Perché i partiti populisti continuano ad avere successo?

Hanno realizzato riforme tese a limitare l’indipendenza della magistratura, a controllare i media, a restringere le libertà individuali e i diritti civili, e godono di cattiva stampa e pessima fama in patria e all’estero. Ma escono vincitori dalle urne. Perché i partiti cosiddetti populisti dell’Europa centro-orientale continuano ad avere successo?

La democrazia logora chi non ce l’ha

Facciamo un passo indietro, alla fine degli anni Novanta. Un periodo in cui i paesi dell’Europa centro-orientale si erano messi alle spalle i primi, convulsi e spesso rapaci, anni della transizione, realizzando democrazie liberali moderne ed efficaci. Democrazie in cui tutte le forze politiche avevano lo stesso orizzonte: il libero mercato e l’adesione all’UE e alla NATO. Le sinistre non hanno saputo esprimere modelli alternativi al capitalismo di mercato. L’unica possibilità di legittimazione per forze politiche che avevano abbracciato il comunismo era quello di mostrarsi più realisti del re, sostenendo le riforme liberiste e le istituzioni del Washington Consensus (Banca mondiale, Fondo Monetario, etc.).

Una volta raggiunti gli obiettivi principali (costruzione di solide istituzioni, avvicinamento e adesione all’UE e al patto atlantico) l’offerta politica liberale si è svuotata e l’opinione pubblica ha cominciato a percepire il proprio sistema politico come bloccato e lontano dal sentire comune.

Tutti i partiti principali sostenevano tanto la democrazia liberale, quanto il liberismo economico, che si sono così saldate insieme dando luogo a una  mancanza di visioni alternative che ha infine prodotto nell’elettorato una certa stanchezza.

La stanchezza è diventata rifiuto dopo la crisi economica del 2008, quando le ricette liberiste si sono rivelate insufficienti e inadeguate. Il rifiuto del liberismo, delle élites liberali ritenute responsabili della crisi, ha aperto la strada ai cosiddetti populismi. Ma attenzione, non si è trattato di un rifiuto della democrazia ma della democrazia liberale, ovvero del modello politico che aveva dominato la scena nei vent’anni precedenti.

I cosiddetti populisti non sono anti-democratici, bensì anti-liberali. Il richiamo al popolo quale depositario della sovranità esclude istanze contrarie alla democrazia. Tuttavia questo popolo è messo in opposizione alle élites (la casta si direbbe da noi) contro cui è necessario combattere per restituire al popolo quella sovranità che le élites, nel tempo, gli avrebbe sottratto.

Rigurgito populista o ritorno del politico?

Mai come oggi i cittadini dell’Europa centro-orientale hanno goduto di libertà individuali così ampie. Si tratta però di libertà concesse, che provengono dall’alto. Quelle che manca è invece la libertà di partecipare, influenzare la sfera pubblica, modificare le dinamiche politiche. Se è vero che in democrazia il potere è del popolo, è anche vero che nel crepuscolo delle democrazie liberali il potere del popolo è apparente, formale, sterilizzato.

Il rigurgito populista – nelle sue diverse accezioni – può quindi essere il segno di un ‘ritorno del politico’, per quanto convulso e inappropriato. In Europa centro-orientale il populismo è però spesso uno strumento attraverso cui si affermano partiti nazionalisti, euroscettici, ultra-conservatori. L’idea della ‘democrazia illiberale‘ – secondo la nota definizione del premier ungherese Victor Orbàn – è portata avanti a colpi di populismo senza che Orbàn possa dirsi un leader populista.

L’attacco allo stato di diritto

I leader politici dell’Europa centro-orientale hanno usato la leva del populismo anche per smantellare progressivamente la tradizionale separazione dei poteri nel tentativo di consentire al governo (potere esecutivo) il controllo del parlamento (legislativo) e della magistratura (giudiziario). Lo scopo di tali riforme, che comprendono il controllo dei media, delle imprese, della scuola e dell’università, è quello di mantenere il potere attraverso un sistema clientelare autoritario.

L’Unione Europea ha avviato procedure di infrazione nei confronti della Polonia (dicembre 2017) e dell’Ungheria (settembre 2018) per contestare alcune iniziative lesive dell’indipendenza della magistratura. Anche in Romania a preoccupare è lo stato di diritto, fortemente minacciato da leggi che limitano l’indipendenza della magistratura e consentono ai parlamentari indagati per corruzione di evitare il processo. Da ultimo, la Bulgaria è entrata nel mirino dell’UE per motivi legati alla lotta alla corruzione.

L’euroscetticismo e il nazionalismo

Lo strumento del populismo è quindi venuto utile anche per accusare Bruxelles di ingerenza, essendo l’Unione Europea espressione di quelle élites liberali e di quegli interessi sovranazionali che, a loro dire, hanno condotto alla crisi.

Una crisi che è reale, ed è economica quanto identitaria, cui i populisti provano a dare una risposta attraverso l’impossibile ritorno a un passato idealizzato. La bandiera, la fede, la lingua, l’identità nazionale, vengono strumentalmente usate per chiamare i cittadini alla lotta contro i nemici esterni ed interni: il capitale anonimo, le organizzazioni sovranazionali, l’Unione Europea, i migranti, l’opposizione.

Politiche sociali

Il modello economico e sociale proposto dai partiti nazionalisti e ultraconservatori è fatto di tutele sociali, difesa dei posti di lavoro contro l’avanzata del ‘capitale anonimo’, precedenza ai cittadini autoctoni rispetto a quelli immigrati, forte intervento dello stato in economia. Le venature populiste di queste iniziative sono evidenti, ma rispondono a effettivi bisogni della popolazione. Il successo di Diritto e Giustizia (PiS) in Polonia, ad esempio, si deve anche alla realizzazione di politiche di welfare. In Ungheria il modello economico prevede una forte presenza dello Stato negli investimenti e nel controllo del sistema finanziario.

Le ragioni del successo

Il successo dei partiti populisti, nazionalisti, ultra-conservatori in Europa centro-orientale è dunque dovuto a una serie di ragioni: la stanchezza verso la democrazia liberale e il liberismo economico; il richiamo alla sovranità popolare contro le élites; l’utilizzo strumentale dei simboli nazionali e le retoriche identitarie; il ricorso a misure di welfare per sostenere i cittadini in difficoltà.

Cittadini che non sono idioti, né amano la dittatura, ma vivono in un contesto di disagio economico, emigrazione, precarietà, e sono alla ricerca di nuove possibilità democratiche e di nuovi modelli politici. Quella del populismo, dell’autoritarismo, del nazionalismo può essere una fase. La stanchezza e il disincanto verso la democrazia liberale sono un fenomeno europeo. Le società dell’Europa centro-orientale sono un laboratorio da cui può anche venire fuori la cura ai mali del nostro tempo.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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