciate, complice il veto ungherese in Consiglio UE. Tentennamenti e incapacità di perseguire una vera strategia di integrazione dei Balcani occidentali che hanno generato quel vuoto politico sfruttato, oggi, da Russia e Cina.

(Foto: Pietro Aleotti / East Journal)

Chi è Pietro Aleotti

Milanese per caso, errabondo per natura, è attualmente basato in Kazakhstan. Svariati articoli su temi ambientali, pubblicati in tutto il mondo. Collabora con East Journal da Ottobre 2018 per la redazione Balcani ma di Balcani ha scritto anche per Limes, l’Espresso e Left. E’ anche autore per il teatro: il suo monologo “Bosnia e il rinoceronte di pezza” ha vinto il premio l’Edizione 2018 ed è arrivato secondo alla XVI edizione del Premio Letterario Internazionale Lago Gerundo. Nel 2019 il suo racconto "La colazione di Alima" è stato finalista e menzione speciale al "Premio Internazionale Quasimodo". Nel 2021 il racconto "Resta, Alima - il racconto di un anno" è stato menzione di merito al Premio Internazionale Michelangelo Buonarroti.

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