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SERBIA: Le proteste ambientaliste costringono il governo a cambiare strada

Appena un mese fa Greta Thunberg interveniva alla COP26 di Glasgow accusando i leader mondiali di non fare nulla sul tema dei cambiamenti climatici e della transizione energetica. Ora, dalla Serbia arriva una notizia che fa rumore: i movimenti ambientalisti hanno costretto il governo a ritirare due leggi che avrebbero avuto importanti ricadute sull’ambiente e la salute dei cittadini.

Una vittoria parziale e temporanea ma non per questo meno significativa, ottenuta da un movimento sempre più ampio capace di raccogliere attorno a sé decina di migliaia di persone. Il tutto nonostante le violenze subite da parte di gruppi organizzati e la solita retorica sui “mercenari stranieri nemici della Serbia”.

Le proteste

Negli ultimi anni la Serbia, così come il resto della regione balcanica, è stata spesso tra i paesi più inquinati al mondo. Un ben poco invidiabile record che ha però contribuito a formare e diffondere una nuova sensibilità sul tema della tutela ambientale. Sin dalle battaglie contro il progetto del Belgrade Waterfront del 2017, i movimenti ambientalisti hanno vissuto una stagione di crescita, tanto in termini numerici quanto di peso politico.

L’ultimo scontro tra governo e cittadini inizia quest’estate con il via libera al progetto di 2,7 miliardi di dollari della compagnia anglo-australiana Rio Tinto per lo sfruttamento di una miniera di litio, tra le più grandi al mondo, nella valle dello Jadar. Le proteste dei cittadini della zona di Loznica, area dove si trova la miniera, si sono velocemente intrecciate con quelle per la difesa dei fiumi e contro l’inquinamento, creando così i presupposti di una più ampia mobilitazione.

A novembre il governo aveva presentato due proposte di legge. Una regolava l’esproprio dei terreni nelle aree interessate da grandi investimenti, l’altra le modalità di consultazione popolare. La contestazione dei movimenti riguardava in particolare i tempi ristretti per contestare l’esproprio (appena 5 giorni), l’abbassamento del quorum per i referendum considerato uno strumento in favore della corruzione, e la possibilità di poter convocare un referendum ogni anno sulla stessa questione. La legge inoltre prevedeva il pagamento di una tassa per la raccolta firme: circa 10 mila euro per le 30 mila firme necessarie per un referendum. Punti criticati anche dalla Commissione di Venezia del Consiglio d’Europa.

La presentazione di queste proposte di legge ha scatenato la dura reazione dei movimenti che per due sabati consecutivi hanno manifestato in tutto il paese con blocchi stradali e l’occupazione di rotonde e autostrade. A guidare la rivolta ambientalista è stato soprattutto il gruppo Kremi-Promeni, piattaforma che si pone come obiettivo quello di “mobilitare e organizzare i cittadini al fine di risolvere i problemi che la comunità sta affrontando […] con petizioni online, proteste, azioni creative, pressione dei media e proposte di soluzioni giuridicamente rilevanti ai funzionari incaricati”. Uno dei suoi fondatori, Savo Manojlović, è così presto diventato il volto pubblico della protesta, capace di portare in piazza decine di migliaia di persone.

La risposta del governo

Il governo, dopo aver denigrato le proteste, ha puntato alla distensione. Anche perché tra tre mesi si svolgeranno le elezioni e il presidente Aleksandar Vučić, lanciato verso un’altra vittoria, non vuole alzare inutilmente la tensione e dare spazio all’opposizione. Lo stesso Vučić, pur definendo illegali le manifestazioni non autorizzate, ha mostrato una certa apertura dicendosi addirittura contrario alle modifiche proposte dal suo partito. Uno spirito costruttivo, anche se per puri calcoli politici, che si oppone a quanto fatto nel primo sabato di proteste da alcuni gruppi violenti, riconducibili secondo la stampa a ultras e iscritti al Partito Progressista Serbo (SNS), che hanno attaccato con martelli e bastoni un blocco stradale a Šabac.

Alla fine, la legge sull’esproprio è stata definitivamente ritirata e, stando a quanto detto da Vučić, verrà sottoposta a dibattito pubblico. La legge sul referendum è invece stata modificata allungando a quattro anni la distanza temporale minima tra una consultazione e l’altra sulla stessa questione, abolendo la tassa sulla verifica delle firme e l’abbassamento del quorum. Queste concessioni non hanno però fermato del tutto la mobilitazione, che si è ripetuta con numeri minori per il terzo sabato consecutivo.

Non sono mancate le classiche accuse di ingerenze esterne dei “nemici della Serbia”. La premier Ana Brnabić ha riconosciuto la mancanza di un’adeguata comunicazione con il pubblico ma non ha perso occasione per accusare Kreni Promeni di ricevere soldi dalla Fondazione Rockefeller. Una narrativa cospirazionista ripresa anche da un personaggio illustre come il regista Emir Kusturica secondo cui “non è esistito nessun colpo di stato nella nostra storia che non sia stato compiuto dai servizi segreti delle potenze occidentali” alimentando in questo modo la campagna denigratoria contro le proteste.

Verso le elezioni

La prossima primavera i cittadini e le cittadine serbe saranno chiamati a eleggere il presidente della Repubblica, il parlamento e alcuni sindaci, tra cui quello di Belgrado. Il 16 gennaio dovrebbe svolgersi invece un referendum sulle riforme costituzionali tra cui l’eliminazione del quorum per tutti i referendum. Vučić si avvia probabilmente verso un’altra vittoria, con un’opposizione parlamentare che ha deciso di interrompere il boicottaggio attuato alle elezioni dell’anno scorso.

I movimenti hanno dimostrato di poter mobilitare, trasversalmente, un gran numero di persone su temi come la tutela ambientale, la difesa degli spazi verdi e pubblici, la definizione dello spazio urbano e l’utilizzo dei fondi pubblici. Altra loro caratteristica è la distanza rispetto ai partiti tradizionali anche se questi, elettoralmente, potranno guadagnare qualcosa dalle mobilitazioni.

Con la decisione di accettare, in parte, le richieste dei movimenti e forte dell’apertura dei negoziati UE sui capitoli ambiente ed energia, Vučić vuole mostrarsi attento al tema della transizione salvo poi approvare progetti come quello di Rio Tinto. Per i movimenti si tratta di una nuova ondata che potrebbe sicuramente contribuire a creare le basi per qualcosa di più strutturato. Capace, magari, di insidiare in futuro il dominio del presidente.

Foto: Wikicommons

Chi è Marco Siragusa

Nato a Palermo nel 1989, ha svolto un dottorato all'Università di Napoli "L'Orientale" con un progetto sulla transizione serba dalla fine della Jugoslavia socialista al processo di adesione all'UE.

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