Cacciati dalle loro terre, massacrati in modo sistematico, con centinaia di migliaia di vittime, deportati in massa, e poi dimenticati. Tra i grandi massacri che hanno segnato gli ultimi due secoli di storia, la pulizia etnica subita dal popolo circasso è una di quelle che è finita per essere trascurata, o perlomeno non considerata alla pari di altre grandi tragedie come per esempio il Medz Yeghern, il genocidio armeno, e l’Holomodor, la strage degli ucraini. Definito per questo da molti come il “genocidio dimenticato”, l’anno scorso il massacro dei circassi (detto anche Muhajir) ha compiuto il suo 150° anniversario, proprio nell’anno in cui a Sochi, città situata nella Circassia storica, si svolgevano le Olimpiadi Invernali organizzate da Mosca. Ma chi sono dunque i circassi, e qual è la loro storia?
Chi sono i circassi
I circassi sono una tra le più antiche popolazioni native del Caucaso settentrionale, strettamente imparentati con abkhazi, abazi, ubykh e kabardini, e più alla lontana anche con ceceni, ingusci e daghestani. Sono provenienti dalla regione identificata come Circassia storica, che comprendeva indicativamente la zona attualmente situata tra il Territorio di Krasnodar e l’Ossezia del Nord. “Circassi” è un termine comune che indica varie tribù e popolazioni accomunate dalla stessa identità culturale, lingua e tradizioni, e non fa riferimento a una singola popolazione o etnia; il termine deriva dalla parola turca çerkes, nome con cui gli Ottomani chiamavano queste popolazioni. In lingua circassa (che si divide nelle varianti occidentale e orientale) essi si chiamano adighè, mentre dal punto di vista religioso sono per la maggior parte musulmani sunniti.
Attualmente, secondo l’ultimo censimento disponibile (2010), all’interno della Russia si contano 718.727 circassi; suddivisi in kabardini, adighè, cherkess e shapsigh. Molti di essi abitano ancora all’interno della Circassia storica, soprattutto nelle repubbliche di Adighezia, Kabardino-Balkaria e Karačaj-Circassia, e in misura minore nel Territorio di Krasnodar, mentre i rimanenti sono sparsi all’interno della Federazione. La più grande comunità circassa si trova però attualmente in Turchia, dove i circassi si sono recati soprattutto in seguito al 1864, e dove nell’ultimo secolo, grazie anche alle forti affinità culturali con la popolazione turca, si sono integrati perfettamente, venendo di fatto assimilati da questi ultimi. Altre importanti comunità circasse si trovano anche in Medio Oriente, soprattutto in Giordania e in Siria. Attualmente si pensa che oltre 1 milione e mezzo di circassi vivano lontano dalla loro terra d’origine, anche se le stime non sono precise, soprattutto riguardo al numero dei circassi presenti in Turchia.
La conquista russa della Circassia
All’inizio dell’ottocento l’Impero Russo, desideroso di allargare i propri territori, incominciò una guerra espansionista nel Caucaso, per annettere la regione e le popolazioni che la abitavano. L’invasione russa, iniziata nel 1817, incontrò però una grande resistenza da parte delle popolazioni del Caucaso settentrionale, che contrastarono con tutte le forze a loro disposizione l’avanzata del più numeroso e meglio equipaggiato esercito zarista. A causa dell’opposizione dei montanari del Caucaso, e dei contemporanei conflitti che l’Impero Russo si ritrovò a combattere su altri fronti, l’invasione andò avanti per decenni prima che i russi potessero avere la meglio. Nel 1859 con la sconfitta dell’Imam Shamil venne ultimata la conquista del Caucaso nord-orientale (Cecenia e Daghestan), permettendo così ai russi di concentrare le proprie forze sulla Circassia, che si arrese cinque anni più tardi, nel 1864.
Già nel corso della lunga guerra i russi repressero duramente la resistenza circassa, non limitandosi a colpire i ribelli, ma sterminando intere famiglie e distruggendo numerosi villaggi, creandone contemporaneamente dei nuovi dove vi insediarono coloni russi. Quando ormai il conflitto stava volgendo al termine, i russi elaborarono un piano per espellere centinaia di migliaia di montanari dai loro territori e deportarli verso altri paesi, come l’Impero Ottomano. Il piano venne ideato già nel 1857 da Dmitry Milyutin, poi promosso a Ministro della Guerra, e dopo aver ricevuto l’approvazione dello zar Alessandro II venne accolto con favore anche dagli stessi ottomani, che speravano in questo modo di reinsediare i circassi provenienti dal Caucaso nelle regioni dell’Impero a maggioranza cristiana. Il 10 maggio 1862 Alessandro II approvò ufficialmente il piano di reinsediamento del popolo circasso, che venne avviato prima della fine definitiva della guerra.
