Da inizio 2023, la Bosnia Erzegovina affronta la sfida delle rinnovate azioni separatiste di Milorad Dodik e della leadership della Republika Srpska, l’entità amministrativa a maggioranza serbo-bosniaca, e la loro campagna contro l’Alto rappresentante internazionale e la Corte costituzionale del paese. A fine febbraio 2025, il Tribunale statale della Bosnia Erzegovina ha condannato Dodik a un anno di prigione e sei anni di interdizione dai pubblici uffici.
Nel frattempo, a fine maggio la Corte Costituzionale ha annullato le leggi separatiste adottate in Republika Srpska in rappresaglia per la sentenza di primo grado – anche se i politici serbo-bosniaci affermano di non riconoscere tali decisioni. Mandati d’arresto continuano a pendere sulla testa di Dodik e di altri alti rappresentanti serbo-bosniaci (il premier Viskovic e il presidente dell’assemblea Stevandic), che restano latitanti e protetti dalle forze di polizia dell’entità, che ad aprile hanno rischiato di arrivare alle mani con la polizia di stato.
Cinque scenari per la crisi
La sentenza d’appello contro Dodik è attesa per l’estate. Se la condanna dovesse essere confermata, il leader serbo-bosniaco sarà dichiarato decaduto dalla carica di presidente della Republika Srpska, e dovrebbe tenersi una elezione suppletiva. Ma non è chiaro quale potrà essere la reazione delle autorità di Banja Luka, anche in vista delle elezioni politiche dell’ottobre 2026.
Un rapporto del Forum for Research and Cooperation (FSI) di Sarajevo, a firma di Edin Ikanovic, Nedim Jahic e Hikmet Karcic, ha tracciato la cronologia della crisi politica degli ultimi tre anni in Bosnia Erzegovina, e tratteggiato cinque scenari per i mesi a venire: dalla reintegrazione forzata con il supporto internazionale, alla paralisi permanente delle istituzioni statali, fino alla disintegrazione finale del paese.
1. Reintegrazione istituzionale e stato di diritto
Il primo scenario è la reintegrazione istituzionale e il ritorno allo stato di diritto: le forze dell’ordine mettono in atto le sentenze della Corte e arrestano i responsabili, con eventuale assistenza internazionale (diplomatica o militare), dimostrando che l’eversione dell’ordine costituzionale non paga.
In tal caso, le autorità della Republika Srpska lascerebbero da parte le leggi separatiste e riprenderebbero la collaborazione, seppure limitata, con le istituzioni statali. Sanzioni calibrate e chiare condizioni per il sostegno finanziario (fondi UE inclusi) possono aiutare in tal senso.
I leader politici della Republika Srpska, Dodik in testa, potrebbero inoltre decidere di lasciare il paese e delegare ad altri politici SNSD, come la rappresentante nella Presidenza tripartita Zeljka Cvijanovic, di negoziare la fine della crisi, pur mantenendo influenza politica informale.
D’altra parte, nota il rapporto, se il partito SNSD di Dodik dovesse scegliere una strada di moderazione e compromesso, potrebbe nascere alla sua destra una alternativa nazionalista più radicale, sulla scia della retorica già utilizzata dal presidente dell’assemblea serbo-bosniaca Nenad Stevandic. Tale fazione radicale potrebbe ottenere un certo consenso alle elezioni di fine 2026.
2. Dualismo giuridico e secessione interna
In caso invece le autorità della Republika Srpska continuassero a rifiutare l’autorità della Corte statale e dell’Alto rappresentante, potrebbe consolidarsi un ordine giuridico parallelo a quello costituzionale, con leggi e istituzioni parallele di polizia e giustizia nell’entità.
Tale sviluppo – sorta di secessione interna – potrebbe portare alle disintegrazione della Bosnia Erzegovina, mentre azioni lente e graduali resterebbero al di sotto della soglia d’allarme e porterebbero il pubblico ad abituarsi gradualmente alla nuova realtà. A lungo termine, le istituzioni statali sarebbero non più in grado di operare in tutto il paese, mettendo a repentaglio l’integrazione europea. Il rapporto FSI traccia un parallelo con la regione secessionista moldava della Transnistria, mentre in Bosnia già da mesi si sente dire “viviamo a Cipro“.
