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RUSSIA: Sentenza Dmitriev, un caso di “guerra di memoria” mal scritto. Intervista ad Andrea Gullotta, studioso del Gulag

Ieri la corte di Petrozavodsk ha condannato lo storico e attivista russo Jurij Dmitriev a 3 anni e 6 mesi di reclusione, chiudendo un processo che molti definiscono “politico” durato oltre tre anni. Ne abbiamo prontamente parlato con Andrea Gullotta, studioso dell’università di Glasgow che da anni si occupa di Gulag e della memoria delle repressioni sovietiche e che conosce bene il caso Dmitriev, tanto da aver lanciato una importante petizione in difesa dello storico russo.

Oggi è giunta la sentenza definitiva sul caso Dmitriev. Come possiamo commentarla? Quali implicazioni ci possiamo vedere? 

Dare un giudizio univoco sul caso e sulla sentenza è molto difficile. Da un lato è una sentenza positiva, perché Dmitriev non è stato condannato a quindici anni come si temeva, il che avrebbe significato di fatto una condanna a morte per lui. Fra poco più di tre mesi, a novembre, potrà anzi già uscire dal carcere. Dall’altro lato, è però una sentenza negativa, perché sarà libero ma da “condannato”, e per un reato molto brutto, un atto coercitivo su un minore [la figlia adottiva].

La cosa interessante è però che questa sentenza si presenta di fatto come un’assoluzione: l’articolo per cui Dmitriev è stato condannato esplicita in un minimo di dodici anni e un massimo di venti il periodo da scontare in carcere. Condannare Dmitriev a tre anni e mezzo – una pena quasi quattro volte inferiore rispetto al minimo che la legge impone – significa di fatto affermare che le accuse non sono sostanziali, oppure suggerire che l’atto di cui si parla non è particolarmente grave (la figlia, dopotutto, ha problemi di salute e Dmitriev non faceva che occuparsi di questo, come chiarito di recente).

Riguardo alle implicazioni, è difficile dirlo ora. Sicuramente resta il fatto che un importante storico dei Gulag è stato sottoposto a un processo lunghissimo, che è stato reso oggetto di un caso noto, un caso che per molti, me compreso, è legato in realtà al suo lavoro e alle sue ricerche.

Che tipo di figura rappresenta Jurij Dmitriev nel panorama degli studi memoriali sui Gulag e le repressioni staliniane? 

Dmitriev è uno storico molto particolare: non lo è di formazione, ma possiamo definirlo uno “storico sul campo”. Ha iniziato a occuparsi di storia dei Gulag e di storia delle repressioni staliniane collaborando, tra 1990 e 1995, con un deputato, Ivan Čuchin. Si appassionò allora alla raccolta dei nomi delle vittime, di cui stilò interi “libri della memoria” contenenti dati biografici e informazioni sulle sentenze assieme allo stesso Čuchin. Quando è stato arrestato stava preparando un libro che raccoglieva oltre 64mila nomi di vittime.

Oltre a questo tipo di lavoro, Dmitriev ha anche iniziato a cercare i luoghi di sepoltura ancora ignoti, scoprendone diversi: alcuni ad esempio sulle isole Solovki, ma quello per cui è più famoso è sicuramente Sandarmoch, scoperto assieme a Irina Flige e Venjamin Iofe nel 1997, poco dopo la morte di Čuchin.

Dmitriev, inoltre, è un importante attivista, organizzatore ogni 5 agosto delle celebrazioni in memoria delle vittime proprio a Sandarmoch, che nel frattempo è diventato un vero e proprio memoriale.

Prima dell’apertura del caso contro di lui, tuttavia, Dmitriev era una persona importante per me e per altri specialisti, storici e attivisti; ora invece Dmitriev, proprio grazie al processo, è diventato quasi una star, un simbolo della libertà intellettuale in Russia. Questa persecuzione ha quindi anche avuto l’effetto opposto, possiamo dire, se l’intento da parte dell’accusa era quello di ostacolarne il lavoro e le attività.

Per l’associazione Memorial questa sentenza è prettamente “politica”: in che senso? Perché parlare di questi argomenti storici è qualcosa di scomodo oggi in Russia? 

Memorial dice apertamente che il motivo che ha scatenato il processo contro Dmitriev sia da ricondurre al suo lavoro di ricerca sul Gulag; per l’associazione il caso è stato fin dall’inizio orchestrato dall’alto ed è basato su prove false. Io mi trovo parzialmente d’accordo con questa posizione: le accuse sono infondate, come ripetutamente chiarito dagli esperti in entrambi i processi, ma nella persecuzione di Dmitriev c’è qualcosa di specifico: ci sono tantissimi storici che si occupano di storia e memoria dei Gulag, ma di persone finite in carcere e sottoposte a processi simili c’è solo Dmitriev. La particolarità del caso di Dmitriev, secondo me, è data dal contesto in cui si è sviluppato il caso. Nello specifico io sto scrivendo in questo momento un libro, che spero di finire nelle prossime settimane, dedicato a quella che in molti definiscono la “guerra della memoria” attorno al Gulag in Russia. Nel libro cerco proprio di spiegare il perché il sistema dei Gulag rappresenti oggi un problema, il terreno di scontro. La mia interpretazione, basata sulla mia esperienza di ricercatore in questi 13 anni di lavoro sul tema e su vari fatti accaduti di recente, è che ci siano dei tentativi, non per forza concertati, da parte di alcune autorità di appropriarsi della memoria del Gulag.