La pulizia etnica
Le operazioni vennero guidate dal generale russo Nikolai Yevdokimov, incaricato di organizzare la deportazione dei circassi dal Caucaso verso l’Impero Ottomano. Le centinaia di migliaia di sfollati vennero fatti marciare lungo il fiume Kuban verso la costa, dove una volta arrivati vennero caricati su navi mercantili e condotti in Turchia. Durante le lunghe marce forzate verso il Mar Nero i prigionieri circassi vennero scortati da intere colonne di fucilieri russi e di cavalleria cosacca. Chi oppose resistenza e chi rifiutò il trasferimento venne ucciso sul posto, sorte che toccò a decine di migliaia di persone. A partire dal 1864 i villaggi circassi iniziarono uno dopo l’altro a svuotarsi, in quanto la quasi totalità dei loro abitanti era stata uccisa, deportata o reinsediata in nelle più desolate regioni dell’Impero; altri villaggi vennero invece dati alle fiamme e rasi al suolo, impedendo in questo modo ai ribelli di trovarvi rifugio. Intere famiglie vennero cancellate, e alcuni sottogruppi etnici minori, come gli arshtini, vennero portati alla totale estinzione. Molti circassi perirono durante la deportazione, a causa delle numerose epidemie che si scatenarono e delle proibitive condizioni alle quali vennero costretti durante il lungo tragitto verso la Turchia.
Il violento processo di pulizia etnica messo in atto dai russi non riguardò i soli circassi, ma anche altri popoli a loro vicini, come i già citati abkhazi, abazi, ubykh e kabardini; inoltre furono vittime di deportazioni anche numerosi ingusci, ceceni, daghestani e osseti musulmani. Tra chi sopravvisse, la maggior parte trovò riparo come detto all’interno dell’Impero Ottomano, dove gli sfollati vennero insediati per la maggior parte tra i monti dell’Anatolia. Si calcola che solo nell’anno 1864 circa 220.000 montanari arrivarono dal Caucaso in Anatolia, attraverso il porto di Trebisonda. Altre decine di migliaia di circassi vennero deportati in Persia, altri ancora vennero trasferiti nei punti più remoti e inospitali dell’Impero, come la Siberia, dove dovettero rifondare da zero nuove comunità.
La pulizia etnica messa in atto dai russi si fermò solo nel 1867, quando il reinsediamento dei popoli montanari venne ufficialmente proibito, a eccezione di casi isolati, a causa del preoccupante spopolamento che esso causò in intere aree del Caucaso, che portò a un conseguente declino dell’economia locale. Anche in seguito alla fine delle persecuzioni però numerose famiglie di circassi decisero di lasciare le montagne del Caucaso, dove non si sentivano più al sicuro, preferendo emigrare verso l’Impero Ottomano e il Medio Oriente, dove formarono numerose comunità.
Il dibattito sull’uso del termine “genocidio”
Con che termine sarebbe più corretto definire la pulizia etnica perpetrata dai russi ai danni dei circassi e delle altre popolazioni caucasiche a metà dell’Ottocento? Su questo punto gli storici non sembrano ancora aver trovato una posizione comune a riguardo: una parte di essi evita di utilizzare il termine “genocidio” per riferirsi alla questione circassa, preferendo definire l’evento semplicemente “massacro” o “strage”. C’è da ricordare a proposito che all’epoca dei fatti non esisteva ancora il concetto di “genocidio”, che sarebbe stato coniato solamente il secolo successivo.
D’altro canto, altri storici che ritengono al contrario che i fatti del 1864 possano essere considerati a tutti gli effetti come un vero e proprio genocidio, a causa soprattutto del fatto che la deportazione forzata sia stata pianificata e dell’alto numero di vittime che essa ha causato (verosimilmente intorno al milione, ma le cifre non sono certe: si va dalle 4 milioni di vittime denunciate dagli studiosi circassi alle “sole” 400.000 contate dai dati ufficiali russi), ma anche a causa dei metodi utilizzati per eliminare e deportare la popolazione circassa e della violenza con la quale la pulizia etnica è stata eseguita. Secondo questi storici il massacro e la deportazione dei circassi hanno rappresentato l’invenzione delle strategie e delle moderne tecniche di pulizia etnica e di genocidio, tutto questo mezzo secolo prima del Medz Yeghern, il genocidio armeno, considerato dagli storici il primo genocidio del Novecento, che ispirò nel 1944 lo studioso polacco Raphael Lemkin a coniare proprio questo termine, prima inesistente.