3. Contenimento della crisi tramite negoziati politici
In un terzo scenario, attori domestici e internazionali potrebbero cercare di controllare e contenere la crisi con negoziati politici con la leadership della Republika Srpska, ad esempio concordando una moratoria sulle leggi separatiste in cambio di incentivi finanziari o garanzie di impunità. Si tratta più o meno di quanto suggerito anche dall’analista di ICG, Marko Prelec, solitamente vicino al partito croato-bosniaco HDZ BiH, che contempla una possibile mediazione dell’amministrazione Trump.
Una tale soluzione potrebbe evitare lo scontro e ripristinare una parvenza di funzionalità delle istituzioni statali a breve termine. Tuttavia, secondo gli analisti di FSI, ciò lascerebbe irrisolta la radice della crisi, e potrebbe essere visto come una ricompensa all’ostruzionismo e all’eversione, il che renderebbe tale scelta politicamente impalatabile per le elite politiche di Sarajevo, in vista delle elezioni del prossimo anno.
4. Escalation, internazionalizzazione della crisi e intervento esterno
Se dovessero avere la meglio le fazioni più nazionaliste dell’SNSD, la Republika Srpska potrebbe scegliere di nuovo l’escalation, ad esempio tramite la militarizzazione delle sue forze di polizia, l’ostruzione degli organi dello stato, o una nuova costituzione dell’entità che la ponga fuori dall’ordine di Dayton.
In tal caso, la crisi potrebbe superare la soglia necessaria per l’intervento internazionale. L’Alto rappresentante potrebbe dichiarare decaduti i rappresentanti politici secessionisti, e la missione militare EUFOR Althea potrebbe dover intervenire a sostegno di arresti e operazioni di ripristino dell’ordine costituzionale.
Tuttavia, la riaffermazione coercitiva dell’ordine di Dayton potrebbe causare serie reazioni, con possibili proteste e resistenza di piazza. L’alto rischio politico richiederebbe un forte coordinamento diplomatico ex ante e pianificazione post-intervento. Tuttavia, in caso di collasso dello stato di diritto, secondo il rapporto FSI “potrebbe essere l’unico meccanismo disponibile per prevenire la frattura dello stato”.
5. Disintegrazione costituzionale formalizzata
Infine, la Republika Srpka potrebbe fare passi irreversibili verso la secessione dall’ordine costituzionale bosniaco – ad esempio con una nuova costituzionale dell’entità che neghi ogni autorità delle leggi e istituzioni statali e crei istituzioni finanziarie e di difesa separate, o con un referendum sull’indipendenza, anche se non riconosciuta.
In assenza di una chiara reazione delle istituzioni, la Bosnia Erzegovina potrebbe andare verso una formalizzazione della disintegrazione dell’ordine costituzionale. Le istituzioni statali ne uscirebbero paralizzate per il boicottaggio da parte di ufficiali e rappresentanti della RS, e l’instabilità politica potrebbe portare all’intervento da parte di attori regionali [Serbia Croazia, Turchia, Russia] a sostegno dei propri partiti politici di riferimento.
In tale scenario, sottolinea FSI, la sopravvivenza della Bosnia Erzegovina dipenderebbe completamente dalla capacità internazionale di gestione della crisi, con il rischio concreto di frammentazione a lungo termine e di destabilizzazione a lungo termine.
Il tempo stringe
Secondo gli analisti, la finestra d’opportunità per preservare l’integrità istituzionale e l’unità giuridica del paese si sta chiudendo. Una risposta coerente da parte delle istituzioni domestiche, con un robusto sostegno internazionale, sarà decisiva per determinare se la Bosnia Erzegovina si muoverà verso la reintegrazione istituzionale, o verso il collasso.
Foto: paris20vt, Flickr CC BY-NC