Del tema memoriale si era iniziato a parlare negli anni della perestrojka, ma nei cosiddetti “terribili anni ’90” erano già sorte altre questioni ben più gravi di cui l’opinione pubblica doveva occuparsi. Di questa specifica memoria hanno continuato a occuparsi l’associazione Memorial, alcuni ricercatori indipendenti, piccole associazioni, Ong, molti sopravvissuti agli stessi Gulag. Dopo una prima fase di tolleranza e anche collaborazione, alcune autorità statali hanno assunto un atteggiamento sempre più repressivo nei confronti di questi storici e attivisti. Un esempio divenuto abbastanza noto è quello relativo al museo Perm’-36, la cui amministrazione è stata rinominata dall’alto, per poi venire chiuso e riaperto solo una volta che, nella sostanza, era stato del tutto tolto dalle mani di Memorial e riposto in quelle dello stato.

Memorial, il centro Sacharov e altre associazioni sono stati bollati nel frattempo come “agenti stranieri” e sono oggi costantemente messi sotto pressione, vengono multati di continuo. Dmitriev è finito nel mirino delle autorità in questo contesto.

Intanto lo stato si sta sempre più interessando della memoria del Gulag: il piccolo museo sul tema nel centro di Mosca è diventato ora gigantesco e dettagliato; recentemente, in pompa magna alla presenza del presidente Vladimir Putin e del patriarca Kirill, è stata eretta una “stena skorbi”, un muro del dolore, un enorme monumento in memoria delle vittime delle repressioni; è stato anche creato un “Fond pamjati”, un fondo che si occupa proprio di memoria storica. Sembra quindi che in questo momento diverse autorità stiano cercando di appropriarsi in maniera esclusiva di questo spazio della memoria che era stato lasciato in “mani indipendenti”, appropriarsene e ricondurlo all’interno di una narrazione nazionale: i Gulag in questa versione della storia – enunciata da Putin durante l’inaugurazione del “muro del dolore” – sono stati una parentesi storica indubbiamente terribile, hanno causato molte morti di persone innocenti e vanno ricordati; tuttavia, questa narrazione non invita a fare i conti con la storia, perché i russi non devono essere divisi guardando al passato, ma uniti per il bene della Russia. Quindi, quando Memorial pubblica i nomi degli assassini dell’NKVD, fa l’opposto di questa volontà; quando Dmitriev ogni anno ricorda Sandormoch e le sue circa settemila vittime di 60 nazionalità diverse uccise dalle mani dello stato, fa i conti con il passato e non afferma in maniera generica che “è stato terribile”.

Anzi: proprio mentre Dmitriev era in carcere, non è un caso che a Sandarmoch un gruppo di storici dalle tesi alquanto discutibili sono stati incaricati di scavare la zona al fine di riesumare resti umani e dimostrare che non si trattasse tanto di vittime dello stalinismo, quanto di soldati dell’Armata rossa uccisi dai finlandesi. Una tesi debolissima, smentita da decine di storici autorevoli, ma che si inserisce nel più grande contesto di riscrittura e rinazionalizzazione della memoria storica.

Quale è stata la risonanza del caso Dmitriev dentro e fuori dalla Russia? 

La risonanza è stata abbastanza ingente, anche se non enorme. Ci sono state decine di petizioni, lettere, messaggi, articoli su giornali internazionali autorevoli. Io nello specifico, insieme a Memorial Italia e ad altri attivisti britannici, ho lanciato una petizione che è stata firmata da oltre 400 intellettuali di 27 nazioni diverse. In Russia una parte dell’intelligencija si è schierata in difesa di Dmitriev, tra loro scrittori noti come Ljudmila Ulickaja e Dmitrij Bykov; per loro Dmitriev ha preso a rappresentare un simbolo di libertà intellettuale contro lo stato, una storia classica per la Russia in fondo. I media tradizionali in Russia tuttavia hanno smesso progressivamente di parlare del caso, quindi non è possibile dire con certezza che sia diventato un argomento di cui tutta la Russia in generale oggi parla.

Immagine: bbc.com

Chi è Martina Napolitano

Dottoressa di ricerca in Slavistica presso l'Università di Udine, è direttrice editoriale di East Journal e scrive principalmente di Russia.

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