EDITORIALE: La Polonia sempre brutta e cattiva, ma non è vero

Populisti, nazionalisti, reazionari, persino fascisti se serve. Così abbiamo descritto quei governi dell’Europa orientale che non si conformano al modello di democrazia liberale. E spesso lo abbiamo fatto senza voler capire la specificità di quei paesi. Già in passato abbiamo provato a spiegare le ragioni che hanno portato al successo dei partiti cosiddetti populisti in Europa orientale. Questa volta guardiamo specificamente al caso polacco.

Liberalismo esaurito

La democrazia polacca è stata costruita sulla base di principi liberali, attraverso il sostegno alle riforme liberiste e alle istituzioni del Washington Consensus (Banca mondiale, Fondo Monetario, etc.), avendo come unico orizzonte il libero mercato. I costi sociali, pur elevati, sono stati sopportati per arrivare allo scopo. Una volta raggiunti gli obiettivi principali (costruzione di solide istituzioni, avvicinamento e adesione all’UE e al patto atlantico) l’offerta politica liberale si è svuotata e l’opinione pubblica ha cominciato a percepire il proprio sistema politico come bloccato e lontano dal sentire comune.

La mancanza di visioni alternative è stata colmata da Diritto e Giustizia (PiS), partito conservatore nato da una propaggine di Solidarność, capace di dare voce alla stanchezza, alla disillusione e alla voglia di cambiamento della società polacca colpita, come tutte, dalla crisi economica del 2008. Diritto e Giustizia ha offerto un’alternativa fatta di ritorno alla nazione quale difesa dalla globalizzazione economica che tutto appiattisce e rende anonimo. Riforme culturali, politiche ed economiche hanno scandito l’operato del partito, al governo dal 2015, unitamente a politiche di welfare a sostegno dei ceti meno abbienti.

Il rifiuto del liberismo, cioè delle élites liberali ritenute responsabili della crisi economica, si è materializzato in un profondo anti-europeismo poiché anche Bruxelles è diventata, per i conservatori polacchi, simbolo del liberismo obbligatorio, vale a dire di quelle riforme (privatizzazione, austerità, tagli al welfare) che l’Unione Europea ha imposto a Grecia, Italia, Spagna, sotto pena di sanzioni, commissariamenti o squalifiche.

Contro la democrazia?

Non si tratta di un rifiuto della democrazia ma della democrazia liberale, ovvero del modello politico che aveva dominato la scena nei vent’anni precedenti. In generale i cosiddetti populisti non sono anti-democratici, bensì anti-liberali. Il richiamo al popolo quale depositario della sovranità esclude istanze contrarie alla democrazia.

Tuttavia il governo polacco si è trovato al centro di aspre critiche in relazione ad alcune riforme che sembrano minare le fondamenta della democrazia polacca. Su tutte, la riforma della giustizia.

La riforma della giustizia

La riforma della giustizia, che tanto ha fatto discutere negli ultimi anni, consente al governo di controllare la magistratura e la Corte costituzionale. In tal senso, va a rompere l’equilibrio dei poteri dello Stato mettendo il governo in una posizione di forza. È la fine di quello che diciamo “stato di diritto” e che gli inglesi chiamano “rule of law“.

Oltre alla legge, è sintomatico della mentalità del governo anche il modo in cui vi si è giunti, con purghe e pensionamenti forzati, fino all’intervento dell’UE che ha condotto a un parziale reintegro dei giudici rimossi senza tuttavia produrre un ritorno all’equilibrio precedente. I presidenti dei tribunali vengono infatti nominati dal ministro della Giustizia (e non tramite concorso, come in precedenza) garantendo al governo tribunali “amici” e consenzienti.  Il rischio è quindi quello di una magistratura fatta da nominati politici, più permeabile ad abusi politici e sottomessa al governo. Per chi vuole approfondire la questione, si suggerisce questo link.

D’aborto e altri diritti

Se la riforma della giustizia presenta effettivi rischi per la democrazia polacca, diverso è il caso di altre leggi promosse dal governo, che molto hanno fatto discutere. Su tutte, il divieto assoluto d’aborto. Una legge che impedisce del tutto l’interruzione di gravidanza, anche quando il feto è malformato o ci sono rischi per la salute della donna, ad eccezione dei casi di stupro e incesto accertato da una sentenza. La misura, fortemente voluta dalla Chiesa, restituisce il clima del paese. Non si tratta però di una legge anti-democratica.

Il governo conservatore del PiS ha promosso inoltre una revisione dei programmi di studio nelle scuole, favorendo la promozione di valori patriottici, e rendendo pressoché obbligatoria l’ora di religione. In generale, complice anche l’adesione ai valori religiosi, il governo si è mostrato estremamente contrario a politiche di genere e alla concessione di diritti alla minoranza LGBT. Per queste misure, il governo polacco si è attirato il biasimo unanime della stampa europea. Recentemente, complice una controversa legge sui media, il governo polacco si è visto accusato di censura.

