HIV Russia

RUSSIA: Il virus dell’HIV, un’epidemia dimenticata

Con più di mezzo milione di casi positivi e l’allentamento sospetto delle misure restrittive poco prima del referendum costituzionale che permetterebbe la candidatura di Putin a un altro mandato, il coronavirus continua a rimanere la notizia in primo piano nei media russi. Poco prima che scoppiasse la crisi sanitaria, era stato però un altro virus, quello dell’HIV, a conquistarsi l’attenzione pubblica.

Lo scorso 11 febbraio Jurij Dud’, popolare vlogger e giornalista russo, aveva infatti pubblicato sul suo canale YouTube un documentario di quasi due ore intitolato “HIV in Russia”. Nel documentario, Dud’ dà informazioni pratiche sulle modalità di trasmissione dell’HIV, su come prevenirla, ma mostra anche come, nonostante pregiudizi e stereotipi, sia possibile avere una vita normale anche dopo la diagnosi. Nel giro di qualche giorno, il video ha ricevuto più di 14 milioni di visualizzazioni, mentre su Google le ricerche su dove acquistare i test per l’HIV sono aumentate del 4000%.

Un problema “degno d’attenzione”

Di fronte a questo successo, anche alcune delle più importanti figure politiche in Russia si sono sentite in dovere di commentare il documentario, tra cui Aleksej Kudrin, presidente della camera dei conti, e Dmitrij Peskov, portavoce del presidente, che lo ha definito “un film degno d’attenzione”. Secondo indiscrezioni giunte alla testata “Kommersant’”, a pochi giorni dall’uscita del film lo stesso presidente Vladimir Putin avrebbe chiesto al governo di proporre una nuova strategia per la lotta all’HIV.

In effetti, la portata della diffusione dell’HIV in Russia sembra decisamente degna d’attenzione: nel paese più di un milione di persone convive con l’HIV, mentre si stima che un altro milione sia sieropositivo ma non a conoscenza del proprio status – in alcune regioni, più dell’1% della popolazione. Il tasso di crescita dei contagi è del 10-15% l’anno, tanto che il 61% di tutte le nuove infezioni da HIV in Europa avvengono in Russia. Solo il 45% di chi è positivo riceve le cure necessarie e i decessi per cause legate all’AIDS sono stati 33.577 solo nel 2019.

Poco viene fatto per ridurre la diffusione del virus tra i gruppi più esposti: l’offerta di interventi di riduzione del rischio per tossicodipendenti – come la distribuzione di aghi puliti – è pressoché inesistente, la terapia sostitutiva a base di metadone, che riduce l’utilizzo di droghe per via endovenosa, è illegale, così come non è disponibile la profilassi pre-esposizione (PrEP) che previene l’infezione in caso di rapporti sessuali non protetti. 

Tradizioni “moral-spirituali” e “agenti stranieri”

La bozza della nuova strategia per la lotta all’HIV, pubblicata nei giorni scorsi, è già stata criticata in quanto priva di sostanziali differenze rispetto alla precedente e non in linea con le raccomandazioni dell’OMS. Per ora, la strategia a livello governativo per la prevenzione dell’HIV si è concentrata piuttosto su campagne educative basate sulla promozione della fedeltà e della famiglia tradizionale. Ad esempio, secondo il testo di legge sulla prevenzione della trasmissione dell’HIV della città di Mosca, i programmi educativi devono essere indirizzati verso il rafforzamento dell’istituto della famiglia e delle tradizioni “moral-spirituali” delle relazioni famigliari. Sulla base di questa strategia è stata ideata la campagna educativa per la prevenzione dell’HIV del 2018 della città di Mosca, che ha previsto la creazione di una serie di cartelloni pubblicitari, volantini e magliette dai colori sgargianti rivolte ai ragazzi, con slogan come “sii in intimità solo con le persone di cui ti fidi – i rapporti sessuali casuali sono una minaccia per la tua maternità” e “la fedeltà è la tua protezione contro l’AIDS”.

In questo clima, a chi è sieropositivo e appartenente a gruppi a rischio, come tossicodipendenti e lavoratori e lavoratrici del sesso, sono le ONG a fornire un reale aiuto quotidiano. Tra queste, “Serebrjanaja Roza” a San Pietroburgo fornisce consulenze “alla pari” alle lavoratrici e ai lavoratori del sesso, distribuisce preservativi gratuiti e indirizza verso ginecologi e dottori senza pregiudizi. “Šagi” a Mosca fornisce supporto legale ai migranti positivi all’HIV – la Russia è infatti uno dei diciannove paesi al mondo in cui i migranti perdono il proprio diritto a vivere legalmente nel paese se positivi all’HIV. I volontari di “FAR” girano invece i quartieri di Mosca a bordo di un camioncino per distribuire aghi puliti ed effettuare test gratuiti e consulenze.

Nonostante il loro ruolo fondamentale, il lavoro di queste organizzazioni incontra continui ostacoli legislativi. Primo tra questi, la legge contro la “propaganda dell’omosessualità”, che impedisce di fatto molte delle attività di prevenzione indirizzate agli uomini che hanno rapporti sessuali con altri uomini, un altro gruppo a rischio in cui il numero di casi è aumentato di otto volte solo nel 2018. La legge sugli “agenti stranieri”, invece, limita di molto la capacità d’azione di organizzazioni che ricevono finanziamenti dall’estero. Nella lista degli “agenti stranieri” è finita nel 2016 anche “FAR”– un’accusa che i suoi membri trovano quanto più insensata visto che i finanziamenti a livello nazionale in questo settore non esistono.

Nonostante il ruolo fondamentale di ONG e media indipendenti, un intervento efficace a livello statale è necessario per fermare una crisi sanitaria che potrebbe rivelarsi ben peggiore di quella del coronavirus. Nascondendosi dietro alla promozione dei valori tradizionali, il governo continua invece a far finta di non vedere una crisi in evidente peggioramento. Se l’HIV in Russia si era diffuso inizialmente soprattutto tra i tossicodipendenti, secondo le proiezioni attuali i rapporti eterosessuali diventeranno presto la prima forma di trasmissione. Forse, quando il problema riguarderà anche chi è conforme ai cosiddetti “valori moral-spirituali”, il governo russo adotterà una strategia efficace contro l’epidemia – o almeno, farà qualcosa di più che incoraggiare la monogamia tra i ragazzi con poster e magliette colorati.

Foto: admmegion.ru

Chi è Martina Bergamaschi

Laureata in Interdiscilplinary Research and Studies on Eastern Europe all'Università di Bologna, lavora nel campo della cooperazione internazionale, al momento nell'est dell'Ucraina. Per East Journal scrive soprattutto di Russia, dove ha vissuto per due anni tra Mosca, San Pietroburgo e Kirov.

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