Testimoni di Geova

RUSSIA: La persecuzione dei Testimoni di Geova si allarga, ora è la volta della Circassia

Continua la persecuzione dei Testimoni di Geova nelle repubbliche della Federazione russa. Dopo l’arresto di alcuni membri del movimento religioso avvenuto in Daghestan, di cui abbiamo parlato qui, ora è la volta della repubblica di Karačaj-Circassia nel Caucaso settentrionale.

I fatti

Nella giornata di lunedì 16 dicembre, a Cherkessk, capitale della repubblica, alcuni reparti del FSB – i servizi segreti russi – hanno fatto irruzione nelle abitazioni di nove membri della comunità arrestando dieci persone con la solita, assurda, accusa: quella di essere membri di una organizzazione religiosa estremista.

In base alla legge russa, i Testimoni di Geova sono equiparati alle organizzazioni terroristiche di matrice islamica, trattati alla stregua di un movimento eretico, è loro proibito radunarsi, praticare il culto, stampare testi religiosi. I seguaci del movimento rischiano pene detentive dai sei ai dieci anni per il solo e unico fatto della loro fede. Mai, infatti, i Testimoni di Geova si sono resi protagonisti di attività terroristiche o cospirative in Russia. Ma questo poco conta.

Sono circa quattrocento le comunità sparse per la Russia e le repubbliche del Caucaso settentrionale e la loro situazione peggiora di anno in anno. Si comincia con le requisizioni, i sequestri dei beni immobili, la schedatura dei fedeli e si finisce con arresti arbitrari e pene detentive sproporzionate. Questo il copione andato in scena in Karačaj-Circassia dove, già nel febbraio 2017, la Corte regionale aveva sciolto per legge la locale organizzazione dei Testimoni di Geova trasferendo allo stato i suoi beni immobili. Da quel momento in poi le forze di polizia hanno provveduto al sequestro e alla distruzione dei testi e del materiale religioso, multando con 50mila rubli (circa 800 euro) il capo della comunità locale per “distribuzione di materiale estremista”.

Il Cremlino e le minoranze

La questione dei Testimoni di Geova riguarda il modo in cui le autorità russe trattano le minoranze, perseguitandole quando non allineate alle visioni politiche e culturali di Mosca. Si tratta di un vizio antico, che nel secolo scorso portò alla deportazione dei ceceni e, prima, al genocidio dei circassi, e che oggi si manifesta nella repressione dei tatari di Crimea e nella persecuzione dei Testimoni di Geova.

Questioni come la libertà di pensiero, di assemblea e di religione – fondamentali in qualsiasi democrazia liberale – sono in Russia facilmente sacrificate sull’altare del nazionalismo.  La retorica che descrive la Russia come un grande paese multiculturale non regge di fronte all’evidenza dei fatti, dove il multiculturalismo, la diversità etnica o religiosa, sono tollerati solo nella misura in cui si integrano con la visione di una primazia dell’etnia russa e della confessione ortodossa. In base alla Costituzione russa (art. 28) solo le grandi confessioni religiose possono godere della libertà di culto: buddismo, islamismo, ebraismo e cristianesimo non-ortodosso (in cui, però, non sono annoverati i Testimoni di Geova).

Infedeli al putinismo?

Ma c’è dell’altro. I Testimoni di Geova rifiutano la violenza, non riconoscono altra autorità al di fuori di Dio, e quindi non votano, si rifiutano di prestare servizio nell’esercito e non partecipano del patriottismo nazionale. Sono, in buona sostanza, “infedeli” al putinismo ovvero infedeli a quel misto di nazionalismo esasperato, militarismo, revival religioso di matrice ortodossa che rappresenta l’ossatura culturale e ideologica del potere russo degli ultimi vent’anni. La saldatura tra “trono e altare”, come la si chiamava ai tempi dello zarismo, ovvero tra il Cremlino e il patriarcato ortodosso, è un elemento caratterizzante della Russia putiniana.

A complicare il quadro è anche il fatto che il movimento, nato in Pennsylvania nel 1870, ha la sua sede principale negli Stati Uniti e viene quindi assimilato a quegli “agenti stranieri” che la paranoia del Cremlino individua in tutte le organizzazioni (umanitarie, politiche, religiose) che arrivano d’oltreoceano.

L’indifferenza dell’occidente

Su questa situazione pesa il silenzio dell’occidente. Un silenzio dovuto da un lato all’indifferenza, se non aperta ostilità, del mondo cattolico (Papa Francesco ha definito “non cristiano” il movimento) e dall’altro ai molti pregiudizi covati dall’opinione pubblica europea. In questo cono d’ombra, i Testimoni di Geova si trovano soli di fronte alla repressione del Cremlino, e sono servite a poco le perorazioni di Human Rights Watch, che ha denunciato la persecuzione in atto.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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