In generale, la democrazia polacca è spesso descritta come un regime di estrema destra. E la questione dell’antisemitismo (che è un tema reale, ancorché delicato, in Polonia) viene facilmente strumentalizzata per arricchire di bestialità il già mostruoso ritratto che si fa del paese.

Un ritratto macchiettistico

Tuttavia ripiegarsi su quelle narrazioni macchiettistiche, tanto in voga nei circoli liberali, che dipingono la Polonia come un paese in preda a un manipolo di  degenerati non aiuta a capire la complessità dell’attuale situazione. Non è tutta colpa del lettore. Abbiamo imparato dai giornali di mezzo mondo che la Polonia è guidata da un uomo che, dopo la morte del fratello, è diventato despotico e fanatico. Abbiamo imparato che il governo è di estrema destra, euro-scettico, reazionario, misogino, nemico della cultura europea, colpevole di aver tradito l’esperienza e i valori di Solidarność. Abbiamo imparato che i polacchi, tutti antisemiti, rifiutano di compensare le vittime dell’Olocausto per le proprietà che hanno perso nel paese durante la guerra. Abbiamo imparato che in Polonia la libertà è in pericolo.

Il paternalismo dell’Europa occidentale

C’è però un rovescio della medaglia. Non vediamo, cioè, l’atteggiamento paternalistico e coloniale con cui l’Europa occidentale tratta quella orientale, imponendo modelli economici liberisti che favoriscono le grandi aziende tedesche e obbligano alla conversione interi settori con tutto il cascame di disoccupati che ne consegue. Non vediamo le misure a sostegno dei redditi più bassi, delle famiglie numerose, dei meritevoli allo studio, degli anziani soli. Non vediamo quelle politiche di welfare che, oltremanica, tacciano di socialismo, e che noi nemmeno possiamo immaginare esistano in quel covo di estremisti di destra.  Non vediamo che la nostra idea di libertà significa, da quelle parti, imposizione di un’ideologia e di un mono-pensiero (si tratti dell’europeismo o dei diritti LGBT) cui diventa, allora, doveroso opporsi. Non vediamo nemmeno che la Polonia si considera un paese occidentale, con tutto quello che ne deriva in termini di identità e relazioni con i paesi vicini.

L’eredità di Solidarność

Non vediamo, infine, che l’attuale governo è tutto nel solco di quello che fu Solidarność, dei suoi valori, della sua lotta. Anche se ne rappresenta una deriva, quello che oggi accade in Polonia era già in larga parte scritto nella vicenda di Solidarność: il ruolo della Chiesa, della tradizione, della donna nella società, e il ruolo della Polonia nel mondo, erano già presenti in quella che giustamente viene ritenuta una straordinaria esperienza di libertà e lotta alla tirannia del monolite, dell’iperstato sovietico, con la sua economia obbligatoria, i suoi valori obbligatori, il pensiero unico, le direttive calate dall’alto a schiacciare interi popoli costringendoli a libertà che facevano il rumore delle catene.

Oggi come allora, quella parte di polacchi che si riconosce in quei valori, e quelle élites che (più o meno strumentalmente) li portano avanti, si sentono protagonisti di una lotta per l’identità e per il futuro del paese. Se più della metà degli elettori, alle elezioni parlamentari del 2019, ha votato per partiti reazionari è perché la Polonia è attraversata da tensioni che non vediamo, ma che ci piace derubricare a fascismo e tanti saluti.

Il dito e la luna

Quando il dito indica la luna, lo sciocco guarda il dito. Descrivere la situazione polacca come se si trattasse di una improvvisa follia, di un popolo ignorante e bigotto, di una nazione di minorati che non sanno cosa sia la libertà, poco adusi alla democrazia, un popolo bambino da salvare e redarguire, oppure punire, ecco, concentrarsi sulla (preoccupante) situazione polacca senza renderci conto che la radice del problema è altrove, significa guardare il dito e non la luna.

I problemi del paese, più o meno reali, ci vengono presentati partendo sempre da un punto di vista liberale e liberista che non tiene conto delle esigenze e peculiarità del paese, e che si aggrappa in modo macchiettistico alle molte storture, derive, e deviazioni del governo polacco per non affrontare il problema di fondo: che l’attuale corso politico ed economico europeo è iniquo, produce disuguaglianze, impone regole e minaccia chi non vi si attiene, e si propone come l’unico modello possibile demonizzando ogni alternativa. In Polonia si sta forse costruendo quell’alternativa. Che può non piacerci. Ma può comunque essere una buona notizia.

immagine da Pixabay

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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