BOSNIA: Revocato il mandato d’arresto per il leader serbo-bosniaco Dodik

È del 4 luglio scorso la decisione del Tribunale statale della Bosnia Erzegovina di revocare il mandato di arresto e di sospendere le misure cautelari preventive emesse nel marzo 2025 nei confronti di Milorad Dodik, presidente della Republika Srpska (RS), l’entità a maggioranza serba del paese.

Perché il mandato di arresto?

La prima metà del 2025 ha rappresentato uno dei periodi più turbolenti e instabili degli ultimi anni per la Bosnia Erzegovina. A partire dalla fine di febbraio, infatti, si è assistito a un serrato ping-pong politico tra le istituzioni statali e Milorad Dodik, presidente dell’entità a maggioranza serba, mosso da sempre più determinate mire secessioniste.

L’evento che ha dato il via a questo braccio di ferro è stato la condanna a un anno di reclusione e sei anni di interdizione dalla carica di presidente della RS emessa nei confronti di Dodik da parte del Tribunale centrale della Bosnia Erzegovina a causa di alcune leggi promulgate dal presidente della RS nel 2023, in violazione degli ordini dell’Alto Rappresentante internazionale.

La risposta di Dodik è stata dunque quella di promulgare nuove leggi volte a impedire le attività delle istituzioni centrali bosniache, tra cui Tribunale, Procura e polizia statale (SIPA), nel territorio della RS. Questa manovra ha allertato la comunità internazionale e le istituzioni centrali. La Corte costituzionale ha immediatamente sospeso le leggi – poi definitivamente abrogate a fine maggio – e la Procura convocato il presidente della RS con il sospetto di attacco all’ordine costituzionale.

A causa della mancata risposta di Dodik, il Tribunale statale si è visto costretto a emettere un mandato di arresto nazionale e una misura cautelare preventiva di un mese di reclusione nei suoi confronti. L’ulteriore sfida della RS, cioè la proposta di una nuova Costituzione per l’entità, ha portato il Tribunale della Bosnia Erzegovina a richiedere persino un mandato di arresto internazionale. L’Interpol, tuttavia, non ha accolto la richiesta, mentre la nuova Costituzione della RS è stata rimessa in un cassetto.

Il Tribunale statale annulla la decisione

Il paese si è così visto gettato in un’impasse politica da cui è subito sembrato difficile uscire e che vedeva, forse per la prima volta, il progetto secessionista di Dodik come una possibile soluzione.

Essendo sospettato di aver commesso il reato di attentato all’ordine costituzionale ai sensi dell’articolo 156, comma 1, del Codice penale della Bosnia Erzegovina, la Procura aveva richiesto reiteratamente a Dodik di andare a deporre, ma lui non si era mai presentato.

Il punto di svolta è arrivato quando, lo scorso 4 luglio, di sua spontanea volontà e accompagnato dal suo avvocato difensore, Milorad Dodik si è presentato alla Procura statale della Bosnia Erzegovina per essere interrogato.

Lo stesso giorno, su proposta della stessa Procura, il presidente della RS è stato accompagnato anche davanti al Tribunale statale. In seguito a un’udienza, il Tribunale ha deciso di accogliere la proposta della Procura e ha deciso di revocare il mandato di arresto nazionale disposto a marzo e di porre fine alla custodia cautelare preventiva in quanto non sussistono più le ragioni per cui era stato inizialmente emesso.

Al tempo stesso, sono state imposte delle nuove misure interdittive che obbligano Dodik a presentarsi ogni due settimane alle autorità statali bosniache, più precisamente alla stazione di polizia di Laktaši, suo paese natale. Il Tribunale dovrà riesaminare la situazione ogni due mesi. In caso di violazione delle misure interdittive e degli obblighi da esse imposti, il mandato di arresto e la custodia cautelare potrebbero essere disposti nuovamente.

La stessa procedura è stata seguita pochi giorni dopo, mercoledì 9 luglio, dagli altri due latitanti – il primo ministro della RS Radovan Višković e il presidente dell’assemblea dell’entità, Nenad Stevandic. Anche verso di loro sono stati revocati i mandati d’arresto. La polizia statale aveva già tentato di arrestare anche Viskovic mentre la sua auto attraversava il distretto di Brcko.

Le istituzioni centrali bosniache sono ancora credibili?

L’evoluzione della profonda crisi politica iniziata a febbraio e la sua gestione da parte delle istituzioni centrali bosniache solleva interrogativi sulla reale autorevolezza e credibilità di queste ultime. Non solo a livello internazionale, ma anche – e forse soprattutto – sul piano interno.

È vero che Sarajevo ha reagito con prontezza alle provocazioni di Dodik: l’emissione del mandato d’arresto, la sospensione e infine l’abrogazione delle leggi anticostituzionali promosse dalla RS sono stati segnali forti di resistenza istituzionale. Tuttavia, alcuni episodi fanno pensare che quella delle autorità centrali sia stata più una risposta di facciata che una effettiva volontà di contrasto.

Nonostante fosse ufficialmente ricercato, infatti, Dodik ha potuto compiere viaggi internazionali in Serbia e in Russia senza apparenti ostacoli – anche complice la politicizzazione e corruzione della Polizia di Frontiera. E quando la SIPA ne ha tentato l’arresto a Sarajevo Est – in territorio della RS – un cordone di agenti serbo-bosniaci in assetto antisommossa ne ha bloccato l’intervento senza troppe difficoltà. Un’azione che, se da un lato potrebbe essere interpretata come una scelta prudente per evitare un’ulteriore escalation, dall’altro ha mostrato la scarsa capacità di imporre l’autorità dello Stato su tutto il territorio.

La decisione del Tribunale statale di revocare il mandato di arresto sembra rafforzare questa impressione. Più che un segnale di stabilizzazione, il provvedimento rischia di rivelarsi un cedimento alle pressioni della leadership serbo-bosniaca, che ha così misurato fino a che punto sono disposte a spingersi le istituzioni centrali.

Dall’altra parte, presentandosi di persona davanti alle istituzioni giudiziarie statali – la cui autorità Dodik aveva sempre negato, facendo adottare a fine febbraio leggi per interdirne l’operato nella sua entità – Dodik ne ha riconosciuto la giurisdizione. Quattro mesi di vita da latitante forse stavano diventando pesanti.

Un atto di mutua de-escalation, con cui la situazione sembra tornare a una parvenza di normalità, ma gli equilibri restano altamente instabili. La sentenza d’appello sulla condanna a un anno di carcere e sei di interdizione per Dodik emessa a fine febbraio è imminente, e da essa potrebbero derivare nuovi scossoni per le sorti del paese. Le istituzioni bosniache si trovano davanti a un bivio: dimostrare di essere ancora in grado di garantire il rispetto dell’ordine costituzionale, oppure cedere ulteriormente terreno davanti alla sfida secessionista della RS e del suo leader.

Fonte immagine: Armin Durgut / AP via Al Jazeera Balkans

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