In seguito alla conquista russa del Caucaso il massacro dei circassi venne per anni dimenticato, in particolare durante l’epoca sovietica, quando venne bandita ogni forma di nazionalismo, sentimento considerato “borghese”. La questione circassa riemerse solo in seguito al crollo dell’Unione Sovietica, nel 1991, quando iniziarono a nascere le prime forme di attivismo circasso. Nel 1994, l’allora presidente russo Boris Yeltsin, parlando a proposito della questione circassa, dichiarò che la resistenza all’invasione russa fu “legittima”, senza però riconoscere le colpe dei russi riguardo al massacro circasso. Sempre nel 1994 venne fondata l’Associazione Internazionale Circassa, la quale da allora si adopera per la conservazione e la valorizzazione della cultura, delle tradizioni e della lingua di questo popolo, chiedendo il riconoscimento a livello statale del genocidio circasso. Pochi anni più tardi i leader delle repubbliche di Kabardino-Balkaria e Adighezia, luoghi dove vi è ancora oggi un’importante presenza circassa, chiesero alla Duma di riconsiderare i fatti del 1864, senza però mai ricevere nessuna risposta.
Nel 2005 il Congresso del Popolo Circasso, organizzazione formata dai rappresentanti dei popoli circassi della Federazione Russa, chiese a Mosca di riconoscere il genocidio e chiedere scusa alla comunità circassa, ma anche in questo caso non venne data alcuna risposta. Un anno dopo alcuni dei più influenti membri della diaspora circassa inviarono al presidente del Parlamento Europeo una lettera dove si chiedeva di riconoscere il massacro dei circassi come genocidio. Nel 2008 ancora il Congresso del Popolo Circasso chiese al governo russo di creare una Repubblica autonoma di Circassia, per unificare e tutelare le minoranze presenti nel Caucaso. Nel maggio 2011 la Georgia divenne il primo paese a riconoscere ufficialmente il genocidio circasso, con una risoluzione approvata all’unanimità proprio in occasione della Giornata della Memoria delle vittime circasse. Nel novembre 2014 sempre i membri della diaspora circassa inviarono una seconda richiesta di riconoscimento alla Polonia, in occasione del Giorno dell’Indipendenza polacca.
L’organizzazione nel febbraio 2014 delle Olimpiadi Invernali a Sochi, un tempo capitale circassa, ha rappresentato un punto critico all’interno dei rapporti tra la comunità circassa e la Russia, contribuendo a far aumentare la tensione tra le due parti. Sochi rappresenta un luogo fondamentale per la storia circassa: proprio a pochi chilometri dalla città, tra le montagne di Krasnaya Polyana, nel 1864, i circassi si arresero definitivamente ai russi. Nell’anno delle Olimpiadi è inoltre ricorso il 150° anniversario del massacro; per questo i circassi hanno cercato di attirare in tutti i modi l’attenzione della comunità internazionale, soprattutto attraverso l’organizzazione di numerose manifestazioni di protesta che hanno avuto luogo in tutto il mondo, nel corso delle quali i membri delle comunità circasse hanno invitato a boicottare l’evento ed esortato il governo russo a riconoscere i propri crimini.
Il massacro dei circassi è stato ricordato recentemente anche dalla Turchia, in seguito alle recenti posizioni prese dalla Russia e da Putin in merito alla questione armena. Il governo di Ankara ha accusato Mosca di ipocrisia a causa del suo voler difendere a spada tratta la memoria del genocidio armeno, dimenticando però allo stesso tempo i tanti massacri messi in atto dai russi negli ultimi secoli, come appunto quelli contro i circassi e le altre popolazioni musulmane del Caucaso. Proprio la questione armena è il principale problema che impedisce alla Turchia di riconoscere il massacro dei circassi come genocidio. La Turchia, paese dove trovarono riparo centinaia di migliaia di circassi in seguito al 1864, e dove ancora oggi si trova la più grande comunità circassa al mondo, non può infatti pensare di riconoscere il genocidio circasso finché non avrà risolto definitivamente la spinosa questione armena, che la riguarda in prima persona.