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Belgrado, Serbia

BALCANI: Inquinamento record nelle città, a Belgrado i cittadini protestano

Alla fine di ottobre la capitale serba Belgrado ha fatto registrare dei livelli molto alti di inquinamento dell’aria, secondo il monitoraggio del sito Air Visual. Anche a Skopje, Sofia e Sarajevo, tra le città dei Balcani, nelle scorse settimane gli indici di qualità dell’aria (AQIs), hanno segnalato valori preoccupanti di materia particolata (PM 10) nell’atmosfera: piccolissime particelle prodotte dai processi di combustione.

Nella classifica di Air Visual, costantemente aggiornata, il 26 ottobre Belgrado è stata la quarta città più inquinata al mondo. Un AQI superiore a 50 significa un’aria non salutare per gli abitanti. Quella di Belgrado ha fatto registrare un picco di AQI di 179, dietro solo a Delhi, Lahore e Hanoi. Nell’aria della capitale serba sono stati rilevati 128 microgrammi di PM 10 per metro cubo. Nella top ten anche Sarajevo, sesta, mentre Pristina e Skopje sono, rispettivamente, undicesima e dodicesima. Tra il 25 e il 28 ottobre, Belgrado in particolare si è mantenuta nelle zone alte della classifica.

Non solo un inquinamento stagionale

Non è certo una novità che la capitale serba e le altre della regione registrino dei periodi di alto inquinamento. Soprattutto con l’arrivo della stagione invernale è più facile che si formi una cappa di smog dovuta alla mancanza di vento e all’alta pressione atmosferica, che intrappola i fumi tossici prodotti da caldaie, fabbriche, e traffico cittadino.

Le autorità di Serbia, Bosnia e Croazia, tra gli altri, però, sono concordi nel rassicurare i cittadini parlando di un inquinamento stagionale che, passato l’inverno, lascerà il posto a un’aria più pulita. Il ministro per l’ambiente serbo Goran Trivan pochi giorni fa ha sostenuto che la situazione della qualità dell’aria a Belgrado non è così allarmante. Il ministro, che si è detto comunque preoccupato, ha dato la colpa del momento di alto inquinamento alla combinazione di due fattori: l’inusuale autunno caldo e il traffico in una città di un milione e mezzo di abitanti. Sono in molti a pensare invece che così non sia e che dichiarazioni di questo genere minimizzino solo un problema più grave e complesso, che riguarda la sostenibilità produttiva, la transizione a energie più pulite e la riduzione del traffico cittadino, ma che la politica non sembra voler affrontare.

Le città bosniache di Tuzla, Lukovac e Zenica sono l’esempio di città inquinate letteralmente tutto l’anno, dove gli industriali non hanno mai investito in tecnologie che riducono le emissioni. A Zenica nel 2018 i livelli di sostanze nocive nell’aria ha superato i limiti consentiti 252 giorni su 365. Non va meglio a Sarajevo, spesso tra le città più inquinate della regione, e perfino a Zagabria, dove i limiti di inquinamento vengono facilmente superati.

Il caso di Belgrado e le proteste

A Belgrado il movimento 1 od 5 miliona, “uno di cinque milioni”, che ormai da quasi un anno manifesta contro il governo serbo e il presidente Aleksandar Vucic, ultimamente ha diretto le sue critiche verso l’inquinamento. I manifestanti sono scesi in piazza per protestare contro l’aria malsana delle ultime settimane.

L’indiziato numero uno per l’aumento di PM10 a fine ottobre è la discarica di Vinca, appena fuori Belgrado, in cui sono stati segnalati dei roghi per giorni. Il sito, ormai a capienza raggiunta e giudicato nocivo, aveva ricevuto nei mesi passati la promessa di un finanziamento da parte della Banca Europea per gli Investimenti (Bei), per una riconversione. Nei fatti è invece in progetto la costruzione di un inceneritore, soluzione che ha portato la Bei a ritirarsi dal finanziamento, essendo contraria agli standard Ue. I manifestanti hanno chiesto all’amministrazione chiarezza sulla questione.

A dare la notizia del ritiro della Bei dal progetto erano stati gli attivisti di Don’t Let Belgrade D(r)own, un’altra iniziativa che nelle scorse settimane ha protestato contro l’inquinamento in Serbia. I partecipanti hanno manifestato con delle mascherine sulla bocca davanti al palazzo del municipio della capitale.

Una transizione difficile

Secondo uno studio dell’Università di Belgrado le automobili che circolano in Serbia hanno in media 17 anni, e molte sono inquinanti diesel. Inoltre, tre quarti delle emissioni inquinanti nel paese sono prodotte da sistemi di riscaldamento antiquati e dalle industrie. La Serbia, come tutta la regione balcanica, usa ancora in gran parte energia prodotta da centrali a carbone e, nonostante gli investimenti è ancora lontana dagli standard europei.

Solo il 24 ottobre una delegazione dell’Unione europea, insieme a una del programma di sviluppo delle Nazioni Unite, ha chiesto al governo serbo di ridurre le emissioni di gas serra, per favorire l’adattamento e il contrasto al cambiamento climatico.

Come ha sostenuto l’attivista di Don’t Let Belgrade D(r)own Radomir Lazovic al network serbo N1: “Le misure a breve termine ci possono proteggere per un po’ se la situazione è estrema. Misure a lungo termine significano invece un miglioramento del trasporto pubblico, il controllo delle industrie inquinanti, il passaggio alle rinnovabili e la riforestazione”. Sono proprio queste misure a lungo termine ciò di cui le città dei Balcani avrebbero un enorme bisogno: misure che al momento, però, non sembrano essere una priorità per le autorità locali.

Chi è Tommaso Meo

Giornalista freelance, si occupa soprattutto di Balcani, migranti e ambiente. Ha scritto per il manifesto, The Submarine e La Via Libera, tra gli altri. Collabora con East Journal dal 2019